
martedì, novembre 04, 2008
Povera Difesa...

venerdì, ottobre 10, 2008
Giustizia per Riccardo

Ed è per questo motivo che sui quattro agenti pende adesso una richiesta di rinvio a giudizio per omicidio colposo: perché «eccedendo colposamente i limiti stabiliti dalla legge, ovvero imposti dalla necessità, per illecito adempimento di un dovere e per l’esercizio di una legittima difesa, cagionavano per colpa la morte di Riccardo Rasman». Ossia di quel ragazzo che prima dell’irruzione degli agenti aveva lasciato sul tavolo della cucina un biglietto poi ritrovato dalla famiglia: «Mi sono calmato, per favore non fatemi del male».
Tredici mesi prima, su una strada di Ravenna era morto Federico Aldrovandi. Anche lui picchiato a sangue da quattro agenti della Polizia ora sotto processo per omicidio colposo. Anche lui, secondo la procura, ucciso da una asfissia posturale. Un legame rosso sangue che unisce due destini e che ha spinto la famiglia Rasman ad affidarsi alle cure dell’avvocato Fabio Anselmo (che collabora Giovanni Di Lullo), lo stesso legale che da anni combatte al fianco di Patrizia Aldrovandi la sua battaglia per la giustizia. Contro lo Stato.
venerdì, ottobre 03, 2008
Il solito Gentilini

E a Venezia Gentilini era tornato a cavalcare il suo vecchio cavallo di battaglia, tuonando contro i clandestini e l’Islam: «Voglio la rivoluzione contro i clandestini - aveva urlato rosso in viso davanti ad una folla plaudente di camicie verdi - Voglio la rivoluzione contro i campi dei nomadi e degli zingari. Io ne ho distrutti due a Treviso. Voglio la rivoluzione contro quelli che vogliono aprire le moschee e i centri islamici qui, comprese le gerarchie ecclesiastiche. Voglio la rivoluzione contro i phone center i cui avventori si mettono a mangiare in piena notte e poi pisciano sui muri: che vadano a pisciare nelle loro moschee». Un crescendo di bestialità e insulti che non hanno risparmiato nè i magistrati nè i giornalisti: «Se Maroni ha detto tolleranza zero, io voglio la tolleranza doppio zero - ha tuonato - Voglio la rivoluzione contro le televisione i giornali che infangano la Lega. Prenderò dei turaccioli per ficcarli in bocca e su per il culo a quei giornalisti. Voglio la rivoluzione contro la magistratura. Ad applicare le leggi devono essere i giudici veneti. Queste sono le parole del vangelo secondo Gentilini».
Del resto i rapporti fra Gentilini e le toghe sono da sempre burrascosi, e le tensioni negli anni sono cresciute di pari passo con la volgarità e la pesantezza delle esternazioni del “sindaco sceriffo”. Che, forte del consenso elettorale in una delle roccaforti del Carroccio, è diventato un po’ il simbolo di una certa Lega dai toni violenti e razzisti. Tanto che nel febbraio del 2001 il Viminale lo richiamò all’ordine invitandolo a «mantenere atteggiamenti confacenti» pena «spiacevoli conseguenze». Minacce che non hanno spostato di un millimetro la barricata da cui Gentilini combatte da anni contro omosessuali, clandestini e persino animali. Se infatti fecero sorridere tutta Italia le sue battaglia contro i cigni del Sile (gennaio 2003) o contro i cani «di razza straniera» (maggio 2008), decisamente più seria e grave la lunga lista di esternazioni sul filo fra la volgarità populista e il razzismo più smaccato. Contro gli extracomunitari («da rimandare a casa nei vagoni piombati», disse nel maggio 2001, «bisogna prendergli anche le impronte del naso», settembre 2002) e «i culattoni per cui serve una pulizia etnica». Ma dalle minacce di Gentilini non si salvò nemmeno la candidata sindaco di Treviso del centrosinistra, Maria Luisa Campagner. Lui, infatti, si presentò in piazza al momento dei primi exit poll, il 26 maggio del 2003, e sventolando in aria tre lunghi chiodi minacciò: «Serviranno per appendere l’orsetta siberiana e scotennarla piano piano, come si fa con la pelle di un coniglio». Ma lui è così, e non si ferma: «Io sono abituato ad essere un tribuno - spiegava ieri - questa è la mia eloquenza, non posso mettermi il silenziatore sennò non sarei Gentilini».
lunedì, settembre 08, 2008
Buone notizie
"Sono lieto di comunicarLe che il Tribunale di Roma, con sentenza n. 12627/08 del 12.6.08, ieri comunicata, ha rigettato le domande proposte da Salvatore Cuffaro nei confronti di Nuova Iniziativa Editoriale Spa, F. Colombo e M. Solani, condannandolo al pagamento delle spese di lite, come da dispositivo che allego in copia. (...)
L'ex presidente della Regione Sicilia mi aveva querelato per l'articolo "Gli affari del governatore corrono su gomma" pubblicato su l'Unità del 24 luglio 2002 dopo la strage ferroviaria di Rometta Marea, in provincia di Messina. Ve lo ripropongo:
"Una volta era il treno, l’odore stantio delle carrozze, pensieri di viaggio lungo due linee che corrono parallele a solcare il paese e raggiungerne anche i più sperduti angoli. Cartoline d’una Italia lontana e romantica, preistorica rispetto al boom consumistico degli anni del dopoguerra, del miracolo italiano di una automobile per famiglia. Cartoline che nella Sicilia dei 1500 chilometri di strada ferrata sono al tempo stesso, sconosciute ai più eppure ancora attuali. Da una parte le
ferrovie, poche e fatiscenti, «degne dell’Italia di Cavour» commenta qualcuno, dall’altra i paesi, le città sperdute il cui nome non compare nemmeno sulle rassicuranti tabelle blu che
popolano ogni stazione ferroviaria dello stivale. Perché in Sicilia, per muoversi di città in città, nella stragrande maggioranza dei casi non si può nemmeno immaginare di salire su un treno, per quanto malandato possa essere, e non resta altra soluzione che affidarsi agli autobus. Più efficienti, sicuramente più veloci, comunque presenti. Perché per una rete ferroviaria disegnata a lambire in pratica soltanto le splendide coste siciliane, esiste tuttavia una rete parallela di trasporto, su gomma, che supplisce alle carenze del sistema ferroviario, lo completa e si arricchisce portando da un lembo all’altro dell’isola tutta quella gente che, magari non potendo disporre di un automobile, è comunque costretta a muoversi lungo le strette strade dell’interno. Un affare miliardario, un business colossale in cui si affrontano decine e decine di aziende, da quelle a conduzione familiare a quelle molto più estese e ramificate. Un giro di denaro che, è evidente, si nutre dei disservizi del sistema ferroviario e che da sciagure come quella capitata la sera di sabato scorso è pronto a trarre il massimo giovamento, sfruttando anche le paure della gente magari non più così sicura che il treno sia il mezzo di trasporto più sicuro al mondo. Ne sa qualcosa anche il presidente della Regione Totò Cuffaro. Lo sa bene «Zu vasa vasa» cosa significa portare la gente dai più sperduti angoli dalla Sicilia alle città, fare tappa nei paesini talvolta sconosciuti anche alle cartine stradali e poi riportarli indietro, con puntualità e efficienza. Non è un caso infatti che il nome Cuffaro campeggi su moltissimi degli autobus che quotidianamente partono da Agrigento per raggiungere Palermo e molti altri centri abitati, coprendo moltissime tratte e staccando biglietti a centinaia e centinaia di passeggeri. Quell’azienda, «la Cuffaro Angelo e Raffaele» con sede a Raffadali pochi passi fuori da Agrigento, esiste da anni ed è da sempre gestita dal padre del Governatore e dallo zio. Non veicoli sgangherati come quelli di una Sicilia oramai affidata soltanto ai film e sopra le quali la gente buttava le proprie valige. La «corriera» oggi è un mezzo tecnologico, autobus dotato di tutti i confort, «compresa l’aria condizionata» raccontano i viaggiatori più assidui. L’azienda di famiglia, però, cogli anni è cresciuta fino a diventare una delle maggiori autolinee dell’isola sfruttando la mole impressionante di viaggiatori che quotidianamente affollano la tratta Agrigento-Palermo, vero pezzo forte dell’offerta aziendale, e riuscendo a toccare col proprio servizio anche quei centri meno frequentati ma disperatamente bisognosi di un collegamento col resto della regione. La «Cuffaro Angelo e Raffaele», dicono i maligni, è cresciuta con la stessa velocità con cui il giovane rampollo di famiglia ha costruito la propria scalata politica fatta di Dc prima e di Forza Italia poi. Uno che fa i soldi con le corriere, dicono gli stessi maligni, come potrebbe oggi volere che le ferrovie diventino in Sicilia efficienti e affidabili? Dubbi e malignità, ma certo è che contro il governatore della Sicilia hanno già puntato il dito in molti, primi fra tutti i sindacati. «Furono Miccichè e Cuffaro a comunicare lo stop ai lavori per il raddoppio della tratta ferroviaria Messina-Palermo» ha attaccato due giorni fa Maurizio Bernava, segretario della Cisl nella città dello stretto. Critiche ripetute qualche ore più tardi anche da Salvo Giglio della Cgil e che non sono affatto piaciute a Totò Cuffaro. Il raddoppio di quegli oltre 200 chilometri, ha risposto il presidente della Regione, «è una delle priorità indicate dal governo regionale nell'accordo di programma quadro dei trasporti. Il problema da risolvere è quello del reperimento delle risorse che, in questa prima fase, non è sufficiente a coprire il costo dell'intera opera». Solo un problema di soldi, quindi, quegli stessi soldi che arriveranno in quantità mai immaginate fino ad ora se il cammino della costruzione del Ponte sullo Stretto non troverà ostacoli sulla propria strada. La paura di Cuffaro, però, è che mentre da Roma si spenderanno forze e fondi per il mega progetto che legherà l’isola al «Continente», potrebbe spettare invece alla Regione farsi carico del risanamento di un sistema ferroviario che appare oramai a tutti inservibile e che, verrebbe da dire se non suonasse a sfregio in questi giorni di siccità, fa acqua da tutte le parti. «Non accetteremo che scarichino sulla Sicilia un sistema ferroviario in queste condizioni, con evidenti problemi di sicurezza e improduttivo - ha ringhiato ieri il Presidente - È interesse dei siciliani che i vertici delle Ferrovie e lo stato facciano quanto compete loro per mettere la Sicilia alla pari delle altre regioni». Nel frattempo, comunque, una assicurazione ai cittadini Cuffaro potrà darla senza problemi: le autolinee, in Sicilia, funzionano a dovere.
Immigrati fra le bombe, mica male...

