lunedì, ottobre 30, 2006

Noi non dimenticheremo Anna Politkovskaja


«Internazionale», l'associazione «Articolo 21» e la televisione satellitare «Nessuno TV» promuovono un'iniziativa comune in memoria di Anna Politkovskaja. Si tratta di una cartolina indirizzata all'Ambasciatore della Federazione Russa in Italia, che sarà possibile trovare nei prossimi tre numeri della rivista Internazionale e in tutte le principali librerie italiane. E' anche possibile sottoscrivere l'appello online sul sito di Articolo 21.

domenica, ottobre 29, 2006

Problemi tecnici

Purtroppo per alcuni problemi tecnici riesco solo ora ad aggiornare il blog, e a pubblicare i numerosi commenti (ed insulti a dire il vero) che nei giorni scorsi hanno fatto seguito al post sul dossier del sismi contro i "nemici" del governo Berlusconi. Provvedo subito.
Mi spiace vedere che di fronte a certe notizie, anzichè riflettere sullo stato delle cose in questo nostro strano paese (e sì che con quanto uscito in questi giorni sulle incursioni telematiche, le intercettazioni illegali e chi più ne ha più ne metta, ce ne sarebbe davvero il bisogno), molta gente preferisca continuare ad aggrapparsi a certi steccati ideologici, a certi insulti meschini che a poco servono se non ad alimentare una spaccatura "politica" che da anni paralizza questo povero paese.

Pazienza. Agli insulti come "comunista di merda" ci ho fatto il callo, e come diceva Nietzsche ciò che non ci uccide ci rende più forti. Che poi dalle mie parti sarebbe "quello che non strozza, ingrassa".

giovedì, ottobre 26, 2006

Capello, le tasse e la Spagna


«La Spagna sì che è un paese serio: qui ti fanno la multa anche se ti chiami Fabio Capello, e chi evade le tasse viene punito. Non come in Italia». Il Fabio Capello che così tuona contro l’evasione fiscale dai microfoni della radio spagnola “Cadena Ser” sarà mica lo stesso Fabio Capello che nel novembre del 2002, quando era allenatore della Roma, davanti al gip di Como patteggiò una pena di tre mesi (commutandola in una sanzione di 3.500 euro) per «concorso in abuso d’ufficio e falso»? Secondo l’ipotesi del pm lariano Daniela Meliota, infatti, il tecnico pluriscudettato aveva «fraudolentemente» trasferito la propria residenza a Campione d’Italia (con la collaborazione del sindaco Roberto Salmoiraghi) per godere dei vantaggi economici dell’enclave italiana in terra svizzera. E ancora: il Fabio Capello che parla dalla Spagna è per caso lo stesso Fabio Capello che non ha mai nascosto simpatie per Forza Italia (tanto che nel novembre 2005 partecipò alla convention azzurra di Sorrento organizzata per i giovani da Marcello Dell’Utri)? E Forza Italia non faceva per caso parte della coalizione di governo che approvò il condono fiscale? Forse ricordiamo male noi....

Il Sismi: "Colpire i nemici di Berlusconi"


