lunedì, dicembre 11, 2006

Liberiamo la vita

Coppie di fatto, eutanasia..... ogni giorno che passa capisco di essere sempre meno in sintonia con questo paese. O forse dovrei dire con i sui rappresentanti politici. Molti dei quali sono pronti a sventolare la bandiera del cattolicesimo come brandissero una clava, usando ragionamenti morali e scelte etiche non per orientare il proprio cammino di vita ma per costringere quello degli altri all'interno di stretti vincoli che loro stessi vogliono imporre. Non sono cattolico, anzi a dire il vero non sono proprio credente, ma penso che non basti credere in una entità spirituale ultraterrena per imporre vincoli e diktat anche a chi avrebbe tutto il diritto, piuttosto, di scegliere diversamente per la propria vita. Perché altrimenti la religione e la morale diventano fondamentalismo, e il fondamentalismo religioso è sempre uguale a se stesso. A Roma come a Kabul.

Dico questo perchè nelle ultime settimane mi ha molto colpito la vicenda d Piergiorgio Welby, malato di distrofia da decenni e tenuto in vita dalle macchine che lo fanno respirare e lo nutrono. Piergiorgio la sua decisione l'ha presa: vuole morire. Ha chiesto aiuto al presidente della Repubblica Napolitano e a tutti coloro che gli sono stati vicini in questi anni di malattia. Eppure il suo grido disperato continua a rimbalzare fra palazzi della politica e le stanze vaticane senza ottenere ascolto. Le televisioni ne parlano, la politica ne parla, ma intanto il tempo passa e Piergiorgio sta ogni giorno peggio. Non lo conosco, ma conosco da molto vicino una persona che oggi soffre in un letto in attesa della morte. Ho guardato negli occhi quella persona un tempo così piena di vita e ho capito che la vita è un diritto, non può essere un dovere. Specie se a importi il dovere è qualcuno che non ti conosce, che non conosce le tue sofferenze, il tuo amore per la vita e la tua voglia di farla finita con una cosa che vita non è più. Non conosco Piergiorgio, e mi piacerebbe potergli essere d'aiuto, Ma c'è un solo modo per aiutare lui e scuotere le coscienze sui casi dei tanti Piergiorgio che in ogni parte d'Italia muoiono un pò alla volta in un letto troppo scomodo.

Sono disposto a staccare la spina a Piergiorgio. Lo dico sul serio.

Sono disposto ad esaudire il suo ultimo desiderio, indipendentemente dalle conseguenze penali che questo comporterebbe. Non mi spaventa il carcere, se la mia reclusione significa la libertà di Piergiorgio. Di Piergiorgio oggi e di chissà quanti come lui domani.
Perché la gente si indigni, una volta per tutte. E per tutti.

Questo blog è uno spazio troppo piccolo per lanciare appelli, ma se qualcuno è d'accordo con me lo dica, lo scriva, lo gridi. Quella spina, in caso, la staccheremo tutti insieme.

venerdì, dicembre 01, 2006

World Aids Day

Oggi è la giornata mondiale contro l'Aids. Non c'è bisogno di molte parole, basta un simbolo e un sito Internet. Questo.

Indossiamo tutti il fiocco rosso della lotta, perché un giorno si possa tornare ad amare senza paura, a nascere senza paura. E a vivere, senza paura.

Indossiamo tutti il fiocco rosso della lotta, per quei bambini che ogni giorno nascono già malati, senza nessuna colpa.

giovedì, novembre 30, 2006

Placanica: non ho ucciso Carlo Giuliani

«Quando mi sono visto il sangue sulle mani ho tolto la sicura e ho caricato». «Non vedevo praticamente nulla, ero quasi steso. Mi è arrivato l’estintore sullo stinco, io ho gridato che avrei sparato, poi ho sparato in aria. Sono convinto di aver sparatoin aria, non ho preso la mira, è la verità». Dopo mesi di silenzio, un congedo assoluto, una candidatura politica e una misteriosa richiesta di danni ai genitori di Carlo Giuliani, Mario Placanica torna a parlare. E lo fa con una lunga intervista rilasciata al quotidiano Calabria Ora in cui ha raccontato i giorni del G8, i minuti precedenti l’uccisione di Carlo Giuliani, le ore successive e i mesi fino alla sua “cacciata” dell’arma. Sempre ripetendo la sua ultima verità: ho sparato in aria, non ho ammazzato io Carlo Giuliani. «Io non ero sicuro di averlo ucciso - spiega l’ex carabiniere - Mi venivano i dubbi perché se io ho sparato in aria, come fanno a dire che l’ho colpito in faccia, che sono un cecchino». E ancora: «Sono un capro espiatorio usato per coprire qualcuno». Ma l’intervista di Placanica è anche l’occasione per raccontare l’atmosfera che faceva da contorno alle giornate del G8 e all’assassinio di Giuliani: «Ci dicevano di stare attenti, ci raccontavano che ci avrebbero tirato sacche di sangue infetto. Ci dicevano di attacchi terroristici. La sensazione era come se dovessimo andare in guerra». Una guerra culminata con un ragazzo morto sul selciato, il viso trafitto da una pallottola. Una tragedia, piuttosto una festa per qualcuno. Come i commilitoni che accolsero Placanica in caserma la sera del 20 luglio. «Mi chiamavano il killer. I colleghi hanno fatto festa, mi hanno regalato un basco dei Tuscania, “benvenuto fra gli assassini”, mi hanno detto. Erano contenti. Dicevano morte sua vita mia, cantavano canzoni. Hanno fatto una canzone su Carlo Giuliani». Insulti alla memoria, gravi quanto lo scempio fatto del cadavere di Carlo a piazza Alimonda. «Ci sono troppe cose che non sono chiare. Mi riferisco a quello che è successo dopo a piazza Alimonda. Perché alcuni militari hanno “lavorato” sul corpo di Giuliani? Perché gli hanno fracassato la testa con una pietra?». Perplessità sulle dichiarazioni di Placanica vengono espresse anche dal Comando Generale dell’Arma che ha chiesto che il testo dell’intervista «sia rimesso alle valutazioni dell’Autorità giudiziaria, anche a tutela degli interessi del personale chiamato in causa».Ma le parole di Placanica hanno riaperto la querelle sulla commissione d’inchiesta sui fatti del G8 (prevista dal programma dell’Unione ma “ferma” in commissione Affari costituzionali a Montecitorio, osteggiata dal centrodestra ma anche da Italia dei Valori e Rosa nel Pugno), un atto di indagine auspicato dallo stesso Placanica: «sarebbe l’occasione per fare luce su quello che è accaduto», ha spiegato l’ex carabiniere che nel maggio 2003 si è visto archiviare dal tribunale di Genova l’accusa di omicidio volontario. «L’unico modo per fare chiarezza - ha commentato Haidi Giuliani, mamma di Carlo ora senatrice di Rifondazione - è in un pubblico dibattimento nell’ambito di un processo e credo che la commissione di inchiesta si debba assolutamente fare. Se è vero, come dice Placanica, che non ha ucciso lui Carlo perché ha sparato in aria, è stato indotto a mentire per coprire il vero assassino. Spero che la magistratura apra immediatamente un’inchiesta e che la verità venga ristabilita. Dopo le sue affermazioni - ha concluso Haidi Gaggio Giuliani - vorrei che Placanica venisse messo sotto protezione». E se Rifondazione torna a chiedere la commissione d’inchiesta, da destra è un coro di no: «Noi siamo totalmente contrari», liquida lapidario Pier Ferdinando Casini. «Ci sono cose più importanti da fare» gli fa eco Ignazio La Russa.

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Quattro chiacchiere con Giuliano Giuliani, papà di Carlo.

Giuliano Giuliani è nella sua casa sulle colline sopra Genova, la stessa dove il 20 luglio del 2001 apprese della morte di suo figlio Carlo. «È una ferita che non si è mai chiusa - spiega - e che ogni volta fa più male. Ma assieme al dolore c’è la voglia di arrivare ad un dibattito pubblico su piazza Alimonda».

Quel dibattito che è stato negato dal tribunale...

«Certamente. Placanica dice di non aver ucciso Carlo e di aver sparato verso l’alto, ma i filmati mostrano una pistola che spara ad altezza uomo parallela al suolo. Allora manca qualcosa per arrivare alla verità».

Interpreto: o Placanica mente o c’è qualcun altro che ha sparato?

«Esatto. Quanti erano davvero su quel defender? Placanica spiega che dietro erano solo in due, più l’autista. Ma in tribunale nel processo per devastazione e saccheggio, il carabiniere Raffone raccontò una versione diversa. Disse per sei volte che Placanica lo aveva schiacciato sul fondo della jeep che “si era messo sopra per difenderci”, usando il plurale. Chi altro c’era allora a bordo?»

Un “graduato” coperto dalla versione ufficiale, come avete denunciato?

«La ricostruzione del sasso che devia il proiettile è una menzogna usata per nascondere il fatto che il proiettile che ha ucciso Carlo non era uno di quelli d’ordinanza. Non sono un esperto d’armi, ma tutti quelli che noi abbiamo contattato concordano su un punto: un calibro 9 parabellum, come quelli usati dai carabinieri, a tre metri di distanza non può provocare un foro d’entrata di 8 millimetri. Allora chi ha sparato?».

Oltraggi al cadavere di Carlo e festeggiamenti in caserma. Che effetto fanno questi racconti?

«Quando si arriva a spaccare la testa ad un ragazzo che è stato appena colpito al volto da un proiettile significa che si è perso ogni residuo di dignità umana. E poi i festeggiamenti e i “benvenuto fra gli assassini”... in questi mesi abbiamo giustamente deprecato e ci siamo giustamente scandalizzato per quei cori disumani che inneggiavano alla strage di Nassiriya, ma qualcuno adesso vorrà usare la stessa indignazione per questa cosa? Non sono due episodi identici? Anzi, forse questa è ancora più grave, perché sarebbe stata detta da rappresentanti dello Stato».