Succede, o meglio potrebbe succedere, a Baiano, una popolosa frazione di Spoleto in provincia di Perugia. Dove su un’area di circa 160 ettari sorge lo “Stabilimento militare per il munizionamento terrestre” (Smmt), lo Spolettificio per la gente del posto, che da decenni produce, smaltisce e immagazzina munizionamento militare. O meglio, produceva visto che la fabbricazione è praticamente ferma dal 10 aprile 2005 quando una terribile esplosione, causata da materiale difettoso dissero i periti, rase al suolo alcuni dei 150 edifici che compongono lo stabilimento. Non ci fu nessuna vittima, e fu praticamente un miracolo visto che l’onda d’urto mandò in frantumi i vetri delle abitazioni in un raggio di alcuni chilometri. Una tragedia sfiorata che non sembra preoccupare molto il ministero dell’Interno visto che proprio in queste ore sono in corso febbrili colloqui con le Prefetture per verificare la fattibilità di un progetto che sembra assurdo: stabilire proprio nello “Stabilimento militare per il munizionamento terrestre” di Baiano di Spoleto il nuovo Cpt (o Cie, centro di identificazione ed espulsione secondo la nuova dicitura ministeriale) che Maroni vorrebbe fosse realizzato in Umbria.
E poco importa se i 230 lavoratori occupati nello stabilimento, dopo una crisi che ne ha messo a rischio i posti di lavoro, vedono ora la luce in fondo al tunnel in attesa del via libera del ministero della Difesa per la ripresa della produzione di una nuova bomba a mano, il Viminale ha individuato nello Spolettificio la sede ideale per il nuovo Cie. Meglio dell’Isola Polvese di cui si era parlato nelle scorse settimane, una novella Alcatraz al centro del Lago Trasimeno, meglio dell’area della Protezione Civile a Colfiorito. Meglio anche delle palazzine della Scuola di Polizia di Spoleto.
Certo c’è il piccolo dettaglio di quelle mille tonnellate di materiale esplosivo (stando ai numeri contenuti in una interrogazione presentata qualche mese fa in consiglio regionale da alcuni esponenti del centrodestra) conservate nella pancia delle collinette che sorgono nell’area dello Spolettificio. Ma il ministero dell’Interno non sembra troppo preoccupato e anzi in queste ore ha incassato anche qualche “ni” da parte dei sindacati di polizia. Certo non dalla politica visto che contro il progetto del nuovo Cpt si è coagulato un fronte compatto e trasversale, dalla sinistra estrema al Pdl, che minaccia di mettersi di traverso in ogni modo al progetto dei tecnici del ministro Maroni. «È un’area assolutamente inadatta», attaccava nei giorni scorsi il consigliere regionale del Pd Giancarlo Cintioli. «Non se ne parla nemmeno», gli faceva eco il vicepresidente del consiglio provinciale di Perugia, nonché capogruppo di An in consiglio comunale a Spoleto, Giampiero Panfili.
Una contrarietà che sarà presto espressa anche a Marco Airaghi, l’ex parlamentare di Alleanza Nazionale che dal giugno scorso guida l’Agenzia Industrie della Difesa “proprietaria” dello Smmt, nella visita che è già in programma a Baiano di Spoleto. Perché sono molti i motivi di preoccupazione per la scelta del Viminale. «A questo punto - ironizzava ieri Bruno Piernera, segretario comprensoriale della Cisl, il sindacato più rappresentativo fra i lavoratori dello Spolettificio - possono portarci direttamente gli immigrati clandestini affiliati ad Al Qaeda. Non faranno fatica a trovare armi». Sempre che non saltino in aria prima.
giovedì, agosto 28, 2008
Refuso freudiano?