Magistrati come Edmondo Bruti Liberati, Gherardo Colombo e Giovanni Salvi. E poi politici dell’opposizione come Luciano Violante e Massimo Brutti. Tutti membri di una struttura considerata «nemica» del governo Berlusconi e che, per questo motivo, andava «neutralizzata», «disarticolata» al più presto anche «con azioni traumatiche». È la clamorosa scoperta fatta dalla polizia giudiziaria negli enormi archivi scoperti all’ultimo piano di via Nazionale 230, nell’appartamento-ufficio del funzionario Sismi Pio Pompa. Un piccolo dossier di meno di venti pagine che la procura milanese (sono state le indagini dei pm Armando Spataro e Ferdinando Pomarici sul rapimento dell’ex imam della moschea di viale Jenner Abu Omar a portare fino al cuore della capitale, negli uffici di via Nazionale) ha inviato nella sera di martedì a Palazzo San Macuto nella sede del Comitato di Controllo Parlamentare di Controllo sull’attività dei Servizi Segreti e che i membri del Copaco hanno visionato fra lo stupore generale ieri prima dell’audizione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Micheli.
Un documento cartaceo con tanto di annotazioni a margine scritte a mano, uno delle centinaia di faldoni rinvenuti nel grande attico di via Nazionale fra le carte collezionate dal braccio destro del direttore del servizio segreto militare Niccolò Pollari assieme ai dossier su giornalisti, politici, magistrati e persino sul capo della Polizia Gianni De Gennaro. Poche pagine, una ventina in tutto, divise in due sezioni. La prima una lista di elementi ritenuti membri di una struttura nemica del governo Berlusconi comprendente politici e soprattutto magistrati: fra loro anche l’ex segretario dell’Associazione nazionale magistrati e oggi procuratore aggiunto di Milano Edmondo Bruti Liberati, l’ex pm e oggi consigliere presso la Corte di Cassazione Gherardo Colombo, l’ex vicesegretario generale nonché vicepresidente dell’Anm Giovanni Salvi, l’ex capogruppo diessino alla Camera Luciano Violante e l’attuale vicepresidente del Copaco Massimo Brutti. Personalità, è spiegato nella seconda parte del dossier in un linguaggio criptico tipico delle informative riservate e oscure degli spioni, considerate a diverso titolo membri di una struttura “nemica” del governo Berlusconi e potenzialmente in grado di “creare problemi” all’attività dell’esecutivo di centrodestra. E per questo motivo, una struttura da “neutralizzare”, da “disarticolare” anche ricorrendo ad “azioni traumatiche”. Un linguaggio allarmante, che aggiunge un inquietante tassello al vecchio e stantio refrain delle toghe rosse politicizzate e del connubio fra magistrati e sinistra uniti in un complotto contro l’ex presidente del Consiglio e leader di Forza Italia. Un documento che rende ancora più inquietante quanto emerso in questi mesi dalle inchieste della procura milanese su intercettazioni abusive, pedinamenti, investigatori privati al soldo di Telecom, servizi deviati, stampa compiacente e operazioni segrete targate Cia.
E se le poche certezze sul documento, almeno per ora, tratteggiano uno scenario ai limiti dell’emergenza democratica, molti sono invece i dubbi che circondano il dossier. Innanzitutto la sua collocazione temporale: perché se quasi certo è che l’inizio del lavoro di dossieraggio è riconducibile ai primi mesi del governo Berlusconi, quasi sicuramente le successive pagine sono state realizzate in un secondo tempo, forse anche a distanza di molti mesi. Difficile per ora anche attribuire una paternità al documento trasmesso dalla procura milanese al Copaco. Perché se le annotazioni scritte a meno margine dei fogli e la sua scoperta negli armadi del grande archivio (parzialmente rimasto ancora inesplorato) di via Nazionale 320 farebbero pensare ad un testo redatto proprio dal braccio destro di Polalri e addetto alla disinformazione Pio Pompa, non è da escludere che la mano nascosta dietro alle pagine del piccolo dossier possa essere quella di un qualche “zelante spione” ansioso di ben figurare con i vertici del Sismi e con il nuovo esecutivo.

Massimo Solani
l'Unità 26 ottobre 2006

martedì, ottobre 24, 2006

Tassa sulle rassegne stampa, qualcosa si muove


Innanzitutto mi scuso con voi per il prolungato silenzio., Purtroppo alcuni impegni di lavoro mi hanno tenuto lontano dal pc e da questo piccolo divertimento.
Detto questo, torniamo sull'argomento di cui al titolo per segnalare una importante novità. E' troppo presto per cantar vittoria, sia chiaro, ma qualcosa si muove e nel verso giusto. Speriamo che sia solo il primo passo.
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Ieri pomeriggio le Commissioni riunite Bilancio e Finanza della Camera hanno approvato l'emendamento del deputato della Rosa nel Pugno Maurizio Turco che sopprime l'articolo 32 del decreto fiscale collegato alla Finanziara. Esso prevedeva che "i soggetti che realizzano, con qualsiasi mezzo, la riproduzione totale o parziale di articoli di riviste o giornali, devono corrispondere un compenso agli editori per le opere da cui i suddetti articoli sono tratti". La soppressione definitiva di tale articolo sarà adesso rimessa al voto dell'aula. "Ai tempi di Internet, impedire la libera circolazione dei contenuti informativi dei giornali sarebbe a dir poco un assurdo" dichiara l'on. Maurizio Turco. "Chiedo pertanto che il Governo, qualora decidesse di porre la fiducia sull'approvazione del decreto, recepisca il pronunciamento del Parlamento".

lunedì, ottobre 16, 2006

"Lotito, attento a tua moglie. Ricordi il Circeo?"

