venerdì, gennaio 25, 2008

Il poeta trasformista

Qualcuno dica all'ex ministro Mastella che la poesia "lentamente muore" letta ieri al Senato per giustificare la sua ennesima piroetta istituzionale (oplà... da destra a sinistra.... oplà... da sinistra a destra. Alla faccia degli elettori) e la non fiducia al governo Prodi, non è di Pablo Neruda.
Ennesima fregnaccia, ma di questi tempi nessuno ci fa più caso.



Frase intelligente del giorno: «Siamo uniti, adesso abbracciamoci tutti». Silvio Berlusconi sullo stato della coalizione di centrodestra. Ma non era lui che aveva scaricato Fini e Casini dal predellino di San Babila insultando pesantemente gli alleati? Le elezioni incombono. scurdammoce o passat'.... Il peggio è che se lo scordano anche i diretti insultati. bontà loro.

mercoledì, gennaio 23, 2008

Aria di crisi

Crisi politica, va da sè. E poi morale (ma Mastella perché si è dimesso? Per i domiciliari alla moglie? O forse per sciagurare una nuova legge elettorale da cui l'Udeur col suo prefisso elettorale avrebbe tutto da perdere?) e persino istituzionale. Anche se Lega e istituzioni, nello stesso discorso, in fin dei conti non c'entrano un granchè.

Frase intelligente di oggi: «Se non si va al voto facciamo la rivoluzione. Vuol dire che mettiamo in piedi la polizia del Veneto, della Lombardia e del Piemonte. Certo ci mancano un pò di armi, ma prima o poi quelle le troviamo. Berlusconi ha detto andiamo in piazza. E io in piazza ci porto decine di milioni di persone incazzate nere e senza limite di azione. Andiamo a bastonare sulla schiena la canaglia romana e la sinistra che si è dimostrata un partito fascista». Umberto Bossi.
Se non fosse lo stesso che nel 1994 raccontò di aver fermato una rivolta armata nelle valli bergamasche («C'erano 300mila persone pronte, l'urlo rimbombava di valle in valle») ci sarebbe da aver paura. Che si accontenti della nostra pietà, che di indignarci per certe cazzate padane c'è passata anche la voglia.

martedì, gennaio 22, 2008

Addio Compagno Bulow

(ANSA) - RAVENNA, 22 GEN - È morto Arrigo Boldrini, storico comandante partigiano "Bulow" e presidente onorario dell'Anpi. Aveva 92 anni e dall'8 gennaio era ricoverato in gravi condizioni all' ospedale di Ravenna. I medici avevano definito «critico» il suo quadro clinico. Membro dell'Assemblea Costituente e importante esponente del Pci del dopoguerra, Boldrini viveva da alcuni anni nella "Casa della Fraternità" a Marina Romea, località del litorale ravennate. (ANSA).

Lascio a Wladimiro Settimelli il compito di ricordarlo.

La leggenda di Bulow e la "28esima Gordini"

«Tè tat è da ciama Bulow» (ti devi chiamare Bulow), aveva detto in romagnolo purissimo, il barbiere Michele Pascoli, uno di quegli antifascisti e anarchici che sono sempre stati figure da leggenda in quel di Ravenna. Pascoli era un autodidatta e un appassionato di storia napoleonica e durante i quarantacinque giorni di Badoglio aveva avuto, a bottega, una lunga discussione con Arrigo Boldrini sulla battaglia di Waterloo. Arrigo, ad un certo momento, aveva tagliato corto e spiegato: «C'era von Bulow che comandava l'avanguardia dell'armata prussiana e allora addio Napoleone». Pascoli, poi fucilato dai fascisti, aveva pensato un attimo e poi aveva quasi gridato a Boldrini: «Quando sarete in montagna ti dovrai chiamare proprio Bulow. Promettilo».