giovedì, agosto 21, 2008
Giù le mani da Falcone
Ai lucidissimi deliri del leader di Forza Italia ha risposto giustamente il pubblico ministero antimafia di Palermo Antonio Ingroia, uno che Falcone lo ha conosciuto davvero. "Forse il presidente Berlusconi non ha ben chiare quali fossero le idee di Falcone, visto che Falcone non ha parlato mai di avvocati dell'accusa per indicare i pm essendo anche lui un pm di riconosciuto equilibrio, nè la necessità di un indirizzo dell'azione penale. Chi ha conosciuto bene Falcone a Palermo, invece sa quali fossero le idee per la giustizia - ha continuato Ingroia - e
siccome il suo chiodo fisso era la lotta alla mafia, per la quale si è sacrificato, sarebbe bene che il presidente Berlusconi se volesse davvero mettere in pratica le idee di Falcone di fronte ad una mafia che è ritornata a imperversare nel Paese, uccidendo in Calabria e in Campania, si dedichi all'urgente approvazione di un testo unico antimafia, un testo unico anti riciclaggio, la costituzione di un'agenzia per la gestione dei beni confiscati alla mafia e pensi alla dotazione di uomini, mezzi e strumenti legislativi ai magistrati e strumenti alle forze dell'ordine invece che tagliare sui fondi destinati a giustizia e sicurezza e sugli strumenti legislativi a disposizione, come dimostra il disegno di legge sulle intercettazioni e il progetto di riforma della magistratura".
Poi la chiosa finale: "È la mafia che va colpita e non la magistratura".
Chissà cosa avrebbe detto Giovanni Falcone dello stalliere Mangano, del senatore Dell'Utri condannato per mafia, delle frequentazioni mafiose del presidente del Senato Schifani. Tutti amici, loro sì, del presidente del consiglio Berlusconi. E cosa avrebbe detto l'uomo ucciso a Capaci delle parole del presidente del Consiglio sulla "magistratura metastasi della democrazia"? Sono forse queste le idee che Berlusconi vuole realizzare?
lunedì, luglio 14, 2008
Giustizia è sfatta

giovedì, luglio 03, 2008
venerdì, giugno 27, 2008
Assolta

giustizia prima o poi ripaga», ha detto uscendo dall'aula Bachelet. «Se si ha onestà e dignità di andare avanti fino in fondo senza cedere di fronte a nulla - ha proseguito - la verità viene fuori. Ora, siccome il tempo è galantuomo spero che anche il collega Luigi De Magistris abbia prima o poi giustizia».
Lo speriamo anche noi, Clementina.
P.S. Vorrei parlare del nuovo Lodo Schifani (Lodo Alfano? Lodo Ghedini? come si chiama sta nuova porcata?) ma preferisco lasciar perdere. Mi tengo quel poco di buono questa giornata ci ha dato.
mercoledì, giugno 25, 2008
Senza vergogna. Senza limiti.
P.S. (molto frivolo): ho fatto qualche cambiamento al blog, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate... i mezzi sono i soliti. Commenti (pochi) mail (qualcuna in più) telefonate o quello che preferite.
venerdì, giugno 20, 2008
Meglio bugiardo o ignorante?

Oggi, ad esempio, parlando a Bruxelles dei due famosi emendamenti Vizzini-Berselli, Berlusconi ha dichiarato candidamente (senza nessuno che glielo facesse notare, ma anche a questo siamo abituati) che «non c'è nessuno stop, con le norme approvate si mettono da parte solo alcuni processi per consentire di far viaggiare più speditamente altri e non far uscire di galera rapinatori, stupratori e ladri». Si dà il caso, però, che lo stupro, il furto e la rapina facciano parte di quella lunghissima lista di reati per cui i processi saranno fermati per un anno proprio grazie alle norme volute dal centrodestra. Per conferma basta leggere le tabelle redatte dell'Associazione Nazionale Magistrati.
Bugiardo o ignorante?
lunedì, giugno 16, 2008
E adesso arrestateci tutti

In un paese libero la stampa indaga e informa. Racconta fatti, svela retroscena, scava nelle vicende e nelle coscienze. In un paese libero la stampa libera risponde soltanto ai lettori e alla Costituzione. In un paese a libertà vigilata il potere spegne le televisioni e imbavaglia i giornalisti perché nessuno conosca i suoi vizi e punti il dito contro le sue azioni.
Non c'è paese libero senza una stampa libera.
Lo scrissi parlando del ddl Mastella sulle intercettazioni (assurdo anche quello, ma al peggio non c'è mai fine. Ce lo ha dimostrato il ministro della in-Giustizia Alfano) e lo ripeto oggi che un disegno di legge punta a disinnescare alcune delle più importanti inchieste della magistratura e minaccia le manette ai giornalisti. Colpevoli di voler fare il proprio mestiere, nulla di più nulla di meno.
Vogliono ridurci al silenzio? E noi non staremo zitti. Vogliono spedirci in carcere? Correremo il pericolo.
Personalmente, continuerò a pubblicare tutte le notizie di cui sarò possesso. E non ci sarà nessuna norma bavaglio che mi fermerà. Lo farò su l'Unità fin quando mi sarà permesso, e lo farò su questo blog fino al giorno in cui la polizia postale non interverrà. Da quel momento in poi, me ne inventerò un'altra. No problem. Ma state sicuro: io come molti altri non tacerò. Cronisti fino in fondo, a dispetto di chi ci vorrebbe pronisti.
venerdì, giugno 13, 2008
La rabbia di Angelino
Argomento boomerang anche quello relativo al numero dei reati per cui l’ordinamento italiano prevede l’uso delle intercettazioni. Oggi, secondo il centrodestra, sono troppi. Diciotto mesi fa non era così: «non si può sostenere, nemmeno nel confronto con i sistemi normativi delle altre democrazie occidentali - si legge infatti nel testo approvato il 29 novembre 2006 anche con i voti del centrodestra - che il nostro sistema preveda un numero eccessivo di reati per i quali ex lege sia consentito disporre intercettazioni telefoniche. La semplice presa d’atto di quanto previsto negli Stati esteri già citati ci convince facilmente del contrario (...). La stessa durata delle intercettazioni e delle proroghe prevista nel nostro ordinamento non si discosta molto dalla durata di quanto consentito all’estero, anzi in alcuni casi la nostra normativa è sicuramente piu` restrittiva». Ora, qualcuno lo spieghi al ministro Alfano prima di altre figuracce.
giovedì, giugno 12, 2008
Piange il telefono...