RICCHI, TEMUTI e rispettati. Usati per costringere un presidente a cedere la società, ma abbastanza accorti da sapere di aver tutto da guadagnare (economicamente) dal cambio di gestione. Sono i membri del direttivo degli «Irriducibili» arrestati (Yuri Alviti, Fabrizio Toffolo, Paolo Arcivieri e Fabrizio Piscitelli), i protagonisti assoluti dell’ordinanza di custodia cautelare del gip del tribunale di Roma. Un gruppo già noto alla procura, visto che sui quattro (oltre a qualche condanna per reati «da stadio») pende già una richiesta di rinvio a giudizio per associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione, alla violenza privata, all’istigazione a delinquere, al danneggiamento, alle lesione e all’utilizzo di armi improprie. Una inchiesta che, guarda caso, prese le mosse dalle denunce dell’ex presidente biancoceleste Sergio Cragnotti. E anche in quella vicenda c’erano di mezzo pressioni, minacce (e botte, a due giornalisti) e i soldi del merchandising ufficiale.
MINACCE CONTO TERZI Compito appaltato agli Irriducibili da parte della cordata-Chinaglia, secondo la procura, era quello di «fare pressioni» su Claudio Lotito per costringerlo a cedere. Pressioni che significano essenzialmente minacce. Come quelle recapitate in sede attraverso lettere anonime che erano firmate «gli amici di tua moglie». «Stai attento alla tue bella mogliettina - si legge in uno di questi messaggi - o non sarai tu l’oggetto delle nostre attenzioni ma tua moglie... hai presente il Circeo?». E ancora: «Tua moglie ha delle belle gambe, peccato che gliele spezzeremo». «Le indagini - scrive il gip Guglielmo Muntoni - sono partite dalle azioni del direttivo degli Irriducibili che gli altri indagati, il gruppo rappresentato da Chinaglia, hanno scelto come alleato per esercitare una forte pressione su Lotito al fine di costringerlo a cedere la società, sapendo poi di poter contare sulla collaudata vocazione ad azioni violente del quartetto che compone il direttivo degli ultras».
TENTATE AGGRESSIONI Non solo minacce, però. Perché secondo il gip Muntoni, il gruppo direttivo degli Irriducibili avrebbe anche più volte provato ad aggredire il presidente Lotito. «Toffolo - è scritto nell’ordinanza - ha manifestato la propria volontà di compiere atti violenti contro Lotito il 14 maggio 2006, quando lo stesso all’uscita dallo stadio, mentre percorreva una strada cittadina, accortosi della presenza dell’autovettura con a bordo il presidente Lotito, noncurante che la stessa fosse, tra l’altro, scortata da personale della Polizia di Stato, l’affiancava rivolgendosi nei confronti di Lotito con le parole “A pezzo di m...” - “Lotito rotto in c...” - “Ti sei venduto le partite scendi se hai coraggio”. Analoghe iniziative violente direttamente contro Lotito sono state organizzate da Piscitelli, pronto a colpire Lotito in un ristorante individuato grazie al fratello, fermato solo dalla presenza di numerose persone di scorta. Davvero allarmanti sono le telefonate nelle quali Toffolo, Alviti e Piscitelli conversano in merito a particolari circostanziati relativi ai movimenti di Lotito, ai locali frequentati da questi, al chi fosse l’autista che lo accompagnava, alla targa della sua auto ricordata a memoria da Toffolo o quello in relazione a cui emerge la spavalderia di Piscitelli che si dichiara pronto ad affrontare anche la reazione del personale di scorta».
IRRIDUCIBILI SPA è il modo in cui, in giro per gli stadi d’Italia, gli ultras «nemici» sfottevano il gruppo laziale per la spiccata propensione agli affari. Un ritratto che, nelle oltre cento pagine di ordinanza, esce addirittura rafforzato. Perché secondo il gip Muntoni gli ultras biancocelesti, favorendo l’avvento della cordata ungherese, puntavano a ripristinare «lucrosi privilegi di cui avevano goduto nelle gestioni precedenti» e che «si andavano ridimensionando» per le scelte dell’attuale proprietario. «Calcola che se rimane Lotito, qua dobbiamo rivedè tutto perché probabilmente chiudemo tutto - spiega infatti Toffolo in una telefonata - Se se ne va Lotito... se nò a settembre chiudemo». E proprio Chinaglia, scrive il gip, «favorito dal suo prestigioso passato di calciatore della Lazio e dal suo rapporto con gli Irriducibili, ha agevolato il rapporto con gli ultras, fornendo ai medesimi utilità immediate e promettendo futuri guadagni». Utilità immediate come «una dazione di denaro per l’acquisto di striscioni finalizzati alla violenta contestazione» e la «possibilità di avere a disposizione uno studio legale, a titolo gratuito, a cui rivolgersi in caso di necessità». Addirittura, i quattro del direttivo degli «Irriducibili» speravano in futuro in un ruolo dirigenziale in seno alla nuova società: «C’ho la Lazio nelle mani mia - spiega Toffolo in una telefonata - st’altr’anno me vedrai in tribuna autorità, alla Bettega».
ROSSI VERME COMUNISTA Chi non si piegava alla contestazione e continuava a sostenere il presidente Lotito, era immediatamente additato come nemico. È il caso dell’allenatore Delio Rossi che, scrive gip, al telefono con Toffolo si rifiuta di allinearsi ai voleri degli ultras. «Voglio andare a prendere per il collo quel comunista di Rossi», dice Toffolo a Alviti. Insulti e minacce anche per le altre componenti del tifo organizzato e della società, colpevoli di non partecipare alla contestazione. Come Teresa Iannaccone, presidente del coordinamento Lazio club onlus, vittima di una «campagna vessatoria estremamente feroce» perché considerata filo-Lotito.