Massimo Solani
l'Unità 30 novembre 2006

martedì, novembre 21, 2006

Il Biscione fa spesa all'estero?


Oggi non tedierò nessuno con squallide storie di servizi segreti, barbe finte e veri furbi. Della "defenestrazione" di Niccolò Pollari sono pieni i giornali, delle foto dei nuovi vertici di Sismi, Sisde e Cesis sono piene le home di tutti i siti Internet. Per cui passo avanti e vi segnalo un articolo molto interessante apparso ieri nelle pagine economiche del quotidiano spagnolo El Pais. Dispiace solo che certe notizie, pur riguardando l'Italia, dobbiamo leggerle su un giornale straniero. Ma si sa, un pò per faziosità di parte (di entrambe le parti ad essere onesti) un po' perché a forza di conviverci sembra quasi diventato usuale anche il conflitto di interessi, da noi s'è persa quasi la capacità di farsi ancora certe domande. Che guarda caso sono spesso scomode. In ogni caso ringrazio Francesco per la segnalazione.

Stando a quanto scrive El Pais, "fallito il tentativo di partecipare all'asta per l'acquisto del 50,5% di Pro Sieben-Sat1 in Germania, il primo gruppo televisivo commerciale in Germania" Mediaset sembra comunque intenzionata a fare shopping all'estero. Tanto che soltanto la settimana scorsa ha di nuovo manifestato il suo interesse per Endemol, il gruppo Olandese proprietario di format quali "Il Grande fratello" (sic), di cui attualmente è azionista di maggioranza (con il 75%) la spagnola Telephonica. "Endemol ha un valore di mercato stimato attorno ai 1.100 milion di euro - scrive El Pais - mentre l'avventura tedesca sarebbe costata più di 3000 miliardi. Il che dà un'idea delle risorse di cui dispone il gruppo Berlusconi. Mediaset infatti l'anno passato ha ottenuto guadagni per 603 milioni di euro e nel 2006 si avvicinerà ai 550 milioni".
Ma perchè il Biscione sembra improvvisamente interessato a quanto succede all'estero se le cose vanno tanto bene in Italia? "L'intenzione di investire all'estero - secondo il quotidiano spagnolo - è rafforzata dal progetto di legge di riforma televisiva elaborato dal governo Prodi. Il centrosinistra vuole infatti porre rimedio alll'egemonia di Silvio Berlusconi sul mercato pubblicitario italiano, attraverso la concessionaria Publitalia, e al dupolio di Mediaset e del servizio pubblico Rai, che assieme assorbono il 90% degli spot televisivi, il 50% del totale del mercato pubblicitario e l'85% dell'audience". Prosegue El Pais: "Berlusconi ha detto che se verrà approvata la legge, Mediaset sarà costretta chiudere. Non è certo, però di sicuro si aprirà una maggiore possibilità per la concorrenza: un canale Mediaset (Rete4) e uno Rai (probabilmente Rai3) dovranno infatti passare anticipatamente al sistema digitale terrestre, il che libererà frequenze per nuovi gruppi privati".
Ma Mediaset, secondo il quotidiano spagnolo, accusa anche il governo di voler favorire (attraverso la riforma Gentiloni) la tv satellitare Sky "sottolinenando ogni volta che può la condizione di "straniera" del gruppo dell'australiano Murdoch senza però accorgersi, evidentemente, che anche Telecinco lo sarebbe per la Spagna".

Domanda facile facile: possibile che il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi sia così grande da vedersi in Spagna ma non Italia? Possibile che la Spagna capisca quanto l'Italia abbia bisogno di una legge seria di riforma del sistema televisivo e qui da noi le oche capitoline continuano a nascondersi dietro al dito della vendetta comunista contro l'ex premier?

Povera Italia.

giovedì, novembre 16, 2006

ControMafie

Come diceva domenica scorsa Serena Dandini, quando Don Ciotti chiama noi rispondiamo sempre presente. E allora ecco la chiamata: da domani a domenica tutti a Roma a ControMafie, gli stati generali dell'antimafia Ci saranno un pò tutti, e si parlerà di tante cose che hanno a che fare con la legalità, con la lotta contro la criminalità organizzata e con questo nostro povero paese. Ci saranno i ragazzi di "Addio Pizzo" di Palermo, quelli di "E adesso ammazzateci tutti" di Locri, i torinesi di Libera e tanti altri. Ci sarà la parte migliore di questo paese, quella che non si arrende allle prepotenze dei "mammasantissima", all'arroganza del potere e alla zona grigia che circonda ogni fenomeno mafioso. Ci saremo anche noi, per dire ancora una volta grazie a Don Ciotti e a tutti i suoi collaboratori.

Per chi volesse maggiori informazioni sul programma della tre giorni, basta consultare il sito di Libera

mercoledì, novembre 08, 2006

Sismi, le bugie e i ricatti del "compagno" Pompa


Una figuraccia, nella migliore e forse più ingenua delle ipotesi. Una sceneggiata imbarazzante, nella più realistica, condita da spiegazioni farsesche e messaggi politici nascosti sotto una goffaggine ostentata quanto sospetta. E’ durata oltre tre ore l’audizione di Pio Pompa davanti al comitato parlamentare di controllo sull’attività dei servizi segreti. Una deposizione condita per lo più da contraddizioni, versioni di comodo, difese maldestre e frecciate tutta da decifrare. Tanto che alla fine, su una cosa tutti i membri del Copaco erano d’accordo: le risposte dell’“analista di fonti aperte internazionali e Internet” (per sua stessa definizione) sono state “insufficienti e contraddittorie” (secondo il presidente Claudio Scajola, Forza Italia) o peggio “imbarazzanti” (per dirla come il vice Massimo Brutti, diessino). Ed è quasi normale che a questo punto unanime sia la speranza che il governo ponga mano quanto prima al ricambio dei vertici dei servizi. Perché da qualsiasi angolazione la si voglia vedere, il titolare dell’ufficio “disinformazione” del Sismi di via Nazionale e braccio destro di Pollari non ha fornito una sola spiegazione convincente a quello che le indagini della procura milanese ha portato alla luce in questi mesi.
Al centro della scena lui, l’ex dipendente Telecom abruzzese e professore universitario a contratto diventato di colpo braccio destro del direttore del servizio segreto militare e fatto assumere proprio da Niccolò Pollari in pianta stabile al Sismi grazie alle “raccomandazioni” del fondatore del San Raffaele Don Verzè (l’ha spiegato lui stesso). Curvo, quasi ingobbito dietro agli spessi occhiali da miope con la montatura pesante, a San Macuto Pompa ha deciso di rompere il silenzio tenuto in procura a Milano e, con in tasca una autorizzazione del ministero della Difesa e un più che probabile invito a presentarsi caldeggiato dal suo superiore Pollari, con i membri del Copaco si è impegnato in una lungo e confuso slalom. “Sono qui per difendermi - ha spiegato –, perché i giornali ne hanno dette di tutti i colori sul mio conto. Sono stato dipinto come un inquinatore, ma io non ho fatto nulla”. Parole che contrastano in maniera stridente con quanto emerso dall’inchiesta milanese sul rapimento Abu Omar (nella quale è indagato per favoreggiamento) che ha messo in luce i tentativi del Sismi di controllare tanto l’attività di alcuni giornalisti (sottoposti persino a intercettazioni telefoniche) quanto quella dei magistrati Spataro e Pomarici (anche grazie all’opera del vicedirettore di LIbero Renato Farina, che peraltro ha chiesto di essere sentito dal Copaco presentando una lunga memoria difensiva). “Farina non era retribuito, le ricevute di pagamento erano soltanto relative ad alcuni rimborsi. – si è limitato a spiegare Pompa, che al Copaco di è presentato con due trolley carichi di carte e che ha consegnato un voluminoso dossier di documenti personali –. Io avevo rapporti con molti giornalisti di molte testate. Anche arabi”. Giornalisti di cui Pompa non ha esitato a fare nomi e cognomi.
Spinoso il capitolo relativo al dossier rinvenuto in via Nazionale sulla struttura dei nemici del governo Berlusconi da “disarticolare” anche con mezzi traumatici: “Quel documento mi è arrivato da un anonimo a L’Aquila – ha spiegato –. Lo avevo dimenticato, è rimasto per molti mesi in una borsa”. Eppure, stando almeno alle ricostruzioni della procura di Milano, Pompa è stato ispiratore di una campagna di stampa diffamatoria contro Romano Prodi. “Ma io sono figlio di operai, da giovane ero comunista – si è difeso – e diffondevo l’Unità. Ho persino fatto una tesi di laurea su Togliatti e il Mezzogiorno. E alle ultime elezioni ho votato per Romano Prodi”.
Ma per certi versi, davanti al Copaco Pompa ha persino scaricato il suo benefattore Pollari smentendo di avere avuto un ruolo nella diffusione di un’altra polpetta avvelenata contro Prodi, ossia quella dell’ormai famigerato dossier Telekom Serbia. Versione accreditata dallo stesso Pollari ai magistrati del capoluogo piemontese. “Io non ho confezionato nulla – ha raccontato Pompa – nel 2001 raccolsi un’interrogazione parlamentare dell’onorevole Bocchino e la consegnai a Pollari. Io non c’entro nulla”. Verità o bugie, difficile capirlo. Lapidario in proposito il commento di Milziade Caprili (Rifondazione) all’uscita da San Macuto: “Pompa non mi ha convinto neanche quando ci ha detto come si chiama”.
Massimo Solani
l'Unità 8 novembre