contro il tempo che gli uffici competenti del ministero degli Interni e della Giustizia stanno conducendo da una settimana, da quando cioè Berlusconi ha lanciato il suo sasso nello stagno mandando in fibrillazione Camere, Quirinale e magistratura. Di ieri l’ultima versione comunicata ai cronisti: «Verrà prevista - ha spiegato Berlusconi - la possibilità di effettuare le intercettazioni soltanto per le indagini che riguardino reati con pene dai 10 anni in su». «Avrei semplificato dicendo mafia, camorra, terrorismo internazionale e basta», ha proseguito il premier, «ma in questo modo rientrano tutta una serie di reati che mi sembrano giusti: pedofilia, omicidio».
Rientrano, già. Più complicato e spinoso, invece, il capitolo dei reati che resteranno fuori se il testo (che non è ancora stato ultimato) effettivamente prevederà davvero il limite dei «10 anni in su». Una lunga lista di delitti, molto spesso perseguiti proprio attraverso le intercettazioni telefoniche, che d’ora in poi le procure saranno quasi impossibilitate a perseguire. Il tema più dibattuto è quello sulla corruzione: le intercettazioni, infatti, non potranno più essere utilizzate per scoprirne nessuna fattispecie. Nemmeno quella più grave di corruzione in atti giudiziari che è costata una condanna a cinque anni a Cesare Previti per la sentenza comprata a Roma sul Lodo Mondadori. Unica eccezione la corruzione per ottenere una ingiusta condanna. Molto dibattuto anche il capitolo dei reati finanziari, dall’insider trading all’aggiotaggio passando per le false comunicazioni al mercato. D’ora in poi, se la legge sarà approvata in questi termini, i vari Ricucci, Consorte, Gnutti e Fiorani potranno parlare al telefono delle loro scalate bancarie senza il timore di essere ascoltati e di vedersi le proprie parole usate in tribunale a sostegno delle accuse.
Ma la lista dei delinquenti che d’ora in poi potranno usare i cellulari senza timore è lunga. Nessun problema allora per le bande che organizzano i furti nelle ville: tanto le intercettazioni non saranno più utilizzabili nelle inchieste per furto, nemmeno aggravato. E se servirà leggere attentamente il testo della legge per capire cosa succederà con le intercettazioni telematiche (mail, chat e simili), per ora una cosa la si può già dire con certezza: il telefono non costituirà più alcun rischio per quanti in Italia si scambiano materiale pedopornografico, lo commerciano e lo detengono. Unico limite la produzione. Nessun timore di Grande Fratello giudiziario anche per gli indagati di truffa, che al cellulare potranno anche parlare di raggiri e organizzazioni per frodare l’Ue accaparrandosi finanziamenti miliardari. Del resto le intercettazioni telefoniche, a legge approvata, non si potranno utilizzare nemmeno in indagini sulle associazioni per delinquere semplici e non mafiose. Un po' quello che accadrà ai ricettatori non legati ai clan malavitosi e agli indagati di favoreggiamento semplice. Troppo tardi per l’ex presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro: se questa legge fosse stata approvata prima non avrebbe avuto alcun problema. Nemmeno per la rivelazione di segreto d’ufficio, che d’ora in poi sarà un reato non intercettabile. Come anche l’incendio: le conversazioni “rubate” dalla polizia giudiziaria servirono per incastrare alcuni dei responsabili del rogo del teatro La Fenice di Venezia, ma d’ora in poi non sarà più così.
Ben più complicata, invece, sarà la situazione se il testo che uscirà dalla Camera limiterà le intercettazioni soltanto per i reati puniti con una «pena superiore ai dieci anni», secondo la vulgata di cui si è parlato molto in queste ore. In quel caso, allora, i magistrati non potranno richiedere intercettazioni nemmeno per i casi di violenza sessuale, atti sessuali su minori, adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari, usura, estorsione e omissione dolosa di misure cautelari sul lavoro. Il reato per il quale si è proceduto (e intercettato) per i presunti responsabili delle morti della Thyssen di Torino e per il Petrolchimico di Marghera. Tutto da chiarire, inoltre, anche il capitolo relativo al traffico di droga e armi che il codice di procedura penale disciplina in maniera a sè stante. Anche per questo, bisognerà aspettare il testo definitivo senza ascoltare le indiscrezioni.
martedì, giugno 10, 2008
Le bugie del ministro Alfano

Leggende spacciate per verità
di Luigi Ferrarella
Una sfilza di luoghi comuni, spacciati per verità, compromette la serietà della discussione sull’annunciato intervento legislativo sulle intercettazioni. Che siano «il 33% delle spese per la giustizia», come qualcuno ha cominciato a dire e tutti ripetono poi a pappagallo, è un colossale abbaglio: per il 2007 lo Stato ha messo a bilancio della giustizia 7 miliardi e 700 milioni di euro, mentre per le intercettazioni si sono spesi non certo 2 miliardi abbondanti, ma 224 milioni. Però è una leggenda ben alimentata. Si lascia credere il falso giocando sull’ambiguità del vero, cioè sul fatto che le intercettazioni pesano davvero per un terzo su un sottocapitolo del bilancio della giustizia: quello che sotto il nome di «spese di giustizia» ricomprende anche i compensi a periti e interpreti, le indennità ai giudici di pace e onorari, il gratuito patrocinio, le trasferte della polizia giudiziaria. Spese peraltro tecnicamente «ripetibili», cioè che lo Stato dovrebbe farsi rimborsare dai condannati a fine processo: ma riesce a farlo solo fra il 3 e il 7%, eppure su questa Caporetto della riscossione non pare si annuncino leggi-lampo.
«Siamo tutti intercettati» è altra leggenda che, alimentata da una bizzarra aritmetica «empirica», galleggia anch’essa su un’illusione statistica. Il numero dei decreti con i quali i gip autorizzano le intercettazioni chieste dai pm non equivale al numero delle persone sottoposte a intercettazione.
Le proroghe dei decreti autorizzativi sono infatti a tempo (15 o 20 giorni) e vanno periodicamente rinnovate; inoltre un decreto non vale per una persona ma per una utenza. Dunque il numero di autorizzazioni risente anche del numero di apparecchi o di schede usati dal medesimo indagato (come è norma tra i delinquenti).
«Le intercettazioni sono uno spreco» è vero ma falso, nel senso che è vero ma per due motivi del tutto diversi da quello propagandato. Costano troppo non perché se ne facciano troppe rispetto ad altri Paesi, dove l’apparente minor numero di intercettazioni disposte dalla magistratura convive con il fatto che lì le intercettazioni legali possono essere disposte (in un numero che resta sconosciuto) anche da 007, forze dell’ordine e persino autorità amministrative (come quelle di Borsa).
Invece le intercettazioni in Italia costano davvero troppo (quasi 1 miliardo e 600 milioni dal 2001) perché lo Stato affitta presso società private le apparecchiature usate dalle polizie; e in questo noleggio è per anni esistito un Far West delle tariffe, con il medesimo tipo di utenza intercettata che in un ufficio giudiziario poteva costare «1» e in un altro arrivava a costare «18». Non a caso Procure come la piccola Bolzano (costi dimezzati in un anno a parità di intercettazioni) o la grande Roma (meno 50% di spese nel 2005 rispetto al 2003 a fronte di un meno 15% di intercettazioni) mostrano che risparmiare si può. E già il ddl Mastella puntava a spostare i contratti con le società private dal singolo ufficio giudiziario al distretto di Corte d’Appello (26 in Italia).
L’altra ragione del boom di spese è che, ogni volta che lo Stato acquisisce un tabulato telefonico, paga 26 euro alla compagnia telefonica; e deve versare al gestore circa 1,6 euro al giorno per intercettare un telefono fisso, 2 euro al giorno per un cellulare, 12 al giorno per un satellitare. Qui, però, stranamente nessuno guarda all’estero, dove quasi tutti gli Stati o pagano a forfait le compagnie telefoniche, o addirittura le vincolano a praticare tariffe agevolate nell’ambito del rilascio della concessione pubblica.
«Proteggere la privacy dei terzi», nonché quella stessa degli indagati su fatti extra-inchiesta, non è argomento (anche quando sia agitato pretestuosamente) che possa essere liquidato con un’arrogante alzata di spalle. Ma è obiettivo praticabile rendendo obbligatoria l’udienza-stralcio nella quale accusa e difesa selezionano le intercettazioni rilevanti per il procedimento, mentre le altre vengono distrutte o conservate a tempo in un archivio riservato. E qui proprio i giornalisti dovrebbero, nel contempo, pretendere qualcosa di più (l’accesso diretto a quelle non più coperte da segreto e depositate alle parti) e accettare qualcosa di meno (lo stop di fronte alle altre).
Prima di dire poi che «le intercettazioni sono inutili»andrebbe bilanciato il loro costo con i risultati processuali propiziati. Ed è ben curioso che, proprio chi ha imperniato la campagna elettorale sulla promessa di «sicurezza» per i cittadini, preveda adesso di eliminare questo strumento che, per fare un esempio che non riguarda la corruzione dei politici, ha consentito la condanna di alcune delle più pericolose bande di rapinatori in villa nel Nord Italia, e ancora ieri ha svelato a Milano il destino di pazienti morti in ospedale perché inutilmente operati solo per spillare rimborsi allo Stato. Senza contare (c’è sempre del buffo nelle cose serie) che proprio Berlusconi ben dovrebbe ricordare come un anno fa siano state le intercettazioni, che ora vorrebbe solo per mafia e terrorismo, a «salvare» in extremis da un sequestro di persona il socio di suo fratello Paolo.
Ma il dato più ignorato, rispetto al ritornello per cui «le intercettazioni costano troppo», è che sempre più si ripagano. Fino al clamoroso caso di una di quelle più criticate per il massiccio ricorso a intercettazioni, l’inchiesta Antonveneta sui «furbetti del quartierino». Costo dell’indagine: 8 milioni di euro. Soldi recuperati in risarcimenti versati da 64 indagati per poter patteggiare: 340 milioni, alcune decine dei quali messi a bilancio dello Stato per nuovi asili. Il resto, basta a pagare le intercettazioni di tutto l’anno in tutta Italia.
domenica, giugno 08, 2008
mercoledì, giugno 04, 2008
E se De Magistris non fosse poi così pazzo?

