
«Quando mi sono visto il sangue sulle mani ho tolto la sicura e ho caricato». «Non vedevo praticamente nulla, ero quasi steso. Mi è arrivato l’estintore sullo stinco, io ho gridato che avrei sparato, poi ho sparato in aria. Sono convinto di aver sparatoin aria, non ho preso la mira, è la verità». Dopo mesi di silenzio, un congedo assoluto, una candidatura politica e una misteriosa richiesta di danni ai genitori di Carlo Giuliani, Mario Placanica torna a parlare. E lo fa con una lunga intervista rilasciata al quotidiano Calabria Ora in cui ha raccontato i giorni del G8, i minuti precedenti l’uccisione di Carlo Giuliani, le ore successive e i mesi fino alla sua “cacciata” dell’arma. Sempre ripetendo la sua ultima verità: ho sparato in aria, non ho ammazzato io Carlo Giuliani. «Io non ero sicuro di averlo ucciso - spiega l’ex carabiniere - Mi venivano i dubbi perché se io ho sparato in aria, come fanno a dire che l’ho colpito in faccia, che sono un cecchino». E ancora: «Sono un capro espiatorio usato per coprire qualcuno». Ma l’intervista di Placanica è anche l’occasione per raccontare l’atmosfera che faceva da contorno alle giornate del G8 e all’assassinio di Giuliani: «Ci dicevano di stare attenti, ci raccontavano che ci avrebbero tirato sacche di sangue infetto. Ci dicevano di attacchi terroristici. La sensazione era come se dovessimo andare in guerra». Una guerra culminata con un ragazzo morto sul selciato, il viso trafitto da una pallottola. Una tragedia, piuttosto una festa per qualcuno. Come i commilitoni che accolsero Placanica in caserma la sera del 20 luglio. «Mi chiamavano il killer. I colleghi hanno fatto festa, mi hanno regalato un basco dei Tuscania, “benvenuto fra gli assassini”, mi hanno detto. Erano contenti. Dicevano morte sua vita mia, cantavano canzoni. Hanno fatto una canzone su Carlo Giuliani». Insulti alla memoria, gravi quanto lo scempio fatto del cadavere di Carlo a piazza Alimonda. «Ci sono troppe cose che non sono chiare. Mi riferisco a quello che è successo dopo a piazza Alimonda. Perché alcuni militari hanno “lavorato” sul corpo di Giuliani? Perché gli hanno fracassato la testa con una pietra?». Perplessità sulle dichiarazioni di Placanica vengono espresse anche dal Comando Generale dell’Arma che ha chiesto che il testo dell’intervista «sia rimesso alle valutazioni dell’Autorità giudiziaria, anche a tutela degli interessi del personale chiamato in causa».Ma le parole di Placanica hanno riaperto la querelle sulla commissione d’inchiesta sui fatti del G8 (prevista dal programma dell’Unione ma “ferma” in commissione Affari costituzionali a Montecitorio, osteggiata dal centrodestra ma anche da Italia dei Valori e Rosa nel Pugno), un atto di indagine auspicato dallo stesso Placanica: «sarebbe l’occasione per fare luce su quello che è accaduto», ha spiegato l’ex carabiniere che nel maggio 2003 si è visto archiviare dal tribunale di Genova l’accusa di omicidio volontario. «L’unico modo per fare chiarezza - ha commentato Haidi Giuliani, mamma di Carlo ora senatrice di Rifondazione - è in un pubblico dibattimento nell’ambito di un processo e credo che la commissione di inchiesta si debba assolutamente fare. Se è vero, come dice Placanica, che non ha ucciso lui Carlo perché ha sparato in aria, è stato indotto a mentire per coprire il vero assassino. Spero che la magistratura apra immediatamente un’inchiesta e che la verità venga ristabilita. Dopo le sue affermazioni - ha concluso Haidi Gaggio Giuliani - vorrei che Placanica venisse messo sotto protezione». E se Rifondazione torna a chiedere la commissione d’inchiesta, da destra è un coro di no: «Noi siamo totalmente contrari», liquida lapidario Pier Ferdinando Casini. «Ci sono cose più importanti da fare» gli fa eco Ignazio La Russa.
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Quattro chiacchiere con Giuliano Giuliani, papà di Carlo. Giuliano Giuliani è nella sua casa sulle colline sopra Genova, la stessa dove il 20 luglio del 2001 apprese della morte di suo figlio Carlo. «È una ferita che non si è mai chiusa - spiega - e che ogni volta fa più male. Ma assieme al dolore c’è la voglia di arrivare ad un dibattito pubblico su piazza Alimonda».
Quel dibattito che è stato negato dal tribunale... «Certamente. Placanica dice di non aver ucciso Carlo e di aver sparato verso l’alto, ma i filmati mostrano una pistola che spara ad altezza uomo parallela al suolo. Allora manca qualcosa per arrivare alla verità».
Interpreto: o Placanica mente o c’è qualcun altro che ha sparato?«Esatto. Quanti erano davvero su quel defender? Placanica spiega che dietro erano solo in due, più l’autista. Ma in tribunale nel processo per devastazione e saccheggio, il carabiniere Raffone raccontò una versione diversa. Disse per sei volte che Placanica lo aveva schiacciato sul fondo della jeep che “si era messo sopra per difenderci”, usando il plurale. Chi altro c’era allora a bordo?»
Un “graduato” coperto dalla versione ufficiale, come avete denunciato?«La ricostruzione del sasso che devia il proiettile è una menzogna usata per nascondere il fatto che il proiettile che ha ucciso Carlo non era uno di quelli d’ordinanza. Non sono un esperto d’armi, ma tutti quelli che noi abbiamo contattato concordano su un punto: un calibro 9 parabellum, come quelli usati dai carabinieri, a tre metri di distanza non può provocare un foro d’entrata di 8 millimetri. Allora chi ha sparato?».
Oltraggi al cadavere di Carlo e festeggiamenti in caserma. Che effetto fanno questi racconti?«Quando si arriva a spaccare la testa ad un ragazzo che è stato appena colpito al volto da un proiettile significa che si è perso ogni residuo di dignità umana. E poi i festeggiamenti e i “benvenuto fra gli assassini”... in questi mesi abbiamo giustamente deprecato e ci siamo giustamente scandalizzato per quei cori disumani che inneggiavano alla strage di Nassiriya, ma qualcuno adesso vorrà usare la stessa indignazione per questa cosa? Non sono due episodi identici? Anzi, forse questa è ancora più grave, perché sarebbe stata detta da rappresentanti dello Stato».
Massimo Solani
l'Unità 30 novembre 2006
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