giovedì, novembre 02, 2006

Cento morti e non sentirli


Nel 2005 la camorra ha fatto secche 90 persone. Nel 2006 solo 76, ma ha ancora due mesi di tempo per eguagliare il record. La risposta dello Stato, però, è stata all’altezza della situazione. In attesa di inviare mille poliziotti in più, che andranno ad aggiungersi ai 13.500 già schierati sul campo, il Parlamento ha già provveduto, con l’indulto, a inviare sul posto altri delinquenti in più, casomai non bastassero quelli già a piede libero. Ora, se misurassimo, anche a spanne, le parole dedicate dalla classe politica, e dunque da giornali e tv al seguito, all’analisi della criminalità organizzata e dei rimedi per combatterla, e lo confrontassimo con quelle usate sul fronte del fondamentalismo islamico, il rapporto sarebbe di uno a dieci, forse di uno a mille. Eppure, a oggi, i morti per terrorismo islamico sul territorio italiano sono zero. Mentre i morti per camorra, mafia, ‘ndrangheta e Sacra Corona sono centinaia ogni anno.
Le ultime stragi, in Italia, le ha fatte un’organizzazione terroristica denominata Cosa Nostra nel 1992-’93, fra Palermo, Milano, Firenze e Roma. Gli esecutori materiali sono dentro, mentre i mandanti «esterni» restano, secondo le stesse sentenze che condannano gli esecutori, «a volto coperto». Cioè fuori. La Seconda Repubblica - come ha ricordato l’altroieri il pm Ingroia presentando a Palermo «Il gioco grande» di Giuseppe Lobianco e Sandra Rizza (Ed. Riuniti) ­ «è nata sul sangue dei magistrati, degli uomini di scorta e dei cittadini assassinati in quella mattanza, ma i mandanti non interessano a nessuno».
In compenso, con uno sforzo di altruismo davvero encomiabile, siamo molto interessati ai mandanti delle stragi in casa d’altri, tant’è che da quattro anni collaboriamo a radere al suolo l’Afghanistan e l’Iraq, senza peraltro cavarne un ragno dal buco, mentre dei morti di casa nostra, anzi di Cosa Nostra, allegramente c’infischiamo. Uno straniero che, per masochismo, leggesse l’opera omnia dei nostri migliori intellettuali, da Panebianco a Ferrara, verrebbe colto da un lievissimo senso di spaesamento: possibile che queste teste d’uovo non parlino d’altro che di Islam radicale, avendo sull’uscio di casa pericoli ben più concreti e incombenti che parlano e sparano in italiano? Per tutta l’estate ha spopolato un editoriale di Panebianco, a metà strada tra Kafka e Ionesco, che domandava se non sia il caso di autorizzare una «zona grigia» di illegalità per consentire ai nostri servizi di torturare almeno un po’ i terroristi islamici (che fortunatamente, finora, In Italia non hanno sparato neppure un petardo a Capodanno). Ora ferve il dibattito su quell’autentica emergenza nazionale che sono le donne col velo islamico, per non parlare delle due o tre avvistate in Val Brembana addirittura col burka. I passamontagna e i giubbotti con kalashnikov incorporato a Napoli e Reggio Calabria allarmano molto meno. Giuliano Ferrara, sempre molto intelligente ma soprattutto molto intelligence, dedica colate di piombo (di tipografia) alle gravi minacce incombenti sui vignettisti danesi che prendono per i fondelli Maometto, per poi scoprire che in Italia c’è uno scrittore, Roberto Saviano, che finisce sotto scorta per essersi occupato di mafia, cioè di un tema che da parecchi anni è uscito dall’agenda dei molto intelligenti (salvo, si capisce, quando si tratta di attaccare i magistrati antimafia, spontaneamente o su commissione del Sismi). Ancora l’altro giorno s’invocavano pene esemplari contro l’imam di Segrate, reo di aver dato dell’ ignorante alla signora Santanchè che si era dimostrata ignorante in fatto di Corano. E Magdi Allam, sul Corriere, ammoniva severamente chi consente ad Al Jazeera di celebrare l’anniversario della sua fondazione. Ora, per carità, non saremo noi a sottovalutare il pericolo della propaganda televisiva contro chi combatte, o dice di combattere, il terrorismo islamico. Ma della propaganda televisiva contro chi combatte le mafie ne vogliamo parlare? Ieri, sul Foglio, Lino Jannuzzi rivendicava con orgoglio i suoi rapporti con i servizi deviati, con Gelli, Liggio, Michele Greco detto «il Papa», Ciancimino e altri galantuomini, sostenendo che avere «molti amici criminali» è normale, «perché sono un giornalista». Fortuna che nessuno di quegli amici si chiama Mohammed. Altrimenti, invece di pubblicargli il pezzo, Ferrara lo faceva arrestare su due piedi.


Marco Travaglio, Uliwood party
l'Unità 2 novembre

lunedì, ottobre 30, 2006

Noi non dimenticheremo Anna Politkovskaja


«Internazionale», l'associazione «Articolo 21» e la televisione satellitare «Nessuno TV» promuovono un'iniziativa comune in memoria di Anna Politkovskaja. Si tratta di una cartolina indirizzata all'Ambasciatore della Federazione Russa in Italia, che sarà possibile trovare nei prossimi tre numeri della rivista Internazionale e in tutte le principali librerie italiane. E' anche possibile sottoscrivere l'appello online sul sito di Articolo 21.

domenica, ottobre 29, 2006

Problemi tecnici

Purtroppo per alcuni problemi tecnici riesco solo ora ad aggiornare il blog, e a pubblicare i numerosi commenti (ed insulti a dire il vero) che nei giorni scorsi hanno fatto seguito al post sul dossier del sismi contro i "nemici" del governo Berlusconi. Provvedo subito.
Mi spiace vedere che di fronte a certe notizie, anzichè riflettere sullo stato delle cose in questo nostro strano paese (e sì che con quanto uscito in questi giorni sulle incursioni telematiche, le intercettazioni illegali e chi più ne ha più ne metta, ce ne sarebbe davvero il bisogno), molta gente preferisca continuare ad aggrapparsi a certi steccati ideologici, a certi insulti meschini che a poco servono se non ad alimentare una spaccatura "politica" che da anni paralizza questo povero paese.

Pazienza. Agli insulti come "comunista di merda" ci ho fatto il callo, e come diceva Nietzsche ciò che non ci uccide ci rende più forti. Che poi dalle mie parti sarebbe "quello che non strozza, ingrassa".

giovedì, ottobre 26, 2006

Capello, le tasse e la Spagna


«La Spagna sì che è un paese serio: qui ti fanno la multa anche se ti chiami Fabio Capello, e chi evade le tasse viene punito. Non come in Italia». Il Fabio Capello che così tuona contro l’evasione fiscale dai microfoni della radio spagnola “Cadena Ser” sarà mica lo stesso Fabio Capello che nel novembre del 2002, quando era allenatore della Roma, davanti al gip di Como patteggiò una pena di tre mesi (commutandola in una sanzione di 3.500 euro) per «concorso in abuso d’ufficio e falso»? Secondo l’ipotesi del pm lariano Daniela Meliota, infatti, il tecnico pluriscudettato aveva «fraudolentemente» trasferito la propria residenza a Campione d’Italia (con la collaborazione del sindaco Roberto Salmoiraghi) per godere dei vantaggi economici dell’enclave italiana in terra svizzera. E ancora: il Fabio Capello che parla dalla Spagna è per caso lo stesso Fabio Capello che non ha mai nascosto simpatie per Forza Italia (tanto che nel novembre 2005 partecipò alla convention azzurra di Sorrento organizzata per i giovani da Marcello Dell’Utri)? E Forza Italia non faceva per caso parte della coalizione di governo che approvò il condono fiscale? Forse ricordiamo male noi....

Il Sismi: "Colpire i nemici di Berlusconi"


Magistrati come Edmondo Bruti Liberati, Gherardo Colombo e Giovanni Salvi. E poi politici dell’opposizione come Luciano Violante e Massimo Brutti. Tutti membri di una struttura considerata «nemica» del governo Berlusconi e che, per questo motivo, andava «neutralizzata», «disarticolata» al più presto anche «con azioni traumatiche». È la clamorosa scoperta fatta dalla polizia giudiziaria negli enormi archivi scoperti all’ultimo piano di via Nazionale 230, nell’appartamento-ufficio del funzionario Sismi Pio Pompa. Un piccolo dossier di meno di venti pagine che la procura milanese (sono state le indagini dei pm Armando Spataro e Ferdinando Pomarici sul rapimento dell’ex imam della moschea di viale Jenner Abu Omar a portare fino al cuore della capitale, negli uffici di via Nazionale) ha inviato nella sera di martedì a Palazzo San Macuto nella sede del Comitato di Controllo Parlamentare di Controllo sull’attività dei Servizi Segreti e che i membri del Copaco hanno visionato fra lo stupore generale ieri prima dell’audizione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Micheli.
Un documento cartaceo con tanto di annotazioni a margine scritte a mano, uno delle centinaia di faldoni rinvenuti nel grande attico di via Nazionale fra le carte collezionate dal braccio destro del direttore del servizio segreto militare Niccolò Pollari assieme ai dossier su giornalisti, politici, magistrati e persino sul capo della Polizia Gianni De Gennaro. Poche pagine, una ventina in tutto, divise in due sezioni. La prima una lista di elementi ritenuti membri di una struttura nemica del governo Berlusconi comprendente politici e soprattutto magistrati: fra loro anche l’ex segretario dell’Associazione nazionale magistrati e oggi procuratore aggiunto di Milano Edmondo Bruti Liberati, l’ex pm e oggi consigliere presso la Corte di Cassazione Gherardo Colombo, l’ex vicesegretario generale nonché vicepresidente dell’Anm Giovanni Salvi, l’ex capogruppo diessino alla Camera Luciano Violante e l’attuale vicepresidente del Copaco Massimo Brutti. Personalità, è spiegato nella seconda parte del dossier in un linguaggio criptico tipico delle informative riservate e oscure degli spioni, considerate a diverso titolo membri di una struttura “nemica” del governo Berlusconi e potenzialmente in grado di “creare problemi” all’attività dell’esecutivo di centrodestra. E per questo motivo, una struttura da “neutralizzare”, da “disarticolare” anche ricorrendo ad “azioni traumatiche”. Un linguaggio allarmante, che aggiunge un inquietante tassello al vecchio e stantio refrain delle toghe rosse politicizzate e del connubio fra magistrati e sinistra uniti in un complotto contro l’ex presidente del Consiglio e leader di Forza Italia. Un documento che rende ancora più inquietante quanto emerso in questi mesi dalle inchieste della procura milanese su intercettazioni abusive, pedinamenti, investigatori privati al soldo di Telecom, servizi deviati, stampa compiacente e operazioni segrete targate Cia.
E se le poche certezze sul documento, almeno per ora, tratteggiano uno scenario ai limiti dell’emergenza democratica, molti sono invece i dubbi che circondano il dossier. Innanzitutto la sua collocazione temporale: perché se quasi certo è che l’inizio del lavoro di dossieraggio è riconducibile ai primi mesi del governo Berlusconi, quasi sicuramente le successive pagine sono state realizzate in un secondo tempo, forse anche a distanza di molti mesi. Difficile per ora anche attribuire una paternità al documento trasmesso dalla procura milanese al Copaco. Perché se le annotazioni scritte a meno margine dei fogli e la sua scoperta negli armadi del grande archivio (parzialmente rimasto ancora inesplorato) di via Nazionale 320 farebbero pensare ad un testo redatto proprio dal braccio destro di Polalri e addetto alla disinformazione Pio Pompa, non è da escludere che la mano nascosta dietro alle pagine del piccolo dossier possa essere quella di un qualche “zelante spione” ansioso di ben figurare con i vertici del Sismi e con il nuovo esecutivo.