Era nato così uno dei più noti e leggendari nomi di battaglia della Resistenza italiana e del partigiano più famoso del nostro Paese. Quello di Arrigo Boldrini, medaglia d'oro al valor militare, delegato alla Consulta, eletto all'Assemblea Costituente, parlamentare e senatore ininterrottamente fino al 1994, dirigente del Pci, Presidente nazionale dell'Anpi, l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia dal 1946 e poi presidente onorario (14° Congresso - marzo 2006), Presidente della Fondazione del Corpo Volontari della Libertà e autore di diverse centinaia di proposte di legge per i partigiani, i soldati, i carabinieri e tutti i combattenti della Libertà.
Raccontare la sua leggenda, la sua guerra e le sue battaglie politiche è difficilissimo perché con i suoi partigiani della 28ª "Gordini" ne aveva viste e fatte di tutti i colori, in guerra come nei giorni della Liberazione. Fu lui il 18 febbraio del 1945 a salire sul palco di Piazza del Popolo per celebrare, nel corso della prima grande manifestazione dell'Italia libera, la Giornata del partigiano e del soldato per rendere omaggio ai vivi e ai morti e a coloro che, a Nord, ancora combattevano. Era partito dal suo comando a Savana la mattina all'alba. Si era lavato il viso in un secchio d'acqua, poi si era vestito con la divisa, si era appuntato sul petto la medaglia d'oro ed era saltato su una jeep. La sera tardi era arrivato a Roma. Poi in Piazza del Popolo, la mattina successiva, ecco il nereggiare della folla: cento duecentomila persone, con i partigiani ancora in armi, i rappresentanti degli alleati sparsi per tutta la piazza, insieme ai soldati americani, inglesi, australiani, neozelandesi, francesi, polacchi e italiani del nuovo esercito di Liberazione. Sul palco, oltre a Bulow, ci sono il presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, il ministro della guerra Casati e Mauro Scoccimarro, ministro per l'Italia occupata. È Bonomi che appunta la medaglia d'oro sulla bandiera tricolore del Corpo Volontari della Libertà. Quella bandiera aveva già una storia eroica: era stata cucita, durante l'occupazione tedesca, dalle donne di San Frediano, il popolare quartiere di Firenze e ricamata dalle suore del convento di Santa Croce. Poi era stata consegnata al comando della divisione «Arno» nelle ore della liberazione di Firenze. Pochi giorni dopo, era stata portata a Roma, dalla gappista Edda Occhini. Doveva essere consegnata ai partigiani del Nord.
Ed è proprio la Occhini che porge a Bulow, quella bandiera, nella fredda domenica di febbraio del 1945, in Piazza del Popolo. Lui prende il drappo, scende nella piazza e si avvia, seguito da un corteo immenso, lungo via del Corso. In un silenzio pieno di commozione, quella fiumana di gente vede Boldrini che, a due passi dal balcone di Mussolini, appoggia la bandiera al sacello del Milite ignoto, per rendere omaggio a quel soldato sconosciuto morto chissà in quale trincea dimenticata del Grappa, del Montello o del Piave.
Anche questo era Bulow, un uomo dai forti sentimenti, piccolo, mite, ma sempre decisissimo, testardo, coraggiosissimo e perfino con un forte senso dell'ironia.

(Tratto da Unita.it)

lunedì, gennaio 21, 2008

Al Tg5 Travaglio non può parlare di Craxi

«Mi spiace, deve parlarne con Toni Capuozzo». La segretaria di Clemente J. Mimun respinge con cortese fermezza ogni richiesta di chiarimento. «Il direttore non si occupa di Terra!», chiosa prima di congedarsi. Eppure non si direbbe sia così, se è vero che è stato proprio il direttore del Tg5 a mettersi di traverso e a decidere che un’intervista a Marco Travaglio dovesse essere “cassata” dalla puntata dell’approfondimento settimanale andata in onda ieri sera e dedicata a Bettino Craxi. «Travaglio non lo voglio! - avrebbe gridato il direttore dopo aver letto la lista delle persone intervistate - Lo tagliate e basta!». Questa almeno è la versione che nella mattinata di ieri Toni Capuozzo, responsabile del programma, avrebbe riferito a Travaglio. Una ricostruzione che, oltretutto, ieri pomeriggio era confermata anche nei corridoi della redazione del tg. «Diciamo che la questione ha provocato un certo malumore, e non dico altro», riferiva un collega chiedendo di restare anonimo.
«Capuozzo - racconta Travaglio - mi ha telefonato e imbarazzato mi ha spiegato che l’intervista su Craxi che avevo rilasciato venerdì alla collega Anna Migotto non sarebbe andata in onda per volontà del direttore Mimun. Mi ero limitato alla pura cronaca raccontando quello che mi risulta riguardo a Craxi: che era cioè un latitante non un esule e ho ricordato dei tre conti in Svizzera. Ho anche parlato di un mio incontro con Craxi prima che andasse ad Hammamet, un incontro causale a due passi dall’Hotel Raphael a Roma. Insomma soltanto cronaca. Dopodichè - conclude il giornalista e scrittore - apprendo che Mimun, senza neanche prendere visione dell’intervista ma sapendo solo che le mie dichiarazioni erano previste in scaletta, ha deciso che andavo tagliato». Una ricostruzione che anche altre persone sono pronte a confermare. Non Toni Capuozzo però. Che, contattato mentre è in sala di montaggio intento agli ultimi ritocchi, ne racconta invece un’altra. «Nessuna censura», taglia corto. «È tutto molto più semplice: mi sono scusato con Travaglio, ma ho scelto io, in qualità di curatore del programma, di non inserire la sua intervista». Semplicemente una scelta editoriale, quindi. «È una decisione di cui mi assumo tutta la responsabilità - spiega - Travaglio sarebbe stato “dissonante” perché tutti gli altri interventi, da Andreotti a Forlani, sono di protagonisti dell’epoca. Comunque - conclude Capuozzo - nulla della vita di Craxi, anche la sua vicenda giudiziaria, è stato taciuto».
Qualche minuti più tardi, superato il filtro della segreteria, Mimun è lapidario al cellulare: «Io con il suo giornale non parlo da diversi anni e non intendo ricominciare adesso - risponde con tanto garbo quanta freddezza - Ho letto le parole del curatore di “Terra!” e condivido in pieno. Anche le scelte». Del resto, secondo alcune voci interne al telegiornale, sarebbe stato proprio Mimun a chiamare Capuozzo e a “consigliarlo” di assumersi al 100% la paternità del taglio. O meglio, della censura.

