sabato, marzo 22, 2008

G8: per il centrodestra era andato tutto a meraviglia

A rileggerla oggi che sono passati sei anni e mezzo c’è da rabbrividire. A scorrerne di nuovo le pagine, oggi che il lavoro della procura di Genova ci ha consegnato una storia di violenze gratuite e umiliazioni, ce n’è da restare inorriditi. Perché la relazione finale frutto dei 44 giorni di lavoro del comitato formato da trentasei parlamentari e presieduto dall’avvocato Donato Bruno che condusse l’indagine conoscitiva sui fatti di Genova (venne depositata il 14 settembre 2001 e votata solo dalla maggioranza) ha consegnato alla storia parlamentare una verità incredibile e offensiva: «La Commissione - si legge - a conclusione degli accertamenti svolti rileva che non sorgono dubbi sulla positiva riuscita del vertice G8 svoltosi a Genova». Una menzogna scritta sul sangue ancora caldo di Carlo Giuliani e ad onta delle centinaia di manifestanti pestati senza motivo, sulle decine e decine di denunce da parte di manifestanti di mezzo mondo. Del resto «il vertice ha conseguito tutto gli obiettivi prefissati, sia sotto l’aspetto dei contenuti, sia sotto l’aspetto logistico amministrativo, sia sotto quello della sicurezza e della tutela dell’ordine pubblico, nonostante talune inerzie riferibili al precedente governo nella fase organizzativa».

«Gestione moderata»
Eppure, a meno di due mesi dalla conclusione del vertice, tutto il mondo aveva già avuto modo di vedere i filmati e le fotografie delle violenze di strada, delle cariche contro il corteo pacifico e della tanto macabra quanto indisturbata azione dei black block. Non abbastanza, evidentemente, per ammettere un fallimento evidenziato dagli organi di stampa di tutto il globo. «In una situazione di questo tipo - spiega infatti la relazione - la linea scelta dal governo Berlusconi e l’azione delle forze dell’ordine sono state, sul terreno dell’ordine pubblico, certamente positive». Anche perché, secondo il centrodestra, i giorni del vertice erano stati preceduti da un costruttivo dialogo con il Genoa Social Forum: si sono stanziati «fondi per l’accoglienza e a impartire precise direttive alle forze dell’ordine per una gestione moderata e ferma dell’ordine pubblico». Precise direttive che evidentemente a qualcuno devono essere sfuggite. Non si spiegherebbero altrimenti il numero spaventoso dei manifestanti rimasti feriti e le teste spaccate immortalate in foto che sono diventate la cifra reale della violenza che ha contraddistinto l’operato di interi settori delle forze dell’ordine.

Quelle torture ordinarie
Emblematico il caso del lager di Bolzaneto e delle sevizie subito da quanti ebbero la sfortuna di transitare nella struttura dopo il fermo. Racconti e denunce che hanno dato avvio all’inchiesta della magistratura genovese che ha parlato di «comportamenti vicini alla tortura» (44 richieste di condanna per ispettori di pg, funzionari di polizia e medici per un totale di 76 anni di carcere) ma sulle quali il comitato è stato cieco muto e sordo. Spingendosi addirittura a sancire che «nulla è dato da rilevare circa la palese legittimità della gestione effettuata da parte della polizia penitenziaria. In particolar modo (...) nulla può essere eccepito circa il pieno rispetto delle prassi concernenti le visite mediche, le perquisizioni e le ispezioni personali e circa le modalità del loro trattenimento in attesa di traduzione al carcere, sempre finalizzate al mantenimento dell’ordine tra gli arrestati e tra loro ed il personale operante». Del resto, scriveva la maggioranza di centrodestra del comitato, i racconti degli arrestati potevano non essere credibili: «Corre l’obbligo di richiamare le denunzie della Questura di Genova che, a seguito di intercettazioni ambientali, avrebbe acquisito elementi circa la preordinazione strumentale da parte di taluni degli arrestati di accuse infondate».