Massimo Solani
l'Unità 26 ottobre 2006

martedì, ottobre 24, 2006

Tassa sulle rassegne stampa, qualcosa si muove


Innanzitutto mi scuso con voi per il prolungato silenzio., Purtroppo alcuni impegni di lavoro mi hanno tenuto lontano dal pc e da questo piccolo divertimento.
Detto questo, torniamo sull'argomento di cui al titolo per segnalare una importante novità. E' troppo presto per cantar vittoria, sia chiaro, ma qualcosa si muove e nel verso giusto. Speriamo che sia solo il primo passo.
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Ieri pomeriggio le Commissioni riunite Bilancio e Finanza della Camera hanno approvato l'emendamento del deputato della Rosa nel Pugno Maurizio Turco che sopprime l'articolo 32 del decreto fiscale collegato alla Finanziara. Esso prevedeva che "i soggetti che realizzano, con qualsiasi mezzo, la riproduzione totale o parziale di articoli di riviste o giornali, devono corrispondere un compenso agli editori per le opere da cui i suddetti articoli sono tratti". La soppressione definitiva di tale articolo sarà adesso rimessa al voto dell'aula. "Ai tempi di Internet, impedire la libera circolazione dei contenuti informativi dei giornali sarebbe a dir poco un assurdo" dichiara l'on. Maurizio Turco. "Chiedo pertanto che il Governo, qualora decidesse di porre la fiducia sull'approvazione del decreto, recepisca il pronunciamento del Parlamento".

lunedì, ottobre 16, 2006

"Lotito, attento a tua moglie. Ricordi il Circeo?"

RICCHI, TEMUTI e rispettati. Usati per costringere un presidente a cedere la società, ma abbastanza accorti da sapere di aver tutto da guadagnare (economicamente) dal cambio di gestione. Sono i membri del direttivo degli «Irriducibili» arrestati (Yuri Alviti, Fabrizio Toffolo, Paolo Arcivieri e Fabrizio Piscitelli), i protagonisti assoluti dell’ordinanza di custodia cautelare del gip del tribunale di Roma. Un gruppo già noto alla procura, visto che sui quattro (oltre a qualche condanna per reati «da stadio») pende già una richiesta di rinvio a giudizio per associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione, alla violenza privata, all’istigazione a delinquere, al danneggiamento, alle lesione e all’utilizzo di armi improprie. Una inchiesta che, guarda caso, prese le mosse dalle denunce dell’ex presidente biancoceleste Sergio Cragnotti. E anche in quella vicenda c’erano di mezzo pressioni, minacce (e botte, a due giornalisti) e i soldi del merchandising ufficiale.
MINACCE CONTO TERZI Compito appaltato agli Irriducibili da parte della cordata-Chinaglia, secondo la procura, era quello di «fare pressioni» su Claudio Lotito per costringerlo a cedere. Pressioni che significano essenzialmente minacce. Come quelle recapitate in sede attraverso lettere anonime che erano firmate «gli amici di tua moglie». «Stai attento alla tue bella mogliettina - si legge in uno di questi messaggi - o non sarai tu l’oggetto delle nostre attenzioni ma tua moglie... hai presente il Circeo?». E ancora: «Tua moglie ha delle belle gambe, peccato che gliele spezzeremo». «Le indagini - scrive il gip Guglielmo Muntoni - sono partite dalle azioni del direttivo degli Irriducibili che gli altri indagati, il gruppo rappresentato da Chinaglia, hanno scelto come alleato per esercitare una forte pressione su Lotito al fine di costringerlo a cedere la società, sapendo poi di poter contare sulla collaudata vocazione ad azioni violente del quartetto che compone il direttivo degli ultras».
TENTATE AGGRESSIONI Non solo minacce, però. Perché secondo il gip Muntoni, il gruppo direttivo degli Irriducibili avrebbe anche più volte provato ad aggredire il presidente Lotito. «Toffolo - è scritto nell’ordinanza - ha manifestato la propria volontà di compiere atti violenti contro Lotito il 14 maggio 2006, quando lo stesso all’uscita dallo stadio, mentre percorreva una strada cittadina, accortosi della presenza dell’autovettura con a bordo il presidente Lotito, noncurante che la stessa fosse, tra l’altro, scortata da personale della Polizia di Stato, l’affiancava rivolgendosi nei confronti di Lotito con le parole “A pezzo di m...” - “Lotito rotto in c...” - “Ti sei venduto le partite scendi se hai coraggio”. Analoghe iniziative violente direttamente contro Lotito sono state organizzate da Piscitelli, pronto a colpire Lotito in un ristorante individuato grazie al fratello, fermato solo dalla presenza di numerose persone di scorta. Davvero allarmanti sono le telefonate nelle quali Toffolo, Alviti e Piscitelli conversano in merito a particolari circostanziati relativi ai movimenti di Lotito, ai locali frequentati da questi, al chi fosse l’autista che lo accompagnava, alla targa della sua auto ricordata a memoria da Toffolo o quello in relazione a cui emerge la spavalderia di Piscitelli che si dichiara pronto ad affrontare anche la reazione del personale di scorta».
IRRIDUCIBILI SPA è il modo in cui, in giro per gli stadi d’Italia, gli ultras «nemici» sfottevano il gruppo laziale per la spiccata propensione agli affari. Un ritratto che, nelle oltre cento pagine di ordinanza, esce addirittura rafforzato. Perché secondo il gip Muntoni gli ultras biancocelesti, favorendo l’avvento della cordata ungherese, puntavano a ripristinare «lucrosi privilegi di cui avevano goduto nelle gestioni precedenti» e che «si andavano ridimensionando» per le scelte dell’attuale proprietario. «Calcola che se rimane Lotito, qua dobbiamo rivedè tutto perché probabilmente chiudemo tutto - spiega infatti Toffolo in una telefonata - Se se ne va Lotito... se nò a settembre chiudemo». E proprio Chinaglia, scrive il gip, «favorito dal suo prestigioso passato di calciatore della Lazio e dal suo rapporto con gli Irriducibili, ha agevolato il rapporto con gli ultras, fornendo ai medesimi utilità immediate e promettendo futuri guadagni». Utilità immediate come «una dazione di denaro per l’acquisto di striscioni finalizzati alla violenta contestazione» e la «possibilità di avere a disposizione uno studio legale, a titolo gratuito, a cui rivolgersi in caso di necessità». Addirittura, i quattro del direttivo degli «Irriducibili» speravano in futuro in un ruolo dirigenziale in seno alla nuova società: «C’ho la Lazio nelle mani mia - spiega Toffolo in una telefonata - st’altr’anno me vedrai in tribuna autorità, alla Bettega».
ROSSI VERME COMUNISTA Chi non si piegava alla contestazione e continuava a sostenere il presidente Lotito, era immediatamente additato come nemico. È il caso dell’allenatore Delio Rossi che, scrive gip, al telefono con Toffolo si rifiuta di allinearsi ai voleri degli ultras. «Voglio andare a prendere per il collo quel comunista di Rossi», dice Toffolo a Alviti. Insulti e minacce anche per le altre componenti del tifo organizzato e della società, colpevoli di non partecipare alla contestazione. Come Teresa Iannaccone, presidente del coordinamento Lazio club onlus, vittima di una «campagna vessatoria estremamente feroce» perché considerata filo-Lotito.