Massimo Solani, l'Unità 21 gennaio 2007

Frase intelligente di oggi: che in realtà è un video, e di qualche tempo fa. Ma siccome un presidente di Regione viene condannato a cinque anni di carcere ed esulta, certe cose allora vale la pena ricordale. E Ricordarsele.



martedì, gennaio 15, 2008

Lesa maestà pontificia?

Accadono cose ben strane in questo ben strano paese.
Prendiamo ad esempio quanto è capitato a Roma per l'invito rivolto dal Rettore Guarini a Papa Benedetto XVI a partecipare all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università "La Sapienza" (ma all'inizio voleva che gli fosse affidata addirittura una lectio magistralis). Un invito incauto considerando le tesi di Joseph Ratzinger su scienza e ricerca (ma cosa attendersi da chi è ancora convinto che il processo a Galileo Galilei sia stato giusto e doveroso?) che ha suscitato le proteste di docenti e studenti. Che avevano promesso al Papa un rumoroso ma civile comitato di benvenuto. Ratzinger, allarmato dal rischio proteste, ha deciso di non partecipare nonostante il Viminale avesse dato ampie rassicurazioni sulla sicurezza. Di tutti, del Pontefice in primis.

Una sua scelta, quindi.

Eppure a sentire i commenti dei politici, senza eccezione di colore e schieramento politico, sembra che un esercito armato abbia impedito al Papa di parlare. Che sia stato trattato un pò come avvenne a Luciano Lama nel 1977. Eppure, se non ricordo male, il diritto a manifestare è costituzionalmente garantito. O no? E allora dove sta il problema? Spiegatemelo voi, che io non capisco proprio.
Però ricordo qualche anno fa (quasi 17 per la precisione) Giovanni Paolo II sfidare i contestatori nella stessa università senza farsi scudo delle dichiarazioni ridicole di politici più realisti del re. Altra Italia, evidentemente, e altra pasta d'uomo. Come meravigliarsi poi se in Italia si torna a mettere in discussione la legge sull'aborto?

Frase intelligente di oggi: «È stato ripugnante vedere nel telegiornale tossici e terroristi alla Sapienza per festeggiare la rinuncia del Papa. È gente da mandare in galera insieme ai professori che li hanno guidati. E che sfideremo. È gente indegna di salire in cattedra. I loro nomi vanno divulgati affinchè l'Italia intera possa sapere chi è nemico della libertà e promotore dell'odio e del terrore. L'Italia di Prodi è questa. L'Italia vera deve riaffermare i valori della libertà». Maurizio Gasparri, Alleanza Nazionale.
Tossici e terroristi sarebbero gli studenti (centinaia di studenti) che hanno manifestato seguendo l'invito dei 67 scienziati che hanno protestato contro il Rettore Guarini. Questa, evidentemente, è la loro democrazia.

giovedì, gennaio 10, 2008

Onorevole tirchieria

Riporto un articolo tratto da Il Giornale di oggi. Non ho parole per commentare.....