Massimo Solani
l'Unità 14 ottobre 2006

mercoledì, ottobre 11, 2006

"Ha vinto solo la Camorra"


Fra l'immondizia abbandonata per le strade, il tanfo acre e i roghi notturni dei cassonetti incendiati per protesta, «a vincere è solo la camorra». Davanti alla commissione Ambiente del Senato, il responsabile della Protezione Civile e commissario straordinario Guido Berto-
laso, qualche ora prima di salire al Quirinale per essere ricevuto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dice senza girarci troppo attorno quello che in molti hanno pensato in questi dodici anni di emergenza continua ai piedi del Vesuvio. «Quello che accade - ha spiegato infatti il responsabile della Protezione Civile - è una sconfitta per tutti. Non vedo nessun vincitore, se non la camorra. Ma noi faremo di tutto perché sia una vittoria di Pirro: e faremo di tutto affinché sia lo Stato a vincere la partita finale».
Più facile a dirsi che a farsi, però. Perché intanto in Campania il calendario dell’ emergenza “munnezza” si è allungato di una nuova casella, un nuovo giorno con i rifiuti in mezzo alle strade, agli angoli degli incroci e sotto le finestre. E se a Napoli città la situazione sembra migliorare, in provincia e in buona parte del resto della regione, tutto è fermo a parte i roghi, siano essi di protesta o di Camorra. La munnezza brucia, i vigili del fuoco la spengono (oltre 100 interventi soltanto a Napoli nella notte fra lunedì e martedì) e nessuno la raccoglie.
Per uscire dalla fase acuta dell’emergenza, ha spiegato Bertolaso nel giorno del suo insediamento a capo della struttura commissariale, ci vorranno una decina di giorni. E soprattutto serviranno nuovi siti per lo stoccaggio dei rifiuti. Il governo ne ha indicati tre nel decreto della scorsa settimana, ma quel piano è già zoppo. La discarica di Difesa Grande che ad Ariano Irpino dovrebbe ospitare i rifiuti delle province di Avellino, Benevento e Salerno, infatti, è stata sigillata dalla magistratura prima ancora che potesse riaprire i battenti. A rimetterla in attività ci aveva provato, senza riuscirci, l’ex commissario Corrado Catenacci (suscitando le proteste della gente culminate con una manifestazione cui il 23 settembre hanno partecipato più di mille persone), poi è toccato al governo vedersi stoppato dalla magistratura. Adesso i legali della commissariato hanno presentato ricorso al tribunale del riesame per ottenere la modifica del provvedimento del gip (ci varranno almeno due settimane), ma nel frattempo tutto è fermo. Anche la gente che da 10 giorni presidia i blocchi stradali. E ad Avellino, in molti hanno accusato Bertolaso di voler escludere la provincia dal piano straordinario di raccolta in risposta alle pressioni di quei sindaci che avevano spinto per l'intervento della magistratura per la chiusura di Difesa Grande. Insinuazioni seccamente smentite nei corridoi del commissariato.
Per un sito che non apre, però, ce n'è uno che da ieri sera è finalmente attivo. Mentre il tramonto abbracciava i quartieri di Napoli, infatti, sono arrivati a Villaricca i primi camion carichi dei rifiuti raccolti in città. Il nuovo sito, capace di ospitare 400mila metri cubi di materiale e ricavato negli spazi di una ex cava bonificata, è il secondo dei tre indicati dal consiglio dei ministri e, nella speranze del commissario Bertolaso, con la possibilità di accogliere circa 2mila tonnellate al giorno dovrebbe aiutare il capoluogo partenopeo ad uscire dall'emergenza assieme al deposito temporaneo (uno di quelli requisiti da Catenacci prima delle dimissioni) di Napoli Est in cui in questi giorni si è convogliato il grosso di quanto raccolto per le strade. Fra le proteste della gente che per qualche giorno ha presidiato Ponticelli costringendo il ministro del Welfare Livia Turco, in visita a Napoli, a girare al largo.
Ci vorranno invece ancora una decina di giorni prima che sia pienamente operativa la discarica di Paenzano 2 a Tufino, l'ultima di quelle individuate dal consiglio dei ministri. Il progetto di sistemazione per la messa in sicurezza dell’impianto richiesto dal governo nel giugno scorso (il sito esiste dalla metà degli anni ‘90, sequestrato dalla Procura di Nola nel gennaio del 2001 e dissequestrato nella primavera del 2005) è infatti praticamente ultimato e non appena arriverà il via libera della commissione tecnico scientifica del commissariato potrà iniziare la dislocazione di quanto rimasto nell'impianto di combustione dei rifiuti (Cdr) di Tufino. Che però è sotto sequestro, sempre per ordine della magistratura di Nola, dall'agosto scorso per una inchiesta che è costata un avviso di garanzia anche all'ex commissario Catenacci. A quel punto anche l'impianto di Cdr potrebbe ricominciare a lavorare. Sequestri permettendo, e salvo proteste dei comitati cittadini. Che ovviamente sono già sul piede di guerra.
Basterà a superare l’emergenza? Nel dubbio Bertolaso sta lavorando, assieme alla Conferenza Stato-Regioni, per convincere altre regioni italiane (e persino alcuni paesi stranieri come Polonia, Germania, Slovenia e Romania) ad “ospitare” parte dei rifiuti campani. Quelle stesse regioni, Lazio, Puglia, Calabria e Sicilia, che proprio Bertolaso due giorni fa aveva bacchettato per la scarsa disponibilità a collaborare. A quel punto, toccherà alle ferrovie italiane il compito di portare a destinazione quella immondizia rimasta ferma a terra.