Massimo Solani
l'Unità 14 ottobre 2006

mercoledì, ottobre 11, 2006

"Ha vinto solo la Camorra"


Fra l'immondizia abbandonata per le strade, il tanfo acre e i roghi notturni dei cassonetti incendiati per protesta, «a vincere è solo la camorra». Davanti alla commissione Ambiente del Senato, il responsabile della Protezione Civile e commissario straordinario Guido Berto-
laso, qualche ora prima di salire al Quirinale per essere ricevuto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dice senza girarci troppo attorno quello che in molti hanno pensato in questi dodici anni di emergenza continua ai piedi del Vesuvio. «Quello che accade - ha spiegato infatti il responsabile della Protezione Civile - è una sconfitta per tutti. Non vedo nessun vincitore, se non la camorra. Ma noi faremo di tutto perché sia una vittoria di Pirro: e faremo di tutto affinché sia lo Stato a vincere la partita finale».
Più facile a dirsi che a farsi, però. Perché intanto in Campania il calendario dell’ emergenza “munnezza” si è allungato di una nuova casella, un nuovo giorno con i rifiuti in mezzo alle strade, agli angoli degli incroci e sotto le finestre. E se a Napoli città la situazione sembra migliorare, in provincia e in buona parte del resto della regione, tutto è fermo a parte i roghi, siano essi di protesta o di Camorra. La munnezza brucia, i vigili del fuoco la spengono (oltre 100 interventi soltanto a Napoli nella notte fra lunedì e martedì) e nessuno la raccoglie.
Per uscire dalla fase acuta dell’emergenza, ha spiegato Bertolaso nel giorno del suo insediamento a capo della struttura commissariale, ci vorranno una decina di giorni. E soprattutto serviranno nuovi siti per lo stoccaggio dei rifiuti. Il governo ne ha indicati tre nel decreto della scorsa settimana, ma quel piano è già zoppo. La discarica di Difesa Grande che ad Ariano Irpino dovrebbe ospitare i rifiuti delle province di Avellino, Benevento e Salerno, infatti, è stata sigillata dalla magistratura prima ancora che potesse riaprire i battenti. A rimetterla in attività ci aveva provato, senza riuscirci, l’ex commissario Corrado Catenacci (suscitando le proteste della gente culminate con una manifestazione cui il 23 settembre hanno partecipato più di mille persone), poi è toccato al governo vedersi stoppato dalla magistratura. Adesso i legali della commissariato hanno presentato ricorso al tribunale del riesame per ottenere la modifica del provvedimento del gip (ci varranno almeno due settimane), ma nel frattempo tutto è fermo. Anche la gente che da 10 giorni presidia i blocchi stradali. E ad Avellino, in molti hanno accusato Bertolaso di voler escludere la provincia dal piano straordinario di raccolta in risposta alle pressioni di quei sindaci che avevano spinto per l'intervento della magistratura per la chiusura di Difesa Grande. Insinuazioni seccamente smentite nei corridoi del commissariato.
Per un sito che non apre, però, ce n'è uno che da ieri sera è finalmente attivo. Mentre il tramonto abbracciava i quartieri di Napoli, infatti, sono arrivati a Villaricca i primi camion carichi dei rifiuti raccolti in città. Il nuovo sito, capace di ospitare 400mila metri cubi di materiale e ricavato negli spazi di una ex cava bonificata, è il secondo dei tre indicati dal consiglio dei ministri e, nella speranze del commissario Bertolaso, con la possibilità di accogliere circa 2mila tonnellate al giorno dovrebbe aiutare il capoluogo partenopeo ad uscire dall'emergenza assieme al deposito temporaneo (uno di quelli requisiti da Catenacci prima delle dimissioni) di Napoli Est in cui in questi giorni si è convogliato il grosso di quanto raccolto per le strade. Fra le proteste della gente che per qualche giorno ha presidiato Ponticelli costringendo il ministro del Welfare Livia Turco, in visita a Napoli, a girare al largo.
Ci vorranno invece ancora una decina di giorni prima che sia pienamente operativa la discarica di Paenzano 2 a Tufino, l'ultima di quelle individuate dal consiglio dei ministri. Il progetto di sistemazione per la messa in sicurezza dell’impianto richiesto dal governo nel giugno scorso (il sito esiste dalla metà degli anni ‘90, sequestrato dalla Procura di Nola nel gennaio del 2001 e dissequestrato nella primavera del 2005) è infatti praticamente ultimato e non appena arriverà il via libera della commissione tecnico scientifica del commissariato potrà iniziare la dislocazione di quanto rimasto nell'impianto di combustione dei rifiuti (Cdr) di Tufino. Che però è sotto sequestro, sempre per ordine della magistratura di Nola, dall'agosto scorso per una inchiesta che è costata un avviso di garanzia anche all'ex commissario Catenacci. A quel punto anche l'impianto di Cdr potrebbe ricominciare a lavorare. Sequestri permettendo, e salvo proteste dei comitati cittadini. Che ovviamente sono già sul piede di guerra.
Basterà a superare l’emergenza? Nel dubbio Bertolaso sta lavorando, assieme alla Conferenza Stato-Regioni, per convincere altre regioni italiane (e persino alcuni paesi stranieri come Polonia, Germania, Slovenia e Romania) ad “ospitare” parte dei rifiuti campani. Quelle stesse regioni, Lazio, Puglia, Calabria e Sicilia, che proprio Bertolaso due giorni fa aveva bacchettato per la scarsa disponibilità a collaborare. A quel punto, toccherà alle ferrovie italiane il compito di portare a destinazione quella immondizia rimasta ferma a terra.

Massimo Solani inviato a Napoli
l'Unità 11 ottobre 2006

martedì, ottobre 10, 2006

"Sembra di stare a Calcutta"

Qualcuno ha provato anche a fare una stima. Dicono che siano 35mila tonnellate. Trentacinquemila tonnellate di immondizia che da circa una settimana stazionano per le strade della Campania. Parcheggiate sui marciapiedi, lungo le strade, agli angoli degli incroci. Ovunque fuorché nei cassonetti: “perché quelli – racconta un benzinaio lungo la strada che collega San Giuseppe Vesuviano e Terzigno – sono pieni da una settimana almeno, e nessuno è passato a svuotarli”. Da Napoli a San Giorgio a Cremano, dai monti dell’Irpinia fino al lungomare di Salerno, la Campania è di nuovo strozzata dall’emergenza. E la scena è più o meno la stessa ovunque. Specie ai piedi del Vesuvio dove la situazione è più drammatica e dove camminando in macchina capita spesso di fare lo slalom fra le piramidi di sacchetti neri che ostruiscono la carreggiata. “Dottò, vede come siamo ridotti? Sembra di stare a Calcutta”, mormora un tassista. E le cataste maleodoranti spesso si arrampicano fino alle finestre del piano terra delle abitazioni. Come a Torre del Greco, dove sabato il parroco della parrocchia di Sant’Antonio Abate ha dovuto chiudere tutte le porte della Chiesa. “L’ingresso principale, quello sulla strada, è completamente ostruito dall’immondizia – racconta Padre Onofrio – e per qualche giorno abbiamo usato quello laterale. Ma adesso anche quello è impraticabile”. Finestre delle case chiuse, serrande abbassate, perché fra lo smog delle auto in coda e la puzza che si alza dalle montagne di immondizia, l’aria è spesso irrespirabile. E come se non bastasse, pur in pieno giorno, basta allontanarsi di qualche centinaia di metri dal centro cittadino per riconoscere in mezzo alla campagna il fumo che si alza dai roghi. Brucia a munnezza e i vigili del fuoco corrono da un angolo all’altro per fermare le fiamme e il puzzo. ''In una sola notte e' stata sprigionata un'enorme quantità di diossina – spiega Giuseppe Cortese, assessore all’ecologia al Comune di Sant’Anastasia, dove la scorsa notte sono state divorate dalle fiamme anche due auto - con gravi rischi soprattutto per le persone che soffrono di patologie alle vie respiratorie”. C’è chi brucia nell’orto i sacchetti “di produzione familiare”, e c’è chi invece soffia sul fuoco (è proprio il caso di dirlo) della protesta per aumentare il caos. Perché lo smaltimento dei rifiuti, si sa, è affare miliardario in cui la camorra si è già ritagliata la propria fetta di torta. “In una sola notte qui nel territorio comunale sono stati appiccati otto roghi – prosegue Cortese - Immagino, quindi, che dietro questi episodi ci sia un’unica regia, mossa da chissà quali motivi”. Quel che è certo, intanto, è che i cassonetti continuano a prendere in fuoco un po’ ovunque.
La mondezza brucia, i vigili del fuoco corrono, e la gente si incazza promettendo proteste eclatanti. Ieri hanno iniziato gli studenti di Salerno e Torre del Greco che sono scesi in piazza contro una situazione che si fa di ora in ora sempre più invivibile. Tanto che il sindaco di Avellino, Giuseppe Galasso, sta meditando in queste ore di chiudere i mercati rionali e fore anche le scuole, sulla scia di quanto fatto da altri primi cittadini di comuni vesuviani.
Logico allora che in queste condizioni in molti attendessero con fiducia la prima visita a Napoli del responsabile della Protezione Civile Guido Bertolaso nella sua nuova veste di commissario straordinario; incarico che gli è stato conferito venerdì dal consiglio dei ministri al posto del dimissionario Corrado Catenacci, raggiunto da un avviso di garanzia della procura di Benevento per una inchiesta, guarda caso, relativa alla gestione di una discarica. “'Lo faccio per spirito di servizio e per senso del dovere”, ha spiegato Bertolaso, che sarà affiancato in qualità di vice dal prefetto Carlo Alfiero, in passato commissario per l'emergenza ambientale in Calabria. Ma sulla sua scelta ha pesato anche l’incoraggiamento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Mi ha chiamato la settimana scorsa e mi ha invitato ad assumermi questa responsabilità”. Che è sicuramente pesante, soprattutto perché c’è da agire in fretta: «Il mio impegno - ha spiegato allora Bertolaso - è di uscire dalla crisi acuta prestissimo, in una settimana, dieci giorni. È l’emergenza più difficile non tanto perchè non si conoscano le soluzioni, ma perchè non si vogliono adottare». Poi una stilettata: «Sentiremo se c'è qualche regione disposta a dare una mano, ma con amarezza vedo che non c'è disponibilità... ».
Nel frattempo, però, le cure studiate dal governo si scontrano con la difficile realtà locale: tre le nuove discariche da aprire, secondo il decreto del consiglio dei ministri, ma di queste una è già stata sequestrata dalla procura di Ariano Irpino su richiesta del sindaco (è chiusa dal 2004) e per un’altra, quella nuova di Villaricca, sono già iniziate le proteste. Ha da passà a nuttata…

Massimo Solani inviato a Torre del Greco
l'Unità 10 ottobre 2006

lunedì, ottobre 09, 2006

No alla tassa sulle rassegne stampa


(dal sito Mediawatch.com)

Sono contrario all'imposizione di una tassa sulle rassegne stampa realizzate senza scopo di lucro.