Tutte le bugie della Diaz
Non va meglio nella parte delle conclusioni riservata all’irruzione nella scuola Diaz la sera del sabato, quando gran parte dei manifestanti era già ripartita e i cortei si erano conclusi da ore. Chi era là dentro raccontò di una vera mattanza, di ragazzi svegliati in piena notte dai calci degli anfibi, di manganellate al buio e di teste sbattute contro muri e termosifoni. In ospedale finirono praticamente tutti i fermati. Per giustificare la tonnara, si scoprì poi, erano state confezionate prove false (due molotov sequestrate nel pomeriggio vennero trasportate nella scuola) mentre il bottino dell’operazione fu praticamente nullo. Eppure il centrodestra non mancò di rilevare «la legittimità della decisione di procedere alla perquisizione» nella convinzione «che presso l’istituto fossero occultate armi». Mesi più tardi si scoprì anche che alcuni dirigenti avevano messo in scena la farsa del giubbotto antiproiettile squarciato da una coltellata per giustificare la reazione violenta degli agenti, ma la Commissione in quel settembre aveva già deciso la sua verità: «A ragione fu predisposta una forza operativa adeguata a fronteggiare una decisa resistenza. Tale determinata resistenza è infatti ampiamente documentata e fu tale da comportare una decisa forza per vincere e superare la condotta degli occupanti, al fine di tutelare la stessa incolumità del personale». E le teste spaccate? E le braccia spezzate di quanti, inermi, cercavano di difendersi ancora distesi nei sacchi a pelo? «Sono emersi taluni eccessi compiuti da singoli esponenti delle forze di polizia. L’accertamento dei fatti è demandato all’autorità giudiziaria».

Massimo Solani, l'Unità 22 marzo

lunedì, marzo 17, 2008

Al fianco di Rosaria...

Sono felice di vedere che altri come me, sapendo della vicenda di Rosaria Capacchione de Il Mattino, abbiano deciso di fare qualcosa per proteggere una collega che fa il suo lavoro con coraggio e onestà. Non posso che unirmi a loro e rilanciare l'appello.

(ANSA) - ROMA, 17 MAR - «Chiediamo al Ministro dell'Interno di concedere adeguate misure di protezione alla giornalista del Mattino Rosaria Capacchione e tutti coloro che in questo momento sono oggetto di minacce alla loro persona da parte del crimine organizzato». Lo affermano in un appello al Ministero dell'Interno il Vice responsabile Informazione del Pd Roberto Cuillo, il Portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti, i giornalisti Furio Colombo, Roberto Morrione, Sandro Ruotolo e il Presidente di Articolo 21 Federico Orlando. «È un momento difficile per quei giornalisti che si battono contro l'illegalità. Durante il processo Spartacus contro i Casalesi - si legge nel testo dell'appello - sono state lette in aula grave minacce contro giornalisti, scrittori e magistrati. Nessuno può restare indifferente». Due boss del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, detto Cicciotto di Mezzanotte, detenuto da alcuni anni, e il latitante Antonio Iovine, in una istanza depositata il 13 marzo dai loro legali per chiedere il trasferimento del processo a loro carico a Roma per legittimo sospetto, hanno lanciato accuse nei confronti dello scrittore Roberto Saviano, dell'ex pm della Dda di Napoli Raffaele Cantone e della giornalista del Mattino Rosaria Capacchione. (ANSA).

