
Duemila militari in più, un’area verde da 550mila metri quadrati completamente occupata da strutture dell’esercito statunitense in una città, Vicenza, che ospita già altri tre insediamenti americani. Un piano che farebbe della città veneta la più grande base statunitense fuori dai confini nazionali. È un progetto che mette i brividi quello che l’Espresso (oggi in edicola) racconta riprendendo alcune interrogazioni parlamentari presentate nello scorso luglio. Quando a Vicenza, dopo due anni di trattative segrete condotte dal governo Berlusconi e dai vertici delle nostre forze armate, si è parlato per la prima volta delle novità che attendevano l’ex aeroporto militare Dal Molin. Oggi area verde, domani quarto insediamento militare “yankee” nel territorio comunale. Per intendersi: con la nuova struttura (grande quanto 1900 appartamenti di 100 metri quadrati ciascuno) l’insediamento Usa raggiungerebbe quasi il milione e mezzo di metri quadrati, l’11% in più del territorio occupato dalla pur grande zona industriale cittadina. Perché il progetto statunitense è chiaro: riunire in Italia la 173rd Airborne Brigade (oggi per metà a Vicenza e per metà in Germania), facendo di essa la prima grande brigata aviotrasportata, capace di intervenire nello scacchiere mediorientale in poche ore, con una potenza di fuoco impressionante. Un progetto enorme, come enorme è lo stanziamento che gli Usa sono pronti a votare per la realizzazione della nuova base (300 milioni per il 2007, fondi che entro il 2010 potrebbero raggiungere il miliardo di dollari). La forza inoltre, scrive l’Espresso, «disporrà di quasi 5mila paracadutisti, oltre 50 carri armati pesanti M1 d 90 veicoli blindati da combattimento, che ora si trovano in Germania, due batterie di artiglieria e forze rampe di missili multipli a lungo raggio».
Ma enormi sono anche le proteste che da maggio ad oggi hanno animato la vita di una città già provata dalla presenza dei soldati statunitensi. Manifestazioni e sit-in organizzati da un combattivo coordinamento dei comitati cittadini contro la base (a cui da un mese fa da controcanto un coordinamento pro-base animato per lo più dai dipendenti civili italiani degli stabilimenti) che in pochi giorni ha raccolto oltre settemila firme per bloccare il progetto. E la questione Vicenza, due giorni fa, è finita sui tavoli della commissione Difesa congiunta Camera-Senato dove il ministro Arturo Parisi ha dovuto spiegare che l’attuale esecutivo ha già aperto un nuovo confronto con l’amministrazione Usa e «si è fatto portatore (e intende continuare a farlo) delle istanze del territorio coinvolto in questa iniziativa». Una posizione ribadita anche dal sottosegretario Lorenzo Forcieri: «Terremo conto dell’opinione delle comunità - spiega -. Nel caso di un parere negativo dell’amministrazione comunale ne prenderemo atto nell’evidente necessità della riapertura del discorso». Parole che, per il momento, sono bastate a tranquillizzare l’ala “pacifista” della maggioranza (anche se la diessina Silvana Pisa ha segnalato la stranezza di una Italia «in controtendenza» rispetto agli altri paesi da dove invece gli Usa se ne stanno andando) ma che invece non sono sufficienti al comitato contro la base. «Il sindaco Enrico Hüllweck dica chiaramente che la maggioranza dei vicentini non vuole la nuova base - tuona Cinzia Bottene, del coordinamento - ma dal governo pretendiamo coraggio e coerenza con quanto detto fino ad oggi». Dal canto suo il sindaco forzista (che per mesi ha partecipato con l’ex ministro della Difesa Martino ai tavoli di preparazione del progetto) nicchia, dice e non dice. Non si espone. Dieci giorni fa l’esecutivo gli ha chiesto ufficialmente di prendere posizione, ma lui rimanda al mittente ogni responsabilità. «È un problema che riguarda i due governi», spiega. Ma gli Usa, per bocca dell’ambasciatore Ronald Spogli hanno scelto la via del ricatto velato: o la nuova base si fa oppure a Vicenza verrà chiusa anche la caserma Ederle. Coi prevedibili licenziamenti.
Massimo Solani
l'Unità, 22 settembre
l'Unità, 22 settembre
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