Riporto un prezioso articolo di Giuseppe Baldessarro tratto da Repubblica.it
E se piano piano si riuscisse a capire meglio cos'è successo attorno a Luigi De Magistris e alle sue inchieste? E persino alla sua condanna davanti al Csm?
DE MAGISTRIS, CHIESTA L'ARCHIVIAZIONE
"GRAVI INGERENZE NEL SUO LAVORO"
CATANZARO - Non solo ha agito in maniera "assolutamente legittima e corretta", ma è stato vittima di "pressioni e interferenze" relative ai risultati "ottenuti con le sue inchieste". E' un vero e proprio atto d'accusa contro i vertici della Procura di Catanzaro, la richiesta di archiviazione dei magistrati di Salerno, chiamati a indagare sull'operato di Luigi De Magistris. Le quasi mille pagine prodotte dal procuratore Luigi Apicella e dal sostituto Gabriella Nuzzi, trasformano, di fatto, il giudice "scomodo", in vittima di un sistema di interessi che sarebbe l'oggetto delle sue indagini.
De Magistris incassa un risultato importantissimo. Dopo che per mesi il suo operato era stato al centro di denunce, richieste di azioni disciplinari e persino atti parlamentari. Il magistrato protagonista di inchieste come "Poseidone", "Toghe Lucane" e "Why Not" ha detto di essersi semplicemente "difeso", esprimendo "sempre massima fiducia nella magistratura di Salerno, competente per legge".
Un commento alla notizia della richiesta di archiviazione, a cui ha aggiunto di aver soltanto "contribuito doverosamente, da magistrato, ad evidenziare l'attività di ostacolo posta in essere" ai suoi danni e alle funzioni che ha cercato e cerca ancora "di svolgere nell'esclusivo interesse della giustizia". Poche frasi, nelle quali De Magistris lascia trasparire la propria soddisfazione alla fine della maxi inchiesta.
Il pm di Catanzaro sarebbe insomma estraneo "ai reati di calunnia, abuso d'ufficio e rivelazione di segreto d'ufficio". E niente darebbe ragione ai magistrati, agli avvocati e ai politici che contro di lui hanno presentato una serie di denunce. Insomma per gli inquirenti salernitani vi sarebbe "insussistenza di illegittimità sostanziali o procedurali penalmente rilevanti ovvero di condotte abusive addebitabili nell'esercizio delle funzioni giudiziarie del De Magistris". Piuttosto "i risultati investigativi ottenuti, la natura e la cadenza degli interventi subiti a causa della intensità delle sue indagini e il complesso materiale probatorio acquisito, ha consentito di riscontrare la bontà della sua azione inquirente, nonché di ricostruire la sequenza ed il contenuto degli atti procedimentali appurandone la correttezza formale e sostanziale".
La richiesta di archiviazione affonda poi il bisturi contro i detrattori del pm: "Il contesto giudiziario in cui si è trovato ad operare Luigi De Magistris, appare connotato da un'allarmante commistione di ruoli e fortemente condizionato dal perseguimento di interessi extragiurisdizionali, anche di illecita natura".
Accuse pesantissime, ancora più chiare quando si parla della "pressante attività di interferenza alle indagini posta in essere dai vertici della Procura della Repubblica di Catanzaro, e resasi sempre più manifesta con il progressivo intensificarsi delle investigazioni da parte di De Magistris". Per evidenziare poi che "alle continue ingerenze sull'attività inquirente è risultata connessa, secondo una singolare cadenza cronologica la trasmissione di continue denunce e segnalazioni agli organi disciplinari ed alla Procura di Salerno".
Nella richiesta si legge ancora che "dagli accertamenti investigativi condotti sono emersi fatti, situazioni concorrenti a delineare il difficile contesto ambientale nel quale De Magistris si è trovato a svolgere le funzioni inquirenti, i legami tra i vertici dell'Ufficio giudiziario di Catanzaro, difensori ed indagati, gli interessi sottostanti alle vicende oggetto dei procedimenti da lui trattati, le condotte di interferenza ed ostacolo al suo operato". Un difficile contesto ambientale "reiteratamente denunciato dal pm nelle sedi istituzionali".
Infine i due magistrati di Salerno scrivono che "l'oggetto di indagini svolte da De Magistris, coinvolgenti pubblici amministratori, politici, imprenditori, professionisti, magistrati, rappresentanti delle forze dell'ordine, le tecniche investigative impiegate, i risultati derivati dagli atti di indagine esperiti hanno finito, nel tempo, per esporre il sostituto procuratore ad una serie articolata di azioni ostative al suo operato".
Tra queste si inseriscono "le svariate denunce in sede penale e le segnalazioni disciplinari di soggetti indagati e difensori, alle quali sono seguite interpellanze, interrogazioni parlamentari, ispezioni ministeriali riguardanti le più rilevanti indagini condotte dal magistrato nei due periodi di permanenza a Catanzaro".
Ma non è tutto. Infatti Salerno sta vagliando "l'ipotesi investigativa della indebita strumentalizzazione di attività di indagine coordinate dalle Procure di Matera e di Catanzaro nei confronti di collaboratori di polizia giudiziaria e di giornalisti". Di fatto, secondo la Procura campana, collaboratori di pg e cronisti di giudiziaria sarebbero stati coinvolti strumentalmente nelle inchieste, subendo anche perquisizioni. De Magistris oltre ad essere stato denunciato, a sua volta produsse una serie di esposti.
La Procura Generale di Catanzaro non ha concesso alcuni documenti dell'inchiesta "Why Not" chiesti da Salerno che indaga sulle denunce di Luigi De Magistris. Luigi Apicella, è giunto nel capoluogo calabrese dove ha incontrato il Procuratore Generale, Vincenzo Jannelli, ed i sostituti Alfredo Garbati e Domenico De Lorenzo.
Per oltre tre ore i magistrati hanno discusso sulla richiesta di alcuni documenti relativi all'inchiesta. Al termine dell'incontro, secondo quanto si è appreso, i magistrati della Procura Generale non hanno concesso la documentazione perché l'inchiesta è attualmente in corso.
giovedì, maggio 22, 2008
Nuove norme sull'immigrazione. Tribunali e carceri a rischio caos