sabato, marzo 15, 2008

Il diktat dei Casalesi: chi parla muore

Lo scrittore simbolo, il magistrato antimafia e la cronista coraggiosa. È per colpa loro che il processo non può svolgersi serenamente e va spostato in altro luogo. Perché quei tre col loro lavoro danno fastidio, raccontano la verità e rischiano così di condizionare i giudici. Un atto di accusa che suona come una minaccia nel silenzio dell’aula bunker di Poggioreale: danno fastidio, sono nemici nostri. Quei tre sono Roberto Saviano, lo scrittore di “Gomorra”, la cronista de Il Mattino Rosaria Capacchione (nella foto) e il pubblico ministero della Dda di Napoli Raffaele Cantone. Tutti e tre indicati con nome e cognome dai boss della camorra casertana Francesco Bidognetti e Antonio Iovine nella lunga istanza che gli avvocati hanno letto in aula per richiedere il trasferimento in altra sede del processo «per legittima suspicione». Perché i magistrati di Napoli, hanno scritto gli avvocati Michele Santonastaso e Carmine D’Aniello, non posso giudicare serenamente sulla sorte del processo d’appello “Spartacus”, che sta alla camorra dei Casalesi come il maxi processo celebrato a Palermo alla mafia siciliana, vista la trama nella gestione dei pentiti ordita dal pubblico ministero e dalla Dda tutta in combutta coi giornalisti “prezzolati”. «A questa situazione disarmante per la coscienza civile - è scritto nell’istanza su cui si esprimerà la Cassazione - si aggiungono i soliti giornalisti prezzolati della Procura e, tra essi, ci si riferisce espressamente alla cronista de Il Mattino Rosaria Capacchione e al noto romanziere Roberto Saviano che, sulle ceneri della Camorra, con l’aiuto di qualche magistrato alla ricerca di pubblicità, cercano successo professionale che nulla a che vedere con il sacrosanto diritto di cronaca».
Parole che sanno di avvertimento e di minaccia. Perché, hanno spiegato gli avvocati difensori di Bidognetti e del latitante Iovine, «alcuni articoli di cronaca comparsi sui quotidiani non hanno alcuna spiegazione se non quella di creare un condizionamento nella libertà di determinazione nei giudici che partecipano al processo». «L’intervento di Roberto Saviano sul silenzio legato alla sentenza Spartacus (21 ergastoli e 95 condanne per associazione camorristica a uomini e fiancheggiatori del clan dei Casalesi, la più potente organizzazione del “Sistema” ndr) non può non turbare gli animi dei giudici definiti dal prezzolato pseudogiornalista come degli inetti, incapaci, insensibili alla sete di giustizia della collettività. È solo un invito rivolto al signor Saviano e ad altri come lui a fare bene il proprio lavoro e a non essere la penna di chi è mosso da fini ben diversi rispetto a quello di eliminare la criminalità organizzata».
Eppure, stando almeno ai fatti, si direbbe che “il loro lavoro” tanto Saviano quanto la Capacchione lo facciano da tempo. E bene. E proprio per questo da anni vivono nell’incubo. Semplicemente per aver fatto quello che sanno fare: indagare sugli affari milionari dei clan, scoprire intrecci e interessi, e poi raccontarlo con coraggio e precisione. Proprio per questo da quando il libro Gomorra è diventato un successo planetario (è stato acquistato in 32 paesi e già tradotto fra gli altri in Germania Francia, Svezia, Danimarca, Finlandia, e Spagna dove è stato primo in classifica per diverse settimane) Saviano è costretto a vivere blindato costantemente seguito dagli angeli della sua scorta. Quella protezione che, però, nessuno ha mai accordato a Rosaria Capacchione nonostante nel corso di una udienza il collaboratore di giustizia Dario De Simone, numero tre del clan dei Casalesi, abbia rivelato dell’esistenza di un piano, risalente alla fine degli anni ‘90, per ammazzarla. Ed era stato sempre De Simone, davanti ai pm antimafia e poi in aula, a raccontare dell’odio della famiglia Schiavone nei confronti della cronista de Il Mattino «per il fastidio che dava coi i suoi articoli». A lei, come a Saviano e a Cantone, ieri sono arrivati tantissimi messaggi di solidarietà da parte di uomini politici, sindacati, amministratori locali ed associazioni di categoria. Secca la risposta del capo della Dda di Napoli Franco Roberti: «Gli imputati Bidognetti e Iovine avranno le risposte che meritano nelle sedi competenti».