Chiedo pertanto che il Parlamento abolisca con un opportuno provvedimento il primo comma dell'articolo 32 del capo IX del decreto legge 3 ottobre 2006 n. 262, recante "Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria", con cui sono state anticipate alcune delle misure previste dal disegno di legge finanziaria 2007.

Questa tassa non aggiungerebbe niente al lavoro dei giornalisti e degli scrittori, ma sarebbe solo un ingiusto guadagno per i gruppi editoriali a cui questi autori hanno ceduto la gestione dei loro diritti.

Chiedo che la legge sul diritto d'autore venga ripristinata nella sua precedente formulazione, in base alla quale "gli articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso, pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico, e gli altri materiali dello stesso carattere possono essere liberamente riprodotti o comunicati al pubblico in altre riviste o giornali, anche radiotelevisivi, se la riproduzione o l'utilizzazione non è stata espressamente riservata, purché si indichino la fonte da cui sono tratti, la data e il nome dell'autore, se riportato".

Chiedo al governo del mio paese di promuovere come previsto dalla stessa Costituzione, lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, anche e soprattutto attraverso la libera circolazione dei saperi e la difesa del diritto a "cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere", stabilito dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

Mi impegno a fare quanto e' in mio potere affinche' venga pubblicamente denunciato ogni tentativo di soffocare la libera iniziativa culturale dei cittadini con obblighi e tassazioni contrarie ai principi costituzionali e ai diritti umani universali.

Per aderire alla campagna

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E' ovvio che questa norma non riguarda soltanto le rassegne stampa, ma precluderebbe anche la possibilità a moltissimi blog (come questo) di riportare articoli di testate giornalistiche. Per questo è fondamentale che la comunità dei bloggers, ma anche tutto il popolo della rete che da anni si batte per la libera diffusione delle idee, combatta perché un simile scempio (proposto ahimè dal centrosinistra di governo) venga cancellato. Per questo vi chiedo di aderire e di diffondere la voce.

mercoledì, ottobre 04, 2006

Hanno ammazzato Osama, Osama è vivo


Riporto qui un bell'articolo scritto dal collega Maurizio Blondet e ripreso dal Giornale On line Effedieffe.com

E’ rimorto Osama

di Maurizio Blondet
03/10/2006

E pensare che giusto una settimana fa
il presidente Bush, nel commemorare l’11 settembre, aveva proclamato: «Osama, l’America ti troverà!». Invece Osama Bin Laden è morto, lo ha detto una fonte saudita a un giornale francese. Dunque è sicuro: Osama è morto, mortissimo. Anzi rimorto.

Perché era già morto più volte. Il 26 dicembre 2001 il giornale egiziano Al-Wafd pubblicò addirittura un necrologio, che dava il triste annuncio delle esequie avvenute, pare dieci giorni prima, il 16 dicembre. E di fatto, l’ultima volta che i centri d’ascolto della spionaggio USA hanno captato la voce del mega-terrorista è stato il 14 dicembre 2001. Il mega-terrorista stava scappando da Tora Bora in Afghanistan, sotto intensi bombardamenti americani. Fu il solo momento in cui la cattura di Osama apparve imminente: era già pronto un commando dei corpi speciali statunitensi che attendeva l’ordine di lanciarsi sull’ultima fortezza di Bin Laden per prenderlo. L’ordine da Bush non arrrivò mai. Osama si rese uccel di bosco: ancora qualche telefonata dal satellitare, intercettata, poi più nulla. Subito è nato qualche dubbio sulla volontà di Bush di prendere davvero l’arcinemico.
Per esempio, si è scoperto che la sera del 10 settembre 2001, ossia poche ore prima dell’attentato che Osama aveva architettato per il World Trade Center sguinzagliando i suoi 19 dirottatori, Bin Laden era stato ricoverato all’ospedale militare di Rawalpindi e sottoposto a dialisi renale.
A rivelarlo non fu un blog complottista, ma Dan Rather, il più celebre anchorman della rete TV CBS, che lanciò lo scoop il 28 gennaio 2002: con tanto di interviste a infermiere e sanitari dell’ospedale pakistano i quali affermavano di aver visto arrivare Osama, all’apparenza molto malato, scortato e sorretto da agenti dell’ISI, il servizio segreto pakistano.

Ora, l’ISI collabora strettamente con la CIA: e visto che l’11 settembre Osama era a letto in un ospedale dell’ISI, avrebbe dovuto immediatamente arrestarlo.
Perché non si fece?
Non si sa.
Ma il 18 gennaio 2002 il presidente pakistano Musharraf disse alla CNN che secondo lui Osama «può essere morto per l'impossibilità di farsi sottoporre a dialisi in latitanza». Seguono altri annunci di decesso. Il capo dell’FBI per l’antiterrorismo, Dale Watson: Osama «è probabilmente morto» (BBC, 18 luglio 2002). Il presidente afghano Karzai: «Sembra che Osama sia morto, ma il mullah Omar è vivo» (CNN, 7 ottobre 2002). Fonti israeliane del Mossad: «Osama è probabilmente morto da dicembre», e i nuovi messaggi video ed audio che gli vengono attribuiti «sono probabilmente falsi» (World Tribune, 16 ottobre 2002).
Da allora, non più una intercettazione, una foto presa da satellite o da uno delle centinaia di aerei senza pilota che sorvolano le zone dove si ritiene sia riparato il comando di Al Qaeda, non una sola soffiata da un informatore: benchè sulla testa di Osama sia stata messa una taglia di 25 milioni di dollari.
Bin Laden non telefona a nessuno, non dà ordini per radio trasmittente né per e-mail, sfugge all’immenso grande orecchio elettronico dello spionaggio anglo-americano, anzi mondiale: come latitanza, il più grande successo della storia. Manda, quando vuole lui, dei video, fatti recapitare per lo più ad Al-Jazeera. Non tanti: in cinque anni, solo 23. Con intervalli di silenzio anche di dieci mesi e oltre.

Cosa notevole, Osama non manca mai di mandare un suo video ad ottobre.
Perché ad ottobre? Perché novembre è un mese di elezioni in USA, e Osama partecipa alla campagna elettorale, rivolgendo i suoi video-messaggi direttamente agli americani.

Celebre il messaggio del 28 ottobre 2004, in cui Osama minacciò un nuovo 11 settembre se gli Stati Uniti non smettevano di attaccare i musulmani nel mondo: un aiutino alla campagna elettorale di Bush, che infatti fu riconfermato nelle votazioni di novembre, dissero i soliti maligni.
La cosa è così regolare, che il novembre 2005, quando mancò il messaggio, qualche esperto si preoccupò: «E’ il primo ottobre dal 2002 che Osama non ha recapitato un video diretto specificamente agli americani», disse allora Ben Venkze, direttore dell’IntelCenter, una ditta privata che, sotto contratto del Pentagono, affianca lo spionaggio USA.
Questa IntelCenter, filiale di un’azienda editoriale, Tempest Publishing Co., che produce video di addestramento anti-terrorismo per l’esercito americano, ha accumulato una strana esperienza sui messaggi di Al Qaeda.
Da quando la IntelCenter si dedica al problema, i messaggi dell’organizzazione terroristica sono più frequenti e meglio «impaginati».
Non sono più in arabo ma in inglese, a cura - si dice - di uno statunitense che fa parte del gruppo terrorista, detto «Azzam l’Americano», Al-Amriki.
E vengono addirittura annunciati con anticipo di 38 o 72 ore.
«L’uso di annunci promozionali e di collages di video ben montati con personaggi che parlano inglese dimostra la crescente sofisticazione nei metodi di relazioni pubbliche di Al Qaeda», ha notato la MSNBC. Eh sì; se dopo l’11 settembre Al Qaeda non ha più commesso un attentato che le possa essere attribuito con sicurezza, l’organizzazione si è riciclata in una casa di produzione di video di un certo successo.
Solo che nei nuovi video Osama non parla più. Appare solo una sua foto, di solito alle spalle di Al-Zawahiri, che con gli occhialetti d’oro e il ditino alzato fà la solita predica coranica condita di minacce (mai realizzatesi), e a rivendicare attentati effettuati (da altri gruppi, come i quattro anglo-pakistani del 7 luglio 2005 a Londra). Allora Osama è proprio morto?

Ma no; nell’aprile scorso, Bush ha assicurato che Osama è vivo. Solo che «si trova in un’area estremamente montuosa e inaccessibile, fra i 3 e 4 mila metri». Dov’è questa zona? «Da qualche parte tra Afghanistan e Palkistan», assicurava il 9 settembre scorso un giornale australiano, lo Hobart Mercury, citando fonti del Pentagono: «Negli ultimi tempi si dice sia dalle parti dell’Hindukush, nell’area tribale di Chitral, sotto il monte Trich Mir, alto 7.700 metri». Non c’è male per un malato di grave insufficienza renale, bisognoso di dialisi tre volte al mese: è diventato un alpinista estremo. A meno che non gli abbiano fatto un trapianto. Sulla catena dell’Hindukush? Improbabile. Magari, al solito ospedale militare di Rawalpindi. Non c’è modo di saperlo. Perché, come ha rivelato pochi giorni fa (il 10 settembre scorso) il Washington Post, la speciale sezione della CIA detta «Alec Station», appositamente creata per dare la caccia a Bin Laden, è stata smantellata da tempo.