Da qui la preoccupazione di gran parte delle toghe italiane in questo momento. Arrestare, processare e condannare i cittadini extracomunitari che verranno denunciati per immigrazione clandestina, infatti, comporterà un aggravio di lavoro incredibile, stimabile in decine di migliaia di processi ogni anno se solo si considera che, secondo stime approssimative, sarebbero ben più di un milione i clandestini presenti sul territorio italiano. Numeri che potrebbero rappresentare la pietra tombale sul sistema giustizia italiano. Pachidermico e già lentissimo, come testimoniano i 2900 ricorsi pendenti (dato aggiornato al 31 dicembre del 2007) davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo contro lo stato italiano per la durata eccessiva dei processi. Un dato inevitabilmente destinato ad aggravarsi se solo si riflette sulle carenze di organico più volte denunciate dal Consiglio Superiore della Magistratura.
Ma imprevedibili sarebbero anche le ricadute che il nuovo reato di immigrazione clandestina potrebbe avere sulla situazione carceraria italiana, soprattutto in considerazione del fatto che già adesso gli extracomunitari detenuti in Italia sono quasi 20mila, poco meno del 50% dei circa 49mila detenuti ristretti nelle strutture carcerarie italiane (dati, fonte Dap, sono aggiornati a fine 2007). E la prevedibile ondata di nuovi arresti farebbe definitivamente saltare il tappo ad una situazione che, dopo i mesi di respiro concessi dall’indulto varato nel luglio 2006, è di nuovo drammatica con la capienza totale delle strutture già di nuovo superata: perché se al momento dell’approvazione dell’insulto i detenuti erano 60mila, a fronte di una capienza totale che si aggira attorno ai 43mila posti, oggi la cifra è tornata di nuovo ad oscillare attorno alle 50mila unità.
Ultimo punto di criticità, e non certo per importanza, quello relativo alle forze dell’ordine che saranno impegnate a controllare sulla strada per far rispettare le nuove norme sull’immigrazione. Una aumentata mole di lavoro che comporterà, ovviamente, un nuovo e pesante carico di lavoro. Una prospettiva certo non rosea se si considera che il 30 maggio 2007, in audizione davanti alla commissione affari costituzionali della Camera, l’allora viceministro dell’Interno Marco Minniti aveva analizzato la situazione degli organici delle tre principali di forze di polizia (polizia di stato, carabinieri, e guardia di Finanza) spiegando che «sono sotto organico mediamente del 10% - come si legge nella bozza del documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza in Italia -. Per colmare il vuoto bisognerebbe assumere tra i 25.000 e i 30.000 operatori di polizia». Una prospettiva non attuabile, almeno nel breve periodo. E intanto i problemi aumentano. A Napoli per esempio, ne dava notizia la Stampa di ieri, le forze dell’ordine non riescono a smaltire le ordinanze di arresto. Millecinquecento ne giacciono sulle scrivanie di gip, con richieste vecchie anche di tre anni.
lunedì, maggio 19, 2008
Boniver-Realacci, dove sta l'errore?
Poi uno si aspetta che il centrosinistra reagisca indignato senza risparmio di iperboli. E invece... e invece poi capita di leggere le parole di Ermete Realacci (ministro ombra dell'ambiente, o ombra di un ministro dell'Ambiente?) che con un buffetto bonario liquida tutto come "una boutade". Ohibò! Addirittura una boutade? Roba che trasuda umanissima indignazione... Ma l'opposizione, in questo clima di grande dialogo e inciucio striscinate, esiste ancora? Nel caso, qualcuno lo spieghi a Realacci.
martedì, maggio 13, 2008
Tornano le frasi intelligenti
Qualcuno spieghi alla sosia di Crudelia De Mon che, nella sua veste di giudice per le indagini preliminari, Clementina Forleo non conduce alcune inchiesta.
lunedì, maggio 12, 2008
E io sto con Marco Travaglio

Ma che cosa ha detto di tanto grave Travaglio? Cose che sono già state scritte e più volte in passato, ma che evidentemente in Rai non si possono dire. Alla faccia della libera informazione. Ma quello che mi scandalizza non sono tanto gli strepiti della destra, ansiosa di avere un buon motivo per fare piazza pulita in Rai e mettere ai posti di comando i proprio fedelissimi. In fondo li conosciamo, so gli stessi che hanno fatto fuori dalla rai Biagi, Santoro e Luttazzi. Mi fa tristezza e rabbia, piuttosto, la sponda che molti uomini del centro sinistra (Anna Finocchiaro in primis, che delusione) hanno volontariamente fornito ai peana della maggioranza.
Ciò che mi sfugge, però, è dove stia lo scandalo. Travaglio è un giornalista, e per di più bravo. Dobbiamo dedurne che in Rai è vietato ai giornalisti riferire notizie e fatti accertati? Ditelo subito, che ci mettiamo l'anima in pace e celebriamo il funerale all'informazione pubblica. Dicono: non si possono lanciare certe accuse senza contraddittorio. Ommammasantissima... anche se quei fatti sono stati già scritti in due libri (I complici, di Lirio Abbate e Peter Gomez; Se li conosci li eviti, di Marco Travaglio e Peter Gomez)? Francamente, mi sembra patetico. E non credo che in nessun altro paese del mondo, almeno libero, succedano certe cose.
Che poi, mi viene da pensare, se tanto sdegno fosse stato suscitato dalle espressioni poco educate usate da Travaglio gratuitamente nei confronti di Schifani (gli ha dato della muffa, del lombrico) , potrei anche capire. Ma no, nessuno s'è indignato per quello. La pietra dello scandalo è l'aver detto che Schifani, in passato, era intimo amico di ben noti mafiosi. Un dato di fatto, una realtà che è agli atti di più di una inchiesta. Ma allora dov'è il problema? Sarà mica che certe cose non si possono più dire? E perché il partito Democratico si è affrettato a difendere a spada tratta Schifani attaccando un giornalista che fa soltanto il suo lavoro, e per di più bene?
Mala tempora currunt.
venerdì, maggio 09, 2008
Governi e ombre

La scritta, geniale, campeggiava anni fa su un muro di via Prenestina. La vedevo passando ogni mattina col tram e in cuor mio ero convinto che certi ghirigori politici appartenessero ad un passato (remoto) da prima Repubblica.
Mi sbagliavo.
Chiamatelo governo ombra, chiamatelo shadow cabinet (sic!), chiamatelo come volete. Basta che qualcuno mi spieghi a cosa serve... Risposte, commenti, frizzi e lazzi sono ben graditi. Soprattutto i frizzi e i lazzi. Che tutto mi pare meno che una cosa seria.
lunedì, maggio 05, 2008
Un buon esordio, non c'è che dire

Sono cose come questa che mi rafforzano ogni giorno di più nei miei pregiudizi. Il vestito buono e la carica istituzionale, evidentemente, non bastano a cambiare certe teste.
martedì, aprile 29, 2008
Quiz Anti-Mafia
lunedì, aprile 28, 2008
Alemanno sindaco di Roma
martedì, aprile 22, 2008
Ma dove viviamo? Anzi, ma dove vivono?

