
Riccardo aveva 34 anni quando morì ammanettato mani e piedi nella sua abitazione alla periferia di Trieste. Intorno a lui almeno quattro poliziotti che adesso rischiano di finire sotto processo per omicidio colposo: Francesca Gatti, Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi. Per loro, infatti il pubblico ministero Pietro Montrone ha presentato tre giorni fa la richiesta di rinvio a giudizio al gip Enzo Trucellito. Una vicenda terribile che approda finalmente in un’aula di Tribunale dopo quasi tre anni di una battaglia legale condotta in ostinata solitudine da una famiglia ferita e offesa. Dallo Stato. Una battaglia iniziata il 27 ottobre del 2006, quando su Borgo San Sergio era già sceso il buio. Al quarto piano di una palazzina Ater c’è Riccardo Rasman: ha 34 anni e da diverso tempo è in cura al Centro Igiene Mentale di Domio. Ha una pensione da invalido per problemi psichici iniziati molti anni prima, dopo lunghi mesi di sevizie e atti di nonnismo a cui era stato costretto, spesso con la violenza, durante il servizio militare. Riccardo è felice perché forse ha trovato un lavoro e nel monolocale che aveva avuto in affitto, pur vivendo ancora coi genitori, festeggia a modo suo. La musica di una radiolina, qualche petardo lanciato fuori dalla finestra e una goffa danza, nudo alla finestra. I vicini si lamentano e chiamano la Polizia, che interviene con una volante. Gli agenti bussano alla porta, ma Riccardo si rifiuta di aprire. È spaventato, grida e li minaccia. Qualcuno dei vicini avverte gli agenti, spiega loro chi è Riccardo e racconta che di lui si sono presi cura i medici del Cim. Eppure la polizia decide di intervenire lo stesso. Arrivano altri due mezzi e i Vigili del Fuoco sfondano la porta. Ne nasce una violentissima colluttazione, Riccardo viene ferito e perde sangue. Prima di essere immobilizzato da almeno quattro agenti si difende, ma prende pugni in faccia e colpi sul resto del corpo. Forse anche, ipotizza la procura, con il piede di porco che era stato usato per sfondare la porta. Lo ammanettano, le braccia piegate dietro la schiena, le caviglie bloccate con un fil di ferro. Riccardo respira affannato, si lamenta. Perde conoscenza e muore in pochi minuti, la faccia gonfia per le botte, livida per quel respiro strozzato in gola e sporca di sangue. Come il muro contro cui gli agenti lo hanno spinto, le lenzuola del letto e le piastrelle bianche del pavimento. I poliziotti, ricostruisce il pm nell’atto di chiusura delle indagini, «dopo essere riusciti a spingerlo a terra in posizione prona, al fine di immobilizzarlo e ammanettarlo, esercitavano sul tronco del Rasman, sia salendogli insieme o alternativamente sulla schiena che premendo con le ginocchia, un’eccessiva pressione che ne riduceva gravemente le capacità respiratorie». In questo modo, si conclude la ricostruzione del pubblico ministero, «procuravano al Rasman una asfissia “da posizione” che lo conduceva alla morte».
Ed è per questo motivo che sui quattro agenti pende adesso una richiesta di rinvio a giudizio per omicidio colposo: perché «eccedendo colposamente i limiti stabiliti dalla legge, ovvero imposti dalla necessità, per illecito adempimento di un dovere e per l’esercizio di una legittima difesa, cagionavano per colpa la morte di Riccardo Rasman». Ossia di quel ragazzo che prima dell’irruzione degli agenti aveva lasciato sul tavolo della cucina un biglietto poi ritrovato dalla famiglia: «Mi sono calmato, per favore non fatemi del male».
Tredici mesi prima, su una strada di Ravenna era morto Federico Aldrovandi. Anche lui picchiato a sangue da quattro agenti della Polizia ora sotto processo per omicidio colposo. Anche lui, secondo la procura, ucciso da una asfissia posturale. Un legame rosso sangue che unisce due destini e che ha spinto la famiglia Rasman ad affidarsi alle cure dell’avvocato Fabio Anselmo (che collabora Giovanni Di Lullo), lo stesso legale che da anni combatte al fianco di Patrizia Aldrovandi la sua battaglia per la giustizia. Contro lo Stato.
Massimo Solani, l'Unità 10 ottobre
4 commenti:
Ciao,premesso che auspico sia fatta piena luce sui gravi fatti citati con il riconoscimento delle responsabilità degli operatori di polizia, che hanno agito oltre le naturali funzioni.
Ma ti chiedo i casi isolati di abusi bastano a far dimenticare le migliaia di interventi di sicurezza che ogni giorno effettuano le forze di polizia?
Non una difesa ma una riflessione, per non cadere nella facile strumentalizzazione di simili episodi che è sempre deleteria e forviante.
Enrico
No, non bastano assolutamente. E io per primo sono qui a ricordare che lavoro fondamentale svolgono ogni giorno migliaia di operatori della sicurezza. Quasi sempre malpagati (secondo uno studio Ugl il 60% degli agenti di Ps guadagna meno di 1200 euro al mese) spesso abbandonati a se stessi in zone ad alta densità criminale. Ma è proprio facendo luce sui casi come quello di Riccardo, o quello di Federico Aldrovandi o ancora quelli del G8 o dell'assassinio di Gabriele Sandri, che possiamo chiedere ai cittadini di avere fiducia nella polizia e negli operatori di sicurezza. Non trovi?
Ciao, naturalmente a quel "non trovi" ho risposto nella prima parte del precedente commento.
Concordo con te, ma se non leggevo tuo commento dal post,non comprendevo (forse per mio limite) tua posizione su FF.AA.)
Sono convinto che per ruolo istituzionale, ci sarà sempre contrapposizione tra forze di polizia e cittadini, almeno che non si faccia della demagogia patinata.
Ad ognuno di noi scoccia quando viene elevata una multa o controllati allo stadio, nella borsetta della compagna.
(Esempi banali, ma comprendimi nell'intenzione)
Grazie
Enrico
Due giorni fa ero a Vigevano alla presentazione del libro da te segnalato "Spie".
Ho conosciuto verso gli anni 80 Luciano persona non comune, senza entrare nel merito delle vicende giudiziarie e politiche successive,
di cui ognuno può farsene una idea, grande personaggio.
Interessante libro, con i limiti di poter scrivere quello che "è possibile..." naturalmente, c'è molto di più "sul fuoco".
Enrico
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