Massimo Solani inviato a Napoli
l'Unità 11 ottobre 2006

martedì, ottobre 10, 2006

"Sembra di stare a Calcutta"

Qualcuno ha provato anche a fare una stima. Dicono che siano 35mila tonnellate. Trentacinquemila tonnellate di immondizia che da circa una settimana stazionano per le strade della Campania. Parcheggiate sui marciapiedi, lungo le strade, agli angoli degli incroci. Ovunque fuorché nei cassonetti: “perché quelli – racconta un benzinaio lungo la strada che collega San Giuseppe Vesuviano e Terzigno – sono pieni da una settimana almeno, e nessuno è passato a svuotarli”. Da Napoli a San Giorgio a Cremano, dai monti dell’Irpinia fino al lungomare di Salerno, la Campania è di nuovo strozzata dall’emergenza. E la scena è più o meno la stessa ovunque. Specie ai piedi del Vesuvio dove la situazione è più drammatica e dove camminando in macchina capita spesso di fare lo slalom fra le piramidi di sacchetti neri che ostruiscono la carreggiata. “Dottò, vede come siamo ridotti? Sembra di stare a Calcutta”, mormora un tassista. E le cataste maleodoranti spesso si arrampicano fino alle finestre del piano terra delle abitazioni. Come a Torre del Greco, dove sabato il parroco della parrocchia di Sant’Antonio Abate ha dovuto chiudere tutte le porte della Chiesa. “L’ingresso principale, quello sulla strada, è completamente ostruito dall’immondizia – racconta Padre Onofrio – e per qualche giorno abbiamo usato quello laterale. Ma adesso anche quello è impraticabile”. Finestre delle case chiuse, serrande abbassate, perché fra lo smog delle auto in coda e la puzza che si alza dalle montagne di immondizia, l’aria è spesso irrespirabile. E come se non bastasse, pur in pieno giorno, basta allontanarsi di qualche centinaia di metri dal centro cittadino per riconoscere in mezzo alla campagna il fumo che si alza dai roghi. Brucia a munnezza e i vigili del fuoco corrono da un angolo all’altro per fermare le fiamme e il puzzo. ''In una sola notte e' stata sprigionata un'enorme quantità di diossina – spiega Giuseppe Cortese, assessore all’ecologia al Comune di Sant’Anastasia, dove la scorsa notte sono state divorate dalle fiamme anche due auto - con gravi rischi soprattutto per le persone che soffrono di patologie alle vie respiratorie”. C’è chi brucia nell’orto i sacchetti “di produzione familiare”, e c’è chi invece soffia sul fuoco (è proprio il caso di dirlo) della protesta per aumentare il caos. Perché lo smaltimento dei rifiuti, si sa, è affare miliardario in cui la camorra si è già ritagliata la propria fetta di torta. “In una sola notte qui nel territorio comunale sono stati appiccati otto roghi – prosegue Cortese - Immagino, quindi, che dietro questi episodi ci sia un’unica regia, mossa da chissà quali motivi”. Quel che è certo, intanto, è che i cassonetti continuano a prendere in fuoco un po’ ovunque.
La mondezza brucia, i vigili del fuoco corrono, e la gente si incazza promettendo proteste eclatanti. Ieri hanno iniziato gli studenti di Salerno e Torre del Greco che sono scesi in piazza contro una situazione che si fa di ora in ora sempre più invivibile. Tanto che il sindaco di Avellino, Giuseppe Galasso, sta meditando in queste ore di chiudere i mercati rionali e fore anche le scuole, sulla scia di quanto fatto da altri primi cittadini di comuni vesuviani.