Deputati Tirchi, 9 euro alle vittime della Thyssen

Per carità di patria, non saltate alla conclusione più facile, non dite che gli onorevoli rappresentanti della nazione son prodighi di parole ma stitici di tasca, hanno la manina rappresa e non meritano nemmeno il Natale del vecchio Sgrooge. Probabilmente sono distratti, presi dagli onerosi impegni, mica è aridità d’animo e avarizia, se solo insisti un poco son pronti a gesti di generosità esemplare, vuoi che non siano come tutti noi, dimenticare a Natale proprio chi soffre? Tant’è... Tant’è che i 630 deputati, chiamati a partecipare ad una sottoscrizione di aiuto alle vedove e agli orfani delle vittime della ThyssenKrupp, han partecipato tutt’altro che in massa. Alla vigilia di Natale, prima di andare in vacanza, avevano versato in tutto 1.300 euro. Minacciati dai promotori di venire esposti alla gogna mediatica, la colletta è lievitata sino a quadruplicare la cifra raggiungendo quota 6.000: una media di 9 euro e mezzo a testa. Colletta irrisoria e imbarazzante ugualmente. Tanto da far intervenire i gruppi parlamentari per porre riparo. Così, ora che l’Epifania tutte le feste s’è portata via, la sottoscrizione ha raggiunto la vetta dei 12.500 euro, ma grazie allo “sforzo” indistinto e indolore dei gruppi, senza impegno personale dei singoli. Anche i gruppi che non hanno ancora versato promettono di contribuire presto, come del resto la gran massa dei deputati risultati assenti all’appello. Si spera che lo facciano presto. Possibilmente prima del Natale che vedrà gli orfani adulti.
Come è andata? Gli è che i 2.000 dipendenti della Camera hanno un’associazione, «Gruppo di solidarietà» si chiama, che ogni fine anno organizza una raccolta interna di fondi da devolvere in beneficenza, aiuti umanitari, progetti di sviluppo, adozioni a distanza (in Mozambico seguono già 150 bambini). Più della metà partecipa, firmando un modulo di cessione dalla busta paga di una giornata lavorativa o di mezza. Ed ogni anno, raccolgono tra i 25 e i 35mila euro da investire in solidarietà. Quest’anno, all’indomani della tragedia nella fonderia torinese, gli animatori del Gruppo han provveduto ad inviare un primo aiuto concreto alle famiglie delle vittime, inserendo la tragedia della ThyssenKrupp nell’elenco delle iniziative da sostenere. Due deputati di buona volontà, il verde Roberto Poletti e Maurizio Bernardo di Forza Italia, scoperta l’iniziativa se ne sono innamorati, decidendo di coinvolgere i loro colleghi.
Così, a tambur battente e con l’entusiasmo delle campagne bipartisan sin troppo rare in Parlamento, i due hanno indirizzato una lettera a tutti i deputati, citando a buon esempio la sottoscrizione dei dipendenti «per devolvere l’equivalente di una loro giornata lavorativa in solidarietà», e spiegando che «quest’anno uno dei loro progetti sarà quello di portare un tangibile aiuto alle famiglie degli operai della ThyssenKrupp, periti nel rogo di Torino». Volete esser da meno dei vostri dipendenti, voi che certamente guadagnate di più? «Poiché questo tragico evento non può lasciare inerti le nostre coscienze, siamo certi che avrete piacere di far avere anche la vostra solidarietà, che sarà bene accetta di qualsiasi entità», concludeva la lettera indicando i nomi e i telefoni degli animatori del gruppo ai quali rivolgersi per partecipare. Volendo, i deputati potevano bussare direttamente all’Ufficio Competenze.
Non paghi della lettera, Poletti e Bernardo han fatto massiccia propaganda in Transatlantico, pressando amici ed avversari e raccogliendo sorrisi, promesse, «sì, sì lo dico anche agli altri». Sino alla vigilia della chiusura natalizia, quando s’è scoperto che i deputati avevano versato 1.300 euro in tutto, mentre il Gruppo di solidarietà dei dipendenti aveva organizzato anche una cena per i poveri di Sant’Egidio con Bertinotti. I due hanno moltiplicato gli appelli, «guardate che se i giornali lo vengono a sapere ci sputtaniamo tutti» hanno avvertito. Niente, il risultato è salito a quei 12.500 euro grazie al contributo dei gruppi. «Se troviamo una modalità di raccolta cristallina e semplice, credo che nessun deputato si sottrarrà», dice fiducioso Bernardo. «Lo prometto solennemente: se non si svegliano, renderò pubblici i nomi», minaccia Poletti.

di Gianni Pennacchi

mercoledì, gennaio 09, 2008

Monnezza is burning

La situazione è drammatica, ma non è seria. Allora tanto vale sorriderci su, almeno per un attimo. Dopo il tormentone Frangetta non poteva mancare Monnezza is burning. Eccolo a voi.




