giovedì, maggio 03, 2007

Il terrorismo mediatico della "Falange Armata"

«Terrorismo mediatico, atti che puntano soprattutto a creare rumore nell’opininione pubblica e a conquistare visibilità sui mezzi di comunicazione». Gli esperti dell’antiterrorismo che da settimane seguono il ripetersi di azioni dimostrative e lettere minatorie (su tutte quelle contro il presidente della Cei monsignor Angelo Bagnasco, e contro il sindaco di Bologna Sergio Cofferati) non minimizzano la portata del rischio che potrebbe derivare «dai comportamenti di un singolo o di pochi elementi», ma non nascondono un certo scetticismo contro una campagna che sembra più finalizzata al sue effetto mediatico che ad una offensiva terroristica strutturata. E proprio per questo motivo nelle analisi dei più si ripete quello che per molti è ormai il «paradigma Falange Armata», dal nome del misterioso e famigerato gruppo che per tutti gli anni ‘90 si è infilato nei fascicoli di quasi tutte le inchieste sul terrorismo nostrano. Rivendicando ogni azione pur non avendo mai colpito nessuno e, soprattutto, senza che si riuscisse mai a fare chiarezza su chi ci fosse dietro quella sigla omnipresente. Servizi segreti, ipotizzò qualcuno non senza una fondatezza. «Hanno rivendicato tutto tranne il peccato originale» sbottò una volta l’allora capo della Polizia Vincenzo Parisi. E non si sbagliava di molto, visto che nel solo ‘95 le telefonate o i messaggi di rivendicazione firmati «Falange Armata» furono ben 150. L’esordio il 27 ottobre del 1990 con un telefonata per attribuirsi la paternità dell’omicidio di Andrea Mormile, educatore carcerario a Opera ucciso sei mesi prima. Poi un lungo viaggio dentro ai misteri italiani: dagli omicidi Falcone e Borsellino (rivendicati) agli assassinii della Uno Bianca, dalle bombe della stagione del 1993 alle minacce a centinaia di uomini politici e magistrati passando per numerosi azioni di hackeraggio informatico e l’omicidio D’Antona. Chi c’era dietro a quelle rivendicazioni? Mai chiarito, e anche le inchieste della magistratura non portarono a nulla (un presunto telefonista fu arrestato e poi assolto e risarcito, un informatore della Finanza fu condannato per aver organizzato una truffa in stile Scaramella per accreditarsi con le Fiamme Gialle sfruttando il marchio), ma i dubbi rimasero. Primo fra tutto quello di contiguità coi servizi segreti. Tanto che il Cesis, l’organismo di coordinamento delle agenzie di intelligence, promosse addirittura una indagine interna arrivando a sospettare di 16 agenti della settima divisione del Sismi (quella da cui dipendeva Gladio). Perché la Falange, di cui si occuparono, commissioni parlamentari, Dia, Copaco e svariate procure, dimostrava «una manifesta conoscenza delle tecniche di disinformazione - spiegava il Capo del Cesi di allora - che va oltre i connotati solitamente spontaneistici di un gruppo di matrice eversiva». «Una sorta di agenzia di disinformazione», la definì il pm romano Pietro Saviotti che indagò su di loro per anni, che a distanza di quasi un decennio resta ancora avvolta nel mistero.


Massimo Solani, l'Unità 2 maggio

2 commenti:

Anonimo ha detto...

per quel che ne so io Andrea Mormile è stato un maresciallo di Polizia della Questura di Napoli ucciso il 3 settembre 1982 dalla Camorra.
L'educatore del carcere di Opera si chiamava Umberto Mormile

Max ha detto...

Vero, chiedo scusa per la svista. E ringrazio, di conseguenza, per la precisazione.