Ora, a cacciarlo resta solo un gruppo segretissimo, il Joint Special Operation Command, del Pentagono: insomma ha avocato a sé la faccenda Donald Rumsfeld, la cui efficienza è ben nota, visti i successi in Iraq e in Aghanistan. Del resto, da due anni, le tracce di Osama sono «fredde», dicono le spie usando il linguaggio dei pellerossa. Anzi, «stone cold», fredde come pietra.
Una pietra tombale; Osama è proprio morto.

Invece no. Ecco che una fonte saudita confida a un giornale francese di provincia che Osama è vivo: anzi era vivo fino ad agosto, poi è rimorto. Di tifo, stavolta. Fate caso alla data: fine di settembre. Solo un po’ in anticipo su ottobre, il mese classico delle «october surprise», ossia delle rivelazioni, notizie o scandali che tradizionalmente, in USA, vengono fatte saltar fuori per influenzare le elezioni. E Bush deve affrontare a novembre le elezioni di medio termine, con tutti i sondaggi che lo danno perdente. Osama è rimorto: la notizia aiuterà Bush, stavolta?

October surprise.

Maurizio Blondet

mercoledì, settembre 27, 2006

Che sempre l'ignoranza fa paura...


Ho detto tante cose sull'indulto, ho detto tanti se e tanti ma. Eppure oggi mi sento cittadino di uno stato più civile, oggi che Silvia è libera e cammina felice per le strade di Roma, libera di rientrare quando vuole. Libera, se lo vuole, di non rientrare affatto e di fermarsi a brindare fino a tardi con un buon vino e qualche amico. Bentornata, stavolta davvero.

ll cielo dell'America son mille cieli sopra a un continente;
il cielo della Florida è uno straccio bagnato di celeste,
ma il cielo là in prigione non è cielo, è un qualche cosa che riveste
il giorno e il giorno dopo e un altro ancora sempre dello stesso niente.
E fuori c'è una strada all'infinito, lunga come la speranza,
e attorno c'è un villaggio sfilacciato, motel, chiese, case, aiuole,
paludi dove un tempo ormai lontano dominava il Seminole,
ma attorno alla prigione c'è un deserto dove spesso il vento danza.

Son tanti gli anni fatti, e tanti in più che son ancora da passare,
in giorni e giorni e giorni che fan mesi che fan anni ed anni amari;
a Silvia là in prigione cosa resta? Non le resta che guardare
l'America negli occhi, sorridendo coi suoi limpidi occhi chiari.

Già, l'America è grandiosa ed è potente, tutto e niente, il bene e il male,
città coi grattacieli e con gli slum e nostalgia di un grande ieri,
tecnologia avanzata e all'orizzonte l'orizzonte dei pionieri,
ma a volte l'orizzonte ha solamente una prigione federale.

L'America è una statua che ti accoglie e simboleggia, bianca e pura,
la libertà, e dall'alto, fiera, abbraccia tutta quanta la nazione,
per Silvia questa statua simboleggia solamente la prigione
perché di questa piccola italiana ora l'America ha paura.
Paura del diverso e del contrario, di chi lotta per cambiare,
paura delle idee di gente libera che soffre, sbaglia, spera;
nazione di bigotti ora vi chiedo di lasciarla ritornare,
perché non è possibile rinchiudere le idee in una galera.

ll cielo dell'America son mille cieli sopra a un continente
ma il cielo là rinchiusi non esiste, è solo un dubbio, o un'intuizione;
mi chiedo se ci sono idee per cui valga restare là in prigione,
e Silvia non ha ucciso mai nessuno e non ha mai rubato niente.
Mi chiedo cosa pensi alla mattina nel trovarsi il sole accanto,
o come fa a scacciare fra quei muri la sua grande nostalgia,
o quando un acquazzone all'improvviso spezza la monotonia,
mi chiedo cosa faccia adesso Silvia mentre io qui piano la canto.

Mi chiedo ma non riesco a immaginarlo; penso a questa donna forte
che ancora lotta e spera perché sa che adesso non sarà più sola.
la vedo con la sua maglietta addosso, con su scritte le parole
che sempre l'ignoranza fa paura, ed il silenzio è uguale a morte.

giovedì, settembre 21, 2006

Vicenza, gli "Yankee" raddoppiano


Duemila militari in più, un’area verde da 550mila metri quadrati completamente occupata da strutture dell’esercito statunitense in una città, Vicenza, che ospita già altri tre insediamenti americani. Un piano che farebbe della città veneta la più grande base statunitense fuori dai confini nazionali. È un progetto che mette i brividi quello che l’Espresso (oggi in edicola) racconta riprendendo alcune interrogazioni parlamentari presentate nello scorso luglio. Quando a Vicenza, dopo due anni di trattative segrete condotte dal governo Berlusconi e dai vertici delle nostre forze armate, si è parlato per la prima volta delle novità che attendevano l’ex aeroporto militare Dal Molin. Oggi area verde, domani quarto insediamento militare “yankee” nel territorio comunale. Per intendersi: con la nuova struttura (grande quanto 1900 appartamenti di 100 metri quadrati ciascuno) l’insediamento Usa raggiungerebbe quasi il milione e mezzo di metri quadrati, l’11% in più del territorio occupato dalla pur grande zona industriale cittadina. Perché il progetto statunitense è chiaro: riunire in Italia la 173rd Airborne Brigade (oggi per metà a Vicenza e per metà in Germania), facendo di essa la prima grande brigata aviotrasportata, capace di intervenire nello scacchiere mediorientale in poche ore, con una potenza di fuoco impressionante. Un progetto enorme, come enorme è lo stanziamento che gli Usa sono pronti a votare per la realizzazione della nuova base (300 milioni per il 2007, fondi che entro il 2010 potrebbero raggiungere il miliardo di dollari). La forza inoltre, scrive l’Espresso, «disporrà di quasi 5mila paracadutisti, oltre 50 carri armati pesanti M1 d 90 veicoli blindati da combattimento, che ora si trovano in Germania, due batterie di artiglieria e forze rampe di missili multipli a lungo raggio».
Ma enormi sono anche le proteste che da maggio ad oggi hanno animato la vita di una città già provata dalla presenza dei soldati statunitensi. Manifestazioni e sit-in organizzati da un combattivo coordinamento dei comitati cittadini contro la base (a cui da un mese fa da controcanto un coordinamento pro-base animato per lo più dai dipendenti civili italiani degli stabilimenti) che in pochi giorni ha raccolto oltre settemila firme per bloccare il progetto. E la questione Vicenza, due giorni fa, è finita sui tavoli della commissione Difesa congiunta Camera-Senato dove il ministro Arturo Parisi ha dovuto spiegare che l’attuale esecutivo ha già aperto un nuovo confronto con l’amministrazione Usa e «si è fatto portatore (e intende continuare a farlo) delle istanze del territorio coinvolto in questa iniziativa». Una posizione ribadita anche dal sottosegretario Lorenzo Forcieri: «Terremo conto dell’opinione delle comunità - spiega -. Nel caso di un parere negativo dell’amministrazione comunale ne prenderemo atto nell’evidente necessità della riapertura del discorso». Parole che, per il momento, sono bastate a tranquillizzare l’ala “pacifista” della maggioranza (anche se la diessina Silvana Pisa ha segnalato la stranezza di una Italia «in controtendenza» rispetto agli altri paesi da dove invece gli Usa se ne stanno andando) ma che invece non sono sufficienti al comitato contro la base. «Il sindaco Enrico Hüllweck dica chiaramente che la maggioranza dei vicentini non vuole la nuova base - tuona Cinzia Bottene, del coordinamento - ma dal governo pretendiamo coraggio e coerenza con quanto detto fino ad oggi». Dal canto suo il sindaco forzista (che per mesi ha partecipato con l’ex ministro della Difesa Martino ai tavoli di preparazione del progetto) nicchia, dice e non dice. Non si espone. Dieci giorni fa l’esecutivo gli ha chiesto ufficialmente di prendere posizione, ma lui rimanda al mittente ogni responsabilità. «È un problema che riguarda i due governi», spiega. Ma gli Usa, per bocca dell’ambasciatore Ronald Spogli hanno scelto la via del ricatto velato: o la nuova base si fa oppure a Vicenza verrà chiusa anche la caserma Ederle. Coi prevedibili licenziamenti.

Massimo Solani
l'Unità, 22 settembre

lunedì, settembre 11, 2006

In attesa della beatificazione


Domenica: "Quelli che il calcio... e"
Lunedì all'ora dell'aperitivo: Tg 4
Lunedì appena iniziata la digestione: Antenna 3 Lombardia

Lucky Luciano l'aveva promesso: farò il rompicoglioni. Niente da dire, ci stà riuscendo. Asciugate le lacrime da coccodrillo e ritrovata l'anima ("Me l'hanno rubata" disse il giorno prima di essere interrogato dai carabinieri a Roma) Luciano Moggi imperversa in tv da 48 ore. Senza soluzione di continuità. E dovunque gli capiti di mostrare le terga (sarebbe la faccia, ma l'effetto è lo stesso) la storia è sempre la stessa: pronisti con lingue umide (il pronista è una mutazione genetica del cronista, troppo avvezzo a star a tappetino di fronte al potente di turno) pronti ad ascoltarne i monologhi difensivi. Come se le centinaia di intercettazioni disposte dalla procura di Napoli non avessero detto a sufficienza sulla sua attività di dirigente e sulle sue frequentazioni con arbitri e designatori. Come se due gradi di giustizia sportiva non avessero già chiarito quanto Luciano Moggi e Antonio Giraudo fossero in grado di influire sulla regolarità dei campionati di serie A. Niente. Lucky Luciano dice quello che vuole e guai a contraddirlo, ad incalzarlo, a fargli le domande giuste, a pretendere risposte appena sensate. L'unico che ci prova è Gene Gnocchi, un comico. Povera informazione.
Però, c'è un però. Se Emilio Fede può far quello che vuole con il suo telegiornale (e di conseguenza con la sua faccia, con la sua lingua e la sua dignità), diverso è il discorso per "Quelli che il calcio...", che fino a prova contraria va in onda su Rai 2. Ossia servizio pubblico, e che diamine. Qualcuno spieghi a Simona Ventura e al suo enturage di tristi figuri da Billionaire (a proposito, quante delle persone che sono in quello studio, o ci sono state, hanno rapporti con Lele Mora?) che cosa significhi. Del resto come meravigliarsi: la prima ballerina (ma mi faccia il piacere) di questa edizione è o non è quella Antonella Mosetti che da anni è fidanzata con Davide Lippi? E Davide Lippi, oltre che figlio dell'ex ct della Nazionale e allenatore della Juventus, non è per caso uno dei più famosi collaboratori della Gea? E fra i fondatori di quella stessa Gea (sotto inchiesta a Roma) non c'è per caso Alessandro Moggi, di papà Luciano (Abu Luciano, direbbero gli arabi)?
Tutto torna.... servizio pubblico e uso privato. Qualcuno glielo spieghi.

venerdì, settembre 08, 2006

Chi non lavora...