Massimo Solani, l'Unità 15 marzo

domenica, marzo 09, 2008

Betulla va alla guerra

Deposti i panni dell’agente “Betulla”, il soldato Renato Farina si prepara ad un’altra guerra. Non più contro il terrorismo, ma contro i comunisti. Ex, post o neo che siano fa poca differenza per il cattolicissimo ex vicedirettore di Libero. Che dismessi i panni di 007 del Sismi adesso si prepara ad una nuova vita, la terza, sotto le insegne del Popolo delle Libertà di Silvio Berlusconi che lo candiderà al Parlamento in un seggio blindatissimo. La terza, si diceva, perché quella politica è la terza carriera del giornalista poi prestato all’intelligence militare, alle dirette dipendenze del direttore del Sismi Niccolò Pollari. E per tramite del suo uomo ombra Pio Pompa, tenutario dell’ufficio segreto di via Nazionale dovevano venivano redatti e conservati dossier segreti su magistrati, uomini politici del centrosinistra e militari non allineati con la dottrina della guerra permanente. Era per conto di Pompa e Pollari, infatti, che l’agente segreto Farina (nome in codice “Betulla”), dietro alla paciosa maschera del giornalista Farina, si presentava in procura a Milano per intervistare i pm Armando Spataro e Ferdinando Pomarici che indagavano sul rapimento ad opera dei servizi segreti italiani e statunitensi dell’imam Abu Omar. Una finzione, hanno ricostruito i magistrati, che in realtà doveva servire a carpire informazioni sullo stato dei lavori della procura e poi passarle al grande capo Pollari (rinviato a giudizio per la vicenda Abu Omar assieme a Pompa e ad un nutrito gruppo di barbe finte italiane e statunitensi) in modo da mettere in campo le dovute contromosse. Servizi per cui Farina era pagato lautamente dal Sismi: 30mila euro in due anni, ha spiegato lui stesso ai magistrati. «Rimborsi spese per i viaggi in giro per il mondo», ha precisato prima di patteggiare davanti al giudice per le udienze preliminari di Milano Caterina Interlandi una pena di sei mesi di reclusione (poi convertiti in una multa di 6.840 euro) per avoreggiamento nell’occultamento di prove. «Una grave ingiustizia», ha sempre protestato Farina, rivendicando con orgoglio di patria una militanza nei servizi iniziata nel 1999: «Confesso - scrisse su Libero - Ho dato una mano ai nostri servizi segreti militari, il Sismi. Ho passato loro delle notizie, ne ho ricevute, ho cercato contatti persino con i terroristi, mettendo a disposizione le mie conoscenze ma anche il mio corpaccione. Ho usato tutto, secondo me dentro i confini della legalità». Non la pensò così l’Ordine dei Giornalisti che dopo averlo sospeso, su richiesta del procuratore generale di Milano, l’ha radiato nel marzo del 2007.

Massimo Solani, l'Unità 9 marzo

giovedì, marzo 06, 2008

Dalla Chiesa in Parlamento!

Dopo qualche giorno di trasferta in quel triste luogo che è Gravina di Puglia in questi giorni, torno per rilanciare un appello in favore di Nando Dalla Chiesa. Assurdamente escluso dalle liste elettorali del Partito Democratico. Ecco il testo dell'appello:

"Nando dalla Chiesa, una delle personalità che più ha contribuito a dare apertura e credibilità alle Istituzioni presso l’opinione pubblica e la società civile, uomo politico da sempre impegnato per la legalità, l’etica pubblica, la difesa dei principi costituzionali e di giustizia, non ha ottenuto la deroga per la candidatura dal suo partito.

Son stati invece candidati personaggi la cui storia non è trasparente. O persino politici che in passato hanno avuto qualche vicinanza agli ambienti della criminalità organizzata. Anche se secondo l’art. 2 del Regolamento “Non può essere candidato chi si trovi in contrasto con le norme del codice etico”.

Come cittadini a vario titolo impegnati per un’Italia più civile e rispettosa dei meriti, chiediamo che Nando dalla Chiesa, cui riconosciamo di rappresentare con coerenza i nostri valori etico-istituzionali, sia tra gli eletti del prossimo parlamento italiano".

Hanno aderito all'appello, fra gli altri: Elisabetta Caponnetto, don Luigi Ciotti, Virginio Rognoni, Gianni Barbacetto, Stefano Boeri, Anna Bonaiuto, Giovanna Borghese, Andrea Brambilla (Zuzzurro), Novella Calligaris, Laura Caselli, Cisco (ex cantante dei Modena City Ramblers), Dario Fo, Giorgio Galli, Ricky Gianco, Vittorio Grevi, Laura Lepetit, Tinin Mantegazza, Velia Mantegazza, Guido Martinotti, Gabriele Mazzotta, Maria Mulas, Flavio Oreglio, Ottavia Piccolo, Franca Rame, Lidia Ravera, Basilio Rizzo, Corrado Stajano, Marco Travaglio, Franca Valeri, Pamela Villoresi, Patrizia Zappa Mulas.