A volte mi chiedo davvero se l'Italia in cui vivo, la Roma in cui abito, sia lo stesso posto descritto da certi telegiornali e da certa stampa. No, davvero. Perché il paese che io conosco ha tanti problemi, non ultimo quello della sicurezza, ma non è il bronx di cui parlano tanti media. Guarda caso in piena campagna elettorale. Sarà mica che qualcuno vuole prenderci in giro battendo sul tasto della paura? Sarà mica che qualcuno ha tutto l'interesse a far passare l'Italia per una specie di landa desolata senza legge a cui serve soltanto una guida sicura, forte a autoritaria. E questo a spregio delle statistiche che raccontano invece tutt'altra storia, con i reati in calo e la situazione in linea con l'Europa. Leggere per credere, ma è solo un esempio
Rabbrividisco e mi spavento. Mi spavento vedendo che c'è gente che non si fa problemi a creare un clima di guerra, a spargere terrore e diffidenza verso gli estranei. Verso gli stranieri soprattutto, meglio ancora se extracomunitari. Elettorale è il terrore, concretissimo il rischio della barbarie di un far west legalizzato.
Del resto, se il futuro ministro dell'Interno si spinge persino ad invitare i cittadini a creare ronde notturne, cosa attendersi di buono?
Cosa aspettate allora? Chiudetevi in casa e accendendete la tv.
giovedì, aprile 17, 2008
Ridiamoci su...
sabato, marzo 22, 2008
G8: per il centrodestra era andato tutto a meraviglia

«Gestione moderata»
Eppure, a meno di due mesi dalla conclusione del vertice, tutto il mondo aveva già avuto modo di vedere i filmati e le fotografie delle violenze di strada, delle cariche contro il corteo pacifico e della tanto macabra quanto indisturbata azione dei black block. Non abbastanza, evidentemente, per ammettere un fallimento evidenziato dagli organi di stampa di tutto il globo. «In una situazione di questo tipo - spiega infatti la relazione - la linea scelta dal governo Berlusconi e l’azione delle forze dell’ordine sono state, sul terreno dell’ordine pubblico, certamente positive». Anche perché, secondo il centrodestra, i giorni del vertice erano stati preceduti da un costruttivo dialogo con il Genoa Social Forum: si sono stanziati «fondi per l’accoglienza e a impartire precise direttive alle forze dell’ordine per una gestione moderata e ferma dell’ordine pubblico». Precise direttive che evidentemente a qualcuno devono essere sfuggite. Non si spiegherebbero altrimenti il numero spaventoso dei manifestanti rimasti feriti e le teste spaccate immortalate in foto che sono diventate la cifra reale della violenza che ha contraddistinto l’operato di interi settori delle forze dell’ordine.
Quelle torture ordinarie
Emblematico il caso del lager di Bolzaneto e delle sevizie subito da quanti ebbero la sfortuna di transitare nella struttura dopo il fermo. Racconti e denunce che hanno dato avvio all’inchiesta della magistratura genovese che ha parlato di «comportamenti vicini alla tortura» (44 richieste di condanna per ispettori di pg, funzionari di polizia e medici per un totale di 76 anni di carcere) ma sulle quali il comitato è stato cieco muto e sordo. Spingendosi addirittura a sancire che «nulla è dato da rilevare circa la palese legittimità della gestione effettuata da parte della polizia penitenziaria. In particolar modo (...) nulla può essere eccepito circa il pieno rispetto delle prassi concernenti le visite mediche, le perquisizioni e le ispezioni personali e circa le modalità del loro trattenimento in attesa di traduzione al carcere, sempre finalizzate al mantenimento dell’ordine tra gli arrestati e tra loro ed il personale operante». Del resto, scriveva la maggioranza di centrodestra del comitato, i racconti degli arrestati potevano non essere credibili: «Corre l’obbligo di richiamare le denunzie della Questura di Genova che, a seguito di intercettazioni ambientali, avrebbe acquisito elementi circa la preordinazione strumentale da parte di taluni degli arrestati di accuse infondate».
Tutte le bugie della Diaz
Non va meglio nella parte delle conclusioni riservata all’irruzione nella scuola Diaz la sera del sabato, quando gran parte dei manifestanti era già ripartita e i cortei si erano conclusi da ore. Chi era là dentro raccontò di una vera mattanza, di ragazzi svegliati in piena notte dai calci degli anfibi, di manganellate al buio e di teste sbattute contro muri e termosifoni. In ospedale finirono praticamente tutti i fermati. Per giustificare la tonnara, si scoprì poi, erano state confezionate prove false (due molotov sequestrate nel pomeriggio vennero trasportate nella scuola) mentre il bottino dell’operazione fu praticamente nullo. Eppure il centrodestra non mancò di rilevare «la legittimità della decisione di procedere alla perquisizione» nella convinzione «che presso l’istituto fossero occultate armi». Mesi più tardi si scoprì anche che alcuni dirigenti avevano messo in scena la farsa del giubbotto antiproiettile squarciato da una coltellata per giustificare la reazione violenta degli agenti, ma la Commissione in quel settembre aveva già deciso la sua verità: «A ragione fu predisposta una forza operativa adeguata a fronteggiare una decisa resistenza. Tale determinata resistenza è infatti ampiamente documentata e fu tale da comportare una decisa forza per vincere e superare la condotta degli occupanti, al fine di tutelare la stessa incolumità del personale». E le teste spaccate? E le braccia spezzate di quanti, inermi, cercavano di difendersi ancora distesi nei sacchi a pelo? «Sono emersi taluni eccessi compiuti da singoli esponenti delle forze di polizia. L’accertamento dei fatti è demandato all’autorità giudiziaria».
lunedì, marzo 17, 2008
Al fianco di Rosaria...
(ANSA) - ROMA, 17 MAR - «Chiediamo al Ministro dell'Interno di concedere adeguate misure di protezione alla giornalista del Mattino Rosaria Capacchione e tutti coloro che in questo momento sono oggetto di minacce alla loro persona da parte del crimine organizzato». Lo affermano in un appello al Ministero dell'Interno il Vice responsabile Informazione del Pd Roberto Cuillo, il Portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti, i giornalisti Furio Colombo, Roberto Morrione, Sandro Ruotolo e il Presidente di Articolo 21 Federico Orlando. «È un momento difficile per quei giornalisti che si battono contro l'illegalità. Durante il processo Spartacus contro i Casalesi - si legge nel testo dell'appello - sono state lette in aula grave minacce contro giornalisti, scrittori e magistrati. Nessuno può restare indifferente». Due boss del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, detto Cicciotto di Mezzanotte, detenuto da alcuni anni, e il latitante Antonio Iovine, in una istanza depositata il 13 marzo dai loro legali per chiedere il trasferimento del processo a loro carico a Roma per legittimo sospetto, hanno lanciato accuse nei confronti dello scrittore Roberto Saviano, dell'ex pm della Dda di Napoli Raffaele Cantone e della giornalista del Mattino Rosaria Capacchione. (ANSA).
sabato, marzo 15, 2008
Il diktat dei Casalesi: chi parla muore

