
Maledetti Francesi
Maledetti francesi, e non ce ne vogliano gli amici d’Oltralpe. Il cammino azzurro verso quel successo che ormai manca da ventiquattro anni si è fermato ancora una volta davanti al canto del gallo, anzi dei galletti. Ancora una volta, una maledettissima volta. Come in Francia nel ‘98, come in Olanda nel 2000 così in Germania sei anni più tardi. Diverse le facce, stesso il finale. Noi in lacrime, loro a brindare a champagne e Marsigliese. Noi sconfitti, loro campioni: del mondo, oggi come otto anni fa dopo i rigori di Saint Denise, d’Eropa grazie al golden gol di Trezeguet a Rotterdam in quell’Europeo olandese. Maledetto, com’è maledetto oggi l’Olympiastadion di Berlino, tirato a lucido e rimesso a nuovo con un milionario maquillage. Settant’anni dopo l’oro olimpico del calcio con la nazionale guidata da Pozzo, la Nazionale azzurra si ferma di nuovo ad un passo dal trionfo. Terza sconfitta in sei finali mondiali, la prima contro una squadra europea. Che non poteva che essere la Francia. E adesso sappiamo davvero come si sentono i tedeschi: per loro ItaliaGermania (tutta una parola, come ha scritto giustamente Marco Bucciantini) è un sorso unico di cicuta da bere almeno una volta per ogni generazione. Per noi FranciaItalia (ora tutto attaccato, anche questa) è l’incubo degli ultimi dieci anni, la speranza frustrata di una rivincita che non è mai catarsi. “Chi fa il prossimo ha vinto”, si diceva da bambini giocando in giardino. Eppure vincono sempre loro. Maledetti francesi.
Racconta la leggenda che, sconfitto ancora una volta da Miguel Indurain, Gianni Bugno un giorno si abbandonò al più amaro degli sfoghi: «Ma chi me l’ha fatto fare di nascere negli stessi anni di quello lì?». Oggi le parole tristi del più malinconico dei ciclisti italiani calzano a pennello per la nostra speranza ancora una volta disillusa. Ma chi ce l’ha fatto fare, a noi italiani, di nascere e crescere negli anni dello splendore di questa generazione meticcia di francesi dai piedi fatati? I Thuram, i Barthez, i Trezeguet, gli Henry, i Sagnol... campioni del Mondo, campioni d’Europa e ancora campioni del Mondo. Sempre a nostro scorno. Ma soprattutto Zinedine Zidane, il talento europeo più puro degli ultimi 10 anni. Il primo ballerino che ieri ha danzato per l’ultima volta sulle macerie dell’Italia calcistica. Ultima recita sul più luminoso dei palcoscenici prima di uscire dalla scena. In silenzio e con discrezione, come sempre. «Merci Zizou»: grazie di tutto, anima berbera cresciuta nelle strade di Castellane. Da oggi sarai il pensionato più felice del mondo, e se ne faccia una ragione pure quel Michel Platini. Forse lui è davvero il calciatore francese più forte di tutti i tempi e tu soltanto il secondo. Però c’è una cosa che fa di te il più amato dai francesi: quelle due coppe del mondo, le uniche vinte dai transalpini, alzate davanti alla nazione. E da capitano. Gioie che Platinì può solo sognare.
E pazienza se amche ieri a noi è toccato il ruolo di spalla nella tua ultima esibizione. Il trionfo di Mohammed Alì a Kinshasa non sarebbe tale senza un George Foreman sconfitto e con la faccia gonfia, l’urlo di Tardelli al Santiago Bernabeu prevede necessariamente un Toni Schumacher battuto raccogliere la palla nel sacco. Nel giorno dei grandi trionfi (ma quelli grandi davvero, quelli che fanno la storia) c’è sempre un perdente. È il tempo a nobilitarlo, elevandone in un certo senso la dignità in quel limbo riservato ai testimoni oculari delle volte importanti del destino.
Passerà il tempo, e curerà anche questa ferita come ha curato quelle delle altre finali perse, quelle di “Italia 90” con la splendida cavalcata dei ragazzi di Azeglio Vicini inchiodati ai rigori in semifinale al San Paolo dalle magie irridenti di Maradona e dalla “parrucca” bionda di Caniggia. E Fabio Cannavaro c’era anche quel giorno: raccattapalle allora, capitano della Nazionale oggi. Dalle lacrime alle lacrime, andata e ritorno in sedici anni. «Datemi la Francia, voglio la rivincita», aveva detto lo scugnizzo dopo la vittoria con la Germania. «Penso alla finale dell’Europeo 2000 e ai rigori del ‘98 a Parigi - aveva spiegato -. Ce la dovremo sudare, rischiare. E vincere». E Fabio da Fuorigrotta c’era anche allora: quando i rigori sciagurati di Albertini e Di Biagio (maledetta traversa) ci negarono la semifinale di un campionato del mondo organizzato e vinto dai francesi, senza alcun rispetto per l’ospitalità. E c’era anche quando gli stessi galletti ci soffiarono di sotto il naso l’Europeo due anni dopo. Con la coppa già infiocchettata per il nostro trionfo (in vantaggio 1-0 grazie ad un gol di Marco Del Vecchio), con Alessandro Del Piero che per due volte sbaglia il raddoppio in contropiede e con Wiltord, appena entrato, che segna il pareggio ormai in pieno recupero. E poi i supplementari, la morte negli occhi di una intera nazione risvegliata di colpo dal sogno tanto cullato, i nostri giocatori “cotti” e il sinistro di Trezeguet ad ammazzarci in cuore ogni residua speranza. “Sudden Death”, morte improvvisa, come si chiamava il golden gol prima che la Fifa decidesse di ritoccarne il nome e smorzarne i toni drammatici. Ma c’è poco da smorzare quando superi una semifinale in dieci contro i padroni di casa con Toldo che para tre rigori (dei quattro sbagliati dagli orange), quando conduci una finale e sei raggiunto al 90°, prima del colpo di grazia ai supplementari. Era e resta “morte improvvisa”, alla faccia delle formulette politicamente corrette.
E allora, maledetti francesi ancora una volta. Oggi a Berlino come a Rotterdam sei anni fa e a Parigi due anni prima. Che davvero non ne possiamo più di vedervi festeggiare trionfanti con la coppa sugli Champs-Elisée, mentre a noi non resta altro che trovare il modo di far passare il groppo in gola e asciugarsi le lacrime. Perché in fondo è solo calcio, soltanto uno sport. Ma fa maledettamente male lo stesso.
1 commento:
Ammazza che figo su quella foto...
Toh, ti lascio un commento così sembra un blog serio...
E' inutile che fai lo splendido con le citazioni di Marco Bucciantini.
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