Logico allora che in queste condizioni in molti attendessero con fiducia la prima visita a Napoli del responsabile della Protezione Civile Guido Bertolaso nella sua nuova veste di commissario straordinario; incarico che gli è stato conferito venerdì dal consiglio dei ministri al posto del dimissionario Corrado Catenacci, raggiunto da un avviso di garanzia della procura di Benevento per una inchiesta, guarda caso, relativa alla gestione di una discarica. “'Lo faccio per spirito di servizio e per senso del dovere”, ha spiegato Bertolaso, che sarà affiancato in qualità di vice dal prefetto Carlo Alfiero, in passato commissario per l'emergenza ambientale in Calabria. Ma sulla sua scelta ha pesato anche l’incoraggiamento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Mi ha chiamato la settimana scorsa e mi ha invitato ad assumermi questa responsabilità”. Che è sicuramente pesante, soprattutto perché c’è da agire in fretta: «Il mio impegno - ha spiegato allora Bertolaso - è di uscire dalla crisi acuta prestissimo, in una settimana, dieci giorni. È l’emergenza più difficile non tanto perchè non si conoscano le soluzioni, ma perchè non si vogliono adottare». Poi una stilettata: «Sentiremo se c'è qualche regione disposta a dare una mano, ma con amarezza vedo che non c'è disponibilità... ».
Nel frattempo, però, le cure studiate dal governo si scontrano con la difficile realtà locale: tre le nuove discariche da aprire, secondo il decreto del consiglio dei ministri, ma di queste una è già stata sequestrata dalla procura di Ariano Irpino su richiesta del sindaco (è chiusa dal 2004) e per un’altra, quella nuova di Villaricca, sono già iniziate le proteste. Ha da passà a nuttata…

Massimo Solani inviato a Torre del Greco
l'Unità 10 ottobre 2006

lunedì, ottobre 09, 2006

No alla tassa sulle rassegne stampa


(dal sito Mediawatch.com)

Sono contrario all'imposizione di una tassa sulle rassegne stampa realizzate senza scopo di lucro.

Chiedo pertanto che il Parlamento abolisca con un opportuno provvedimento il primo comma dell'articolo 32 del capo IX del decreto legge 3 ottobre 2006 n. 262, recante "Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria", con cui sono state anticipate alcune delle misure previste dal disegno di legge finanziaria 2007.

Questa tassa non aggiungerebbe niente al lavoro dei giornalisti e degli scrittori, ma sarebbe solo un ingiusto guadagno per i gruppi editoriali a cui questi autori hanno ceduto la gestione dei loro diritti.

Chiedo che la legge sul diritto d'autore venga ripristinata nella sua precedente formulazione, in base alla quale "gli articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso, pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico, e gli altri materiali dello stesso carattere possono essere liberamente riprodotti o comunicati al pubblico in altre riviste o giornali, anche radiotelevisivi, se la riproduzione o l'utilizzazione non è stata espressamente riservata, purché si indichino la fonte da cui sono tratti, la data e il nome dell'autore, se riportato".

Chiedo al governo del mio paese di promuovere come previsto dalla stessa Costituzione, lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, anche e soprattutto attraverso la libera circolazione dei saperi e la difesa del diritto a "cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere", stabilito dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

Mi impegno a fare quanto e' in mio potere affinche' venga pubblicamente denunciato ogni tentativo di soffocare la libera iniziativa culturale dei cittadini con obblighi e tassazioni contrarie ai principi costituzionali e ai diritti umani universali.