Parole che sanno di avvertimento e di minaccia. Perché, hanno spiegato gli avvocati difensori di Bidognetti e del latitante Iovine, «alcuni articoli di cronaca comparsi sui quotidiani non hanno alcuna spiegazione se non quella di creare un condizionamento nella libertà di determinazione nei giudici che partecipano al processo». «L’intervento di Roberto Saviano sul silenzio legato alla sentenza Spartacus (21 ergastoli e 95 condanne per associazione camorristica a uomini e fiancheggiatori del clan dei Casalesi, la più potente organizzazione del “Sistema” ndr) non può non turbare gli animi dei giudici definiti dal prezzolato pseudogiornalista come degli inetti, incapaci, insensibili alla sete di giustizia della collettività. È solo un invito rivolto al signor Saviano e ad altri come lui a fare bene il proprio lavoro e a non essere la penna di chi è mosso da fini ben diversi rispetto a quello di eliminare la criminalità organizzata».
Eppure, stando almeno ai fatti, si direbbe che “il loro lavoro” tanto Saviano quanto la Capacchione lo facciano da tempo. E bene. E proprio per questo da anni vivono nell’incubo. Semplicemente per aver fatto quello che sanno fare: indagare sugli affari milionari dei clan, scoprire intrecci e interessi, e poi raccontarlo con coraggio e precisione. Proprio per questo da quando il libro Gomorra è diventato un successo planetario (è stato acquistato in 32 paesi e già tradotto fra gli altri in Germania Francia, Svezia, Danimarca, Finlandia, e Spagna dove è stato primo in classifica per diverse settimane) Saviano è costretto a vivere blindato costantemente seguito dagli angeli della sua scorta. Quella protezione che, però, nessuno ha mai accordato a Rosaria Capacchione nonostante nel corso di una udienza il collaboratore di giustizia Dario De Simone, numero tre del clan dei Casalesi, abbia rivelato dell’esistenza di un piano, risalente alla fine degli anni ‘90, per ammazzarla. Ed era stato sempre De Simone, davanti ai pm antimafia e poi in aula, a raccontare dell’odio della famiglia Schiavone nei confronti della cronista de Il Mattino «per il fastidio che dava coi i suoi articoli». A lei, come a Saviano e a Cantone, ieri sono arrivati tantissimi messaggi di solidarietà da parte di uomini politici, sindacati, amministratori locali ed associazioni di categoria. Secca la risposta del capo della Dda di Napoli Franco Roberti: «Gli imputati Bidognetti e Iovine avranno le risposte che meritano nelle sedi competenti».
domenica, marzo 09, 2008
Betulla va alla guerra

giovedì, marzo 06, 2008
Dalla Chiesa in Parlamento!

"Nando dalla Chiesa, una delle personalità che più ha contribuito a dare apertura e credibilità alle Istituzioni presso l’opinione pubblica e la società civile, uomo politico da sempre impegnato per la legalità, l’etica pubblica, la difesa dei principi costituzionali e di giustizia, non ha ottenuto la deroga per la candidatura dal suo partito.
Son stati invece candidati personaggi la cui storia non è trasparente. O persino politici che in passato hanno avuto qualche vicinanza agli ambienti della criminalità organizzata. Anche se secondo l’art. 2 del Regolamento “Non può essere candidato chi si trovi in contrasto con le norme del codice etico”.
Come cittadini a vario titolo impegnati per un’Italia più civile e rispettosa dei meriti, chiediamo che Nando dalla Chiesa, cui riconosciamo di rappresentare con coerenza i nostri valori etico-istituzionali, sia tra gli eletti del prossimo parlamento italiano".
Hanno aderito all'appello, fra gli altri: Elisabetta Caponnetto, don Luigi Ciotti, Virginio Rognoni, Gianni Barbacetto, Stefano Boeri, Anna Bonaiuto, Giovanna Borghese, Andrea Brambilla (Zuzzurro), Novella Calligaris, Laura Caselli, Cisco (ex cantante dei Modena City Ramblers), Dario Fo, Giorgio Galli, Ricky Gianco, Vittorio Grevi, Laura Lepetit, Tinin Mantegazza, Velia Mantegazza, Guido Martinotti, Gabriele Mazzotta, Maria Mulas, Flavio Oreglio, Ottavia Piccolo, Franca Rame, Lidia Ravera, Basilio Rizzo, Corrado Stajano, Marco Travaglio, Franca Valeri, Pamela Villoresi, Patrizia Zappa Mulas.
venerdì, febbraio 22, 2008
De Magistris, la condanna e le motivazioni

Una vicenda disciplinare lunga e complessa, iniziata con le ispezioni ministeriali e con la richiesta dell’ex Guardasigilli Mastella (indagato dallo stesso De Magistris nel fascicolo “Why Not”) del trasferimento cautelare d’ufficio del pubblico ministero di Catanzaro. Una richiesta non accettata, scrive la Disciplinare, perché «non paiono ricorrere motivi di particolare urgenza». Per quanto riguarda invece il ruolo di pubblico ministero che De Magistris dovrebbe lasciare, si legge invece nella sentenza, «va rilevato che la condotta tenuta, poiché rivelatrice di non adeguata attenzione al rispetto di regole di particolare rilievo nonché di insufficienti diligenza, correttezza e rispetto della dignità delle persone, si palesa incompatibile con l’esercizio» del ruolo di sostituto procuratore. Ma c’è di più: la Disciplinare infatti, nonostante il procuratore generale della Cassazione Vito D’Ambrosio non ne avesse fatto richiesta, ha infatti deciso che De Magistris debba lasciare anche il tribunale del capoluogo calabrese. E questo perché, secondo la Commissione, le difficoltà di rapporto fra il magistrato e i colleghi «inducono a ritenere che pure la permanenza dell’interessato in un altro ufficio di Catanzaro non favorisca il buon andamento dell’amministrazione della giustizia». Ma la disciplinare decise anche di respingere la richiesta formulata da D’Ambrosio per la sanzione della perdita di anzianità in virtù, si legge nella sentenza, «della accertata laboriosità dell’interessato, pur nelle difficoltà in cui si è trovato ad operare».
Un giudizio indubbiamente severo quella della Disciplinare, che imputa a De Magistris l’avere predisposto atti di indagine (come il decreto di perquisizione a carico del pg di Potenza Tufano) senza averne avvertito l’allora procuratore di Catanzaro Mariano Lombardi, di aver tenuto segrete in un armadio blindato le iscrizioni nel registro degli indagati del senatore di Forza Italia Pittelli e del generale della Gdf Cretella Lombardi e di aver trasferito alla procura di salerno, con una «iniziativa irrituale», l’intero fascicolo dell’inchiesta “Poseidone” che gli era appena stato revocato. Ma di fronte alla Disciplinare De Magistris paga anche la lesione «alla dignità, all’onore e al decoro» di due magistrati di Potenza, commessa avendo riferito in un atto (l’ordinanza di perquisizione a carico di Tufano) di una loro presunta relazione extraconiugale «in base ai sentito dire» e senza aver «compiuto gli accertamenti necessari».