Frase intelligente di oggi: «Venti anni fa moriva Enzo Tortora, esattamente il 18 maggio del 1988. Il suo caso giudiziario, quello scandaloso errore giudiziario, il suo tormento, la sua morte prematura non sono serviti a nulla. Dopo 20 anni siamo punto e a capo. Tant'è che adesso abbiamo il caso Contrada. Prova che nulla è cambiato. Anzi». Lo afferma l'avvocato Giuseppe Lipera, legale dell'ex funzionario del Sisde condannato a dicei anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Piccola precisazione: Tortora era innocente e, dopo anni di assurde tribolazioni, venne riconosciuto tale. Contrada, per la legge italiana, è colpevole: e la sentenza definitiva della Cassazione (10 maggio 2007) lo sancisce. Definitivamente.

lunedì, gennaio 07, 2008

Pianura, chi soffia sul fuoco della protesta?

Cittadini giustamente indignati oppure infiltrati con finalità poco chiare al servizio di chi invece i miliardi li fa davvero con la monnezza? Il dubbio è lecito, a vedere il video qui sotto.
Tutti abitanti del popoloso quartiere napoletano? O no?



Frase intelligente di oggi: «Si può e si deve commissariare la Regione, indire nuove elezioni amministrative al più presto e, se necessario, fare della Campania, "ad interim", un protettorato militare». Margherita Boniver (Forza Italia) sottosegretario di Stato con delega agli Esteri del governo Berlusconi. Ci manca solo il Commonwealth, un casco color Kaki e siamo di nuovo pronti ad una bella missione coloniale. Faccetta nera, bella abbissina...

domenica, gennaio 06, 2008

Anno nuovo, politica vecchia

A Capodanno, si sa, le cose vecchie si buttano dalla finestra. Eppure ho come l'impressione che neanche questo 2008 sia arrivato per liberarci di certo vecchiume. Per cui ci toccherà di tenercelo per un altro anno, di ingoiare a forza facendo finta che ci piaccia e di turarci il naso per non respirarne il tanfo. Sempre nella speranza che le cose migliorino, come direbbe un medico di fronte alla cancrena.
Ma in attesa dell'amputazione, non neghiamoci almeno i buoni propositi.
Tanto per iniziare bene l'anno nuovo: la Campania affoga stretta fra le tonnellate di immondizia non smaltita e i tentacoli del "Sistema" (la camorra, per dirla con i camorristi). Carburanti e verdura costano ormai come l'oro, e per fare il pieno serve un intero stipendio. I tassi dei mutui sono diventati insostenibili per buona parte delle famiglie italiane..... E in tutto questo, nell'agenda politica e nei telegiornali tengono banco le discussioni sulla nuova legge elettorale (tedesco o francese, ditemi voi qual è la differenza, vi prego), la moratoria sull'aborto proposta da Giuliano Ferrara e la grazia da concedere a Bruno Contrada. Il fedele servitore dello Stato che per una vita si è speso fra la divisa di poliziotto (e un posto da dirigente al Sisde) e i favori agli amici mafiosi. Tanto da beccarsi una condanna definitiva a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Che strano paese il nostro.

Frase intelligente di oggi: «Ambulanze assaltate, come non accade nemmeno nei Paesi in guerra, incendi urbani, guerriglie con la polizia: tutto quello che sta succedendo dimostra che
Napoli non è Italia». Roberto Calderoli, Lega Nord. E' vicepresidente del Senato ed ex ministro per le Riforme Costituzionali. L'uomo che ha fatto esplodere una rivolta contro il consolato italiano di Bengasi (11 morti) grazie alla brillante idee delle vignette satiriche su Maometto stampate su una t-shirt esibita in diretta tv. Un odontoiatra sposato con rito celtico, alla presenza di un vero druido, a cui qualcuno aveva pensato di affidare il compito di cambiare la Costituzione.