Per aderire alla campagna

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E' ovvio che questa norma non riguarda soltanto le rassegne stampa, ma precluderebbe anche la possibilità a moltissimi blog (come questo) di riportare articoli di testate giornalistiche. Per questo è fondamentale che la comunità dei bloggers, ma anche tutto il popolo della rete che da anni si batte per la libera diffusione delle idee, combatta perché un simile scempio (proposto ahimè dal centrosinistra di governo) venga cancellato. Per questo vi chiedo di aderire e di diffondere la voce.

mercoledì, ottobre 04, 2006

Hanno ammazzato Osama, Osama è vivo


Riporto qui un bell'articolo scritto dal collega Maurizio Blondet e ripreso dal Giornale On line Effedieffe.com

E’ rimorto Osama

di Maurizio Blondet
03/10/2006

E pensare che giusto una settimana fa
il presidente Bush, nel commemorare l’11 settembre, aveva proclamato: «Osama, l’America ti troverà!». Invece Osama Bin Laden è morto, lo ha detto una fonte saudita a un giornale francese. Dunque è sicuro: Osama è morto, mortissimo. Anzi rimorto.

Perché era già morto più volte. Il 26 dicembre 2001 il giornale egiziano Al-Wafd pubblicò addirittura un necrologio, che dava il triste annuncio delle esequie avvenute, pare dieci giorni prima, il 16 dicembre. E di fatto, l’ultima volta che i centri d’ascolto della spionaggio USA hanno captato la voce del mega-terrorista è stato il 14 dicembre 2001. Il mega-terrorista stava scappando da Tora Bora in Afghanistan, sotto intensi bombardamenti americani. Fu il solo momento in cui la cattura di Osama apparve imminente: era già pronto un commando dei corpi speciali statunitensi che attendeva l’ordine di lanciarsi sull’ultima fortezza di Bin Laden per prenderlo. L’ordine da Bush non arrrivò mai. Osama si rese uccel di bosco: ancora qualche telefonata dal satellitare, intercettata, poi più nulla. Subito è nato qualche dubbio sulla volontà di Bush di prendere davvero l’arcinemico.
Per esempio, si è scoperto che la sera del 10 settembre 2001, ossia poche ore prima dell’attentato che Osama aveva architettato per il World Trade Center sguinzagliando i suoi 19 dirottatori, Bin Laden era stato ricoverato all’ospedale militare di Rawalpindi e sottoposto a dialisi renale.
A rivelarlo non fu un blog complottista, ma Dan Rather, il più celebre anchorman della rete TV CBS, che lanciò lo scoop il 28 gennaio 2002: con tanto di interviste a infermiere e sanitari dell’ospedale pakistano i quali affermavano di aver visto arrivare Osama, all’apparenza molto malato, scortato e sorretto da agenti dell’ISI, il servizio segreto pakistano.

Ora, l’ISI collabora strettamente con la CIA: e visto che l’11 settembre Osama era a letto in un ospedale dell’ISI, avrebbe dovuto immediatamente arrestarlo.
Perché non si fece?
Non si sa.
Ma il 18 gennaio 2002 il presidente pakistano Musharraf disse alla CNN che secondo lui Osama «può essere morto per l'impossibilità di farsi sottoporre a dialisi in latitanza». Seguono altri annunci di decesso. Il capo dell’FBI per l’antiterrorismo, Dale Watson: Osama «è probabilmente morto» (BBC, 18 luglio 2002). Il presidente afghano Karzai: «Sembra che Osama sia morto, ma il mullah Omar è vivo» (CNN, 7 ottobre 2002). Fonti israeliane del Mossad: «Osama è probabilmente morto da dicembre», e i nuovi messaggi video ed audio che gli vengono attribuiti «sono probabilmente falsi» (World Tribune, 16 ottobre 2002).
Da allora, non più una intercettazione, una foto presa da satellite o da uno delle centinaia di aerei senza pilota che sorvolano le zone dove si ritiene sia riparato il comando di Al Qaeda, non una sola soffiata da un informatore: benchè sulla testa di Osama sia stata messa una taglia di 25 milioni di dollari.
Bin Laden non telefona a nessuno, non dà ordini per radio trasmittente né per e-mail, sfugge all’immenso grande orecchio elettronico dello spionaggio anglo-americano, anzi mondiale: come latitanza, il più grande successo della storia. Manda, quando vuole lui, dei video, fatti recapitare per lo più ad Al-Jazeera. Non tanti: in cinque anni, solo 23. Con intervalli di silenzio anche di dieci mesi e oltre.