Da hostess a conigliette di Playboy. Tre ex dipendenti della Varig, compagnia di volo brasiliana sull'orlo del fallimento dopo essere stata venduta a una ditta privata, hanno deciso di posare nude per la nota rivista per soli uomini di Hugh Hefner. Le foto appariranno sulla rivista nell'edizione di settembre. Un modo come un altro per sfuggire alle difficoltà economiche legate a un licenziamento. Non è la prima volta che Playboy decide di immortalare ragazze rimaste senza lavoro per le difficoltà economiche della loro compagnia: avevano fatto storia negli Stati Uniti le foto di alcune esecutive della Enron licenziate di fresco. Le protagoniste degli scatti (a proposito, complimenti alle mamme) sono Patricia Kreusburg, di 30 anni, Sabrina Knop, di 27, e Juliana Neves, di 26 anni. "Ero da cinque mesi senza salario, che era di 4000 reais (1500 euro circa ndr) - ha raccontato una di loro - La mia situazione era disperata, e allora ho chiesto se il cachet delle foto era buono. Caspita: con tutti questi soldi finirò il mio corso universitario, comprero' una macchina nuova e mi resta ancora un piccolo gruzzolo. Mio marito ha appoggiato in pieno l'idea...". Juliana è l'unica a non essere sposata. "Mio fratello che ha 23 anni e' un po' a disagio a causa degli amici e mio padre preferiva che non avessi posato nuda - dice la bella hostess, fino a luglio sui voli Varig per Francoforte -. Ma con i soldi che mi hanno dato mi dedichero' alla fisioterapia nella clinica del chirurgo plastico Roberto Azevedo, che fra parentesi ha gia' siliconato i miei seni".


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Lungi da noi ogni moralismo ipocrita (le foto parlano chiaro!), ci resta una sola considerazione. Il destino ha regalato alle tre simpatiche e avvenenti hostess un "equipaggiamento" consono alla nuova professione. Ma un qualsiasi altro lavoratore senza la terza di reggiseno e un metro e tocca di gambe? Ce lo vedete un operaio di Arese posare con la tuta da lavoro aperta, steso sul nastro di una catena di montaggio? Magari con un martello in mano? O un saldatore? No vi prego. No.

mercoledì, settembre 06, 2006

Sacro e profano

PERUGIA - Un sacerdote è stato arrestato a Perugia per spaccio di sostanze stupefacenti. La Guardia di finanza ha sequestrato in casa del religioso circa mezzo chilo tra cocaina e marijuana. Sull'indagine viene mantenuto uno stretto riserbo, gli accertamenti sono infatti ancora in corso. Il sacerdote, 43 anni, è stato bloccato lunedì sera nella sua abitazione dopo che i finanzieri hanno trovato un pacco con la droga. Il religioso dovrebbe comparire mercoledì davanti al giudice per le indagini preliminari di Perugia per l'udienza di convalida del fermo.

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Benedetto Fratello, hai fatto confusione.
Quella della Bibbia era Manna! Manna!! Con la M!!!

martedì, settembre 05, 2006

chiedo venia

La dimestichezza è quello che è... porta pazienza. Nei precedenti post ho dimenticato di attivare la funzione "commenti" (non che ne sia stato subissato, a dire il vero). Chiedo venia, ma non sapendo rimediare vado avanti fingendo di fare di necessità virtù. In realtà rosico, come direbbe Gattuso, ma fa niente. Ringrazio coloro (pochi) che mi hanno segnalato la cappella via mail.

Interludio riflessivo



Oggi non ho tempo, oggi voglio stare spento. Vi lascio con un (umile) consiglio letterario. Per chi ama il calcio, ma odia il 4-4-2 o il 4-3-1-2. Per chi ama i fantasisti tristi con i piedi felpati, i mediani dai polpacci di marmo e la solitudine un pò nevrotica dei portieri. Per chi apprezza anche il gioco lento, ma odia le moviole. Buona lettura.

lunedì, settembre 04, 2006

Addio Giacinto




L'uomo se ne va. Lo stile, l'educazione, la grandezza e il rispetto restano per sempre.

Ode a Kafka

Sarete tentati di non credermi, lo so. Ma questa storia è vera dall'inizio alla fine. Ve lo giuro sulla mia pelle.

Inizio thriller-pulp.
Sabato: non so come, non so perchè, la mia auto va in fiamme mentre ero in corsia di sorpasso sul Grande Raccordo Anulare di Roma. Spavento enorme e tutto il resto, ma riusciamo a spegnerla e un carroattrezzi (a caro prezzo) la porta in officina. Tanti danni, molta paura e altrettanta rabbia. Siamo a posto, e questo è quello che conta.

Proseguio "bildungsroman"
Lunedì: la mia assicurazione mi spiega che per aprire la pratica di risarcimento avrò bisogno di un atto autenticato dai carabinieri. E sia: la caserma di San Lorenzo dista da casa mia soltanto duecento metri o giù di lì. Primo viaggio a vuoto, ritorno a casa leggemente alterato. Segue altra telefonata con la mia assicuratrice, che non transige: serve quell'atto e quella dannata certificazione della Benemerita.

Finale, o il teatro dell'assurdo
Secondo viaggio alla stazione dei carabinieri. Non mi accorgo di attraversare lo stargate, ma nel tragitto devo averlo fatto. Controllerò più avanti dove era situata l'infingarda porta spazio temporale che mi ha condotto nella dimensione parallela. Ma torniamo a noi: parcheggio davanti alla stazione e vengo attirato da un richiamo perentorio. Pochi secondi dopo mi si para davanti un carabiniere (d'ora in poi Lo Sceriffo), uno di quelli con cui avevo parlato soltanto 20 minuti prima. Ho imboccato la strada in controsenso, mi spiega. Ha ragione, è colpa mia, ma cerco di fargli presente che in fondo sono solo dieci metri e che sono arrivato con la Vespa in folle. Quasi fermo. E' irremovibile: "la multerò, favorisca i documenti". Non li ho con me, sono uscito di fretta e li ho dimenticati a casa. Cerco di spiegargli che conosce benissimo la situazione, che è la seconda volta in mezz'ora che arrivo alla caserma. Che se vuole posso andare a prenderli, a piedi s'intende. Niente da fare. Lo Sceriffo "nei secoli fedele" non vuol sentirne e comincia ad alzare la voce con una maleducazione che mi lascia con due palmi di naso (il mio consueto più quello della sorpresa). Penso di essere finito su "Scherzi a parte" e butto lì una battuta: "Suvvia, ha ragione. Ma a sentire lei sembra che io sia entrato in contromano, impennando con una mano sola, senza casco e sparando in aria". Il tipo, Lo Sceriffo, non deve avere un gran senso dell'umorismo. Si porta una mano alla fondina e dice con un sorriso alla John Wayne: "Spari pure, la pistola ce l'ho anch'io". Non credo alle mie orecchie, e nemmeno ai miei occhi. Fanno 70 euro di multa. "Ha qualcosa da dichiarare?", mi chiede. "Niente che si possa scrivere in un verbale senza incorrere in una denuncia", rispondo. Me ne vado sconfitto e degnamente incazzato. Ma le parolacce le tengo per me, anche se non mi consola affatto.

Morale
E' colpa mia, sono nel torto. Se non avessi imboccato contromano quei maledetti dieci metri di strada e non fossi uscito di casa senza documenti, adesso non sarei qui a scrivere queste righe. Tutto vero. Ma c'è un ma. Anzi ce ne sono diversi. Uno per la maleducazione dello sceriffo con banda rossa lungo il pantalone, uno per la sua stupida rigidità, uno per la totale assenza di comprensione della mia situazione. Uno anche per i suoi colleghi basiti che hanno osservato la scena esterrefatti e si sono guardati bene dal dissuaderlo a multarmi. E' andata. Ma poi nessuno si meravigli se le barzellette, nell'immaginario collettivo, hanno più presa dei sacrifici di tantissimi militari che ogni giorno fanno il proprio lavoro con onestà, abnegzione, umanità e intelligenza. Spesso rimettendoci la vita. E' a loro che Lo Sceriffo ha fatto un torto. Non a me.




domenica, settembre 03, 2006

In marcia... si parte


Sarà perché le vacanze sono finite. Oppure perché c'è da aspettare ancora un sacco di tempo prima che ricomincino le prossime.
Sarà perchè in fondo siamo tutti un pò egocentrici.
O sarà solo perché sono terribilmente curioso.
Sarà per tutto questo insieme e per molto di più.
Ma oggi ho deciso che che mi andava così.
Perciò benvenuti.