Cosa notevole, Osama non manca mai di mandare un suo video ad ottobre.
Perché ad ottobre? Perché novembre è un mese di elezioni in USA, e Osama partecipa alla campagna elettorale, rivolgendo i suoi video-messaggi direttamente agli americani.

Celebre il messaggio del 28 ottobre 2004, in cui Osama minacciò un nuovo 11 settembre se gli Stati Uniti non smettevano di attaccare i musulmani nel mondo: un aiutino alla campagna elettorale di Bush, che infatti fu riconfermato nelle votazioni di novembre, dissero i soliti maligni.
La cosa è così regolare, che il novembre 2005, quando mancò il messaggio, qualche esperto si preoccupò: «E’ il primo ottobre dal 2002 che Osama non ha recapitato un video diretto specificamente agli americani», disse allora Ben Venkze, direttore dell’IntelCenter, una ditta privata che, sotto contratto del Pentagono, affianca lo spionaggio USA.
Questa IntelCenter, filiale di un’azienda editoriale, Tempest Publishing Co., che produce video di addestramento anti-terrorismo per l’esercito americano, ha accumulato una strana esperienza sui messaggi di Al Qaeda.
Da quando la IntelCenter si dedica al problema, i messaggi dell’organizzazione terroristica sono più frequenti e meglio «impaginati».
Non sono più in arabo ma in inglese, a cura - si dice - di uno statunitense che fa parte del gruppo terrorista, detto «Azzam l’Americano», Al-Amriki.
E vengono addirittura annunciati con anticipo di 38 o 72 ore.
«L’uso di annunci promozionali e di collages di video ben montati con personaggi che parlano inglese dimostra la crescente sofisticazione nei metodi di relazioni pubbliche di Al Qaeda», ha notato la MSNBC. Eh sì; se dopo l’11 settembre Al Qaeda non ha più commesso un attentato che le possa essere attribuito con sicurezza, l’organizzazione si è riciclata in una casa di produzione di video di un certo successo.
Solo che nei nuovi video Osama non parla più. Appare solo una sua foto, di solito alle spalle di Al-Zawahiri, che con gli occhialetti d’oro e il ditino alzato fà la solita predica coranica condita di minacce (mai realizzatesi), e a rivendicare attentati effettuati (da altri gruppi, come i quattro anglo-pakistani del 7 luglio 2005 a Londra). Allora Osama è proprio morto?

Ma no; nell’aprile scorso, Bush ha assicurato che Osama è vivo. Solo che «si trova in un’area estremamente montuosa e inaccessibile, fra i 3 e 4 mila metri». Dov’è questa zona? «Da qualche parte tra Afghanistan e Palkistan», assicurava il 9 settembre scorso un giornale australiano, lo Hobart Mercury, citando fonti del Pentagono: «Negli ultimi tempi si dice sia dalle parti dell’Hindukush, nell’area tribale di Chitral, sotto il monte Trich Mir, alto 7.700 metri». Non c’è male per un malato di grave insufficienza renale, bisognoso di dialisi tre volte al mese: è diventato un alpinista estremo. A meno che non gli abbiano fatto un trapianto. Sulla catena dell’Hindukush? Improbabile. Magari, al solito ospedale militare di Rawalpindi. Non c’è modo di saperlo. Perché, come ha rivelato pochi giorni fa (il 10 settembre scorso) il Washington Post, la speciale sezione della CIA detta «Alec Station», appositamente creata per dare la caccia a Bin Laden, è stata smantellata da tempo.

Ora, a cacciarlo resta solo un gruppo segretissimo, il Joint Special Operation Command, del Pentagono: insomma ha avocato a sé la faccenda Donald Rumsfeld, la cui efficienza è ben nota, visti i successi in Iraq e in Aghanistan. Del resto, da due anni, le tracce di Osama sono «fredde», dicono le spie usando il linguaggio dei pellerossa. Anzi, «stone cold», fredde come pietra.
Una pietra tombale; Osama è proprio morto.

Invece no. Ecco che una fonte saudita confida a un giornale francese di provincia che Osama è vivo: anzi era vivo fino ad agosto, poi è rimorto. Di tifo, stavolta. Fate caso alla data: fine di settembre. Solo un po’ in anticipo su ottobre, il mese classico delle «october surprise», ossia delle rivelazioni, notizie o scandali che tradizionalmente, in USA, vengono fatte saltar fuori per influenzare le elezioni. E Bush deve affrontare a novembre le elezioni di medio termine, con tutti i sondaggi che lo danno perdente. Osama è rimorto: la notizia aiuterà Bush, stavolta?

October surprise.

Maurizio Blondet