martedì, novembre 04, 2008

Povera Difesa...

Magari il Piave è ancora «calmo e placido», piuttosto sono i fanti a mormorare irritati. E non solo loro, l’Esercito Italiano: anche l’Aeronautica Militare, i Carabinieri e la Marina. Divise di terra, di cielo e di mare che oggi dovrebbero festeggiare in parata dietro al ministro della Difesa Ignazio La Russa la “Giornata delle Forze Armate” e il “90° anniversario dell’Unità Nazionale”, ma che invece sono in subbuglio e davvero arrabbiati. «Perché la festa, quella vera - ironizza un militare con più di qualche grado - ce l’hanno già fatta: in Finanziaria». Frutti avvelenati della cura dimagrante imposta dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti che a colpi di forbice ha tagliato alla cieca i bilanci di tutti i ministeri, Difesa incluso. E per le Forze armate il risultato è da fame: -838,1 milioni di euro nel 2009 rispetto all’anno in corso e un progressivo snellimento che porterà gli stanziamenti della Difesa a 18,9 miliardi nel 2011 contro i 21,1 del 2008. Dati che non circolano clandestini su blog e newsletter ma che il ministero ha messo nero su bianco nella propria nota illustrativa alla Finanziaria. E il saldo ampiamente negativo, hanno scritto gli uffici della Difesa, «rischia di compromettere irrimediabilmente le capacità produttive». Particolarmente complicata la situazione per la funzione Difesa, dove le previsioni di spesa per il 2009 registrano -7% rispetto al 2008 (14.339 milioni contro i 15.408, lo 0,87% del Pil rispetto all’1,42% di media europea). Meno 7% nel prossimo anno anche per le spese per il personale militare e civile, una sforbiciata che salirà al 40% a decorrere dall’anno 2010 per le risorse «destinate alla professionalizzazione». Soldi che, in pratica, metteranno in discussione sia l’assunzione di nuovo personale che la stabilizzazione dei «precari» che già da anni vestono la divisa. Non sono migliorinemmeno le notizie riguardo al settore “esercizio”, ossia a quei fondi che servirebbero per la manutenzione dei mezzi e l’addestramento del personale. Il condizionale però, a leggere i segno negativi, è d’obbligo: -775,3 milioni rispetto al 2008 (-29,1%). E cosi, hanno scritto gli uffici della Difesa, i fondi «risultano assolutamente insufficienti per assicurare, sia pure al minimo livello, le attività di addestramento e formazione, le attività manutentive, scorte di materiali per uno strumento aderente agli impegni nazionali oltre a quelli Nato/Ue/Onu». Perché di questi ritmi, prosegue l’analisi ministeriale, c’è «il rischio di un progressivo decadimento operativo con una riduzione prossima all’azzeramento delle esercitazioni, delle ore di moto e di volo». E il calcolo è presto fatto: grazie ai nuovi tagli imposti dal governo, infatti, nel 2009 «l’Esercito potrà svolgere circa 2.880 esercitazioni a fronte delle 7.500 del 2008. La Marina disporrà di circa 29.800 ore di moto a fronte delle 45.000 del 2008. L’Aeronautica potrà effettuare circa 30.000 ore di volo a fronte delle 90.000 del 2008». Niente male se si considera che soltanto poche settimane fa, nella relazione annuale del 2008 al parlamento, il ministero della Difesa denunciava che «il livello addestrativo complessivo è sceso ampiamente sotto il livello di guardia». Per correre ai ripari, allora, altri tagli. Anche alla manutenzione, giusto perché non si ripetano più casi simili a quello dell’incidente capitato due settimane fa in Francia ad un elicottero dell’Aeronautica italiana che ha causato la morte di otto militari. Così se nel 2009 il livello di efficienza sarà garantito per una percentuale di mezzi fra il 45 e il 65%, nel 2012 si arriverà ad un numero «prossimo allo zero». E anche questo, è scritto nero su bianco sui documenti ministeriali. «In pratica - scherzava amaramente proprio ieri un alto esponente della Difesa - è come avere una Ferrari e non i soldi per mettere la benzina o cambiare le gomme». E per il futuro, le cose difficilmente potranno migliorare visto che, in assoluta coerenza con quanto fatto ad esempio per la ricerca, il governo ha deciso di tagliare 750 milioni di euro (-22,1%) ai fondi del settore “investimento”. Una scelta che secondo i tecnici del ministro la Russa causerà «un forte rallentamento dell’adeguamento tecnologico della Difesa». Dati che non lasciano troppi dubbi sul futuro che attende le Forze Armate italiane. Tagli che colpiscono «in modo particolare il settore del personale e dell’esercizio - si legge nella relazione scritta dal ministero della Difesa - destinati nei due anni successivi a raggiungere condizioni di degrado tali da risultare difficilmente recuperabili, con conseguenti riflessi anche sugli impegni internazionali, sia in termini di presenza negli Organismi e comandi permanenti, sia per quanto attiene al contributo di Forze permanentemente date disponibili a Nato/Ue ed alla partecipazione di Missioni all’estero». Un grido d’allarme altissimo di fronte al quale, per logica e coerenza, un ministro dovrebbe dimettersi in polemica con il proprio governo. E La Russa invece che fa? Si mette da parte un fondo di 3 milioni di euro, sottratti al bilancio della scuola, e ci organizza la festa di chi invece non avrebbe proprio nulla da festeggiare. Una scelta che ha fatto infuriare sia le rappresentanze sindacali delle Forze Armate, i Cocer, che molte divise. «La manifestazione conclusiva di Roma - si è difeso La Russa - vedrà la partecipazione di Andrea Bocelli, Fabrizio Frizzi e Rita Dalla Chiesa, bande e 150 tra orchestrali e coristi e avrà un costo di 300mila euro. Altri 200mila andranno per la comunicazione istituzionale e 250mila per l’occupazione del suolo pubblico».

Massimo Solani, l'Unità 4 novembre

venerdì, ottobre 10, 2008

Giustizia per Riccardo

Riccardo aveva 34 anni quando morì ammanettato mani e piedi nella sua abitazione alla periferia di Trieste. Intorno a lui almeno quattro poliziotti che adesso rischiano di finire sotto processo per omicidio colposo: Francesca Gatti, Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi. Per loro, infatti il pubblico ministero Pietro Montrone ha presentato tre giorni fa la richiesta di rinvio a giudizio al gip Enzo Trucellito. Una vicenda terribile che approda finalmente in un’aula di Tribunale dopo quasi tre anni di una battaglia legale condotta in ostinata solitudine da una famiglia ferita e offesa. Dallo Stato. Una battaglia iniziata il 27 ottobre del 2006, quando su Borgo San Sergio era già sceso il buio. Al quarto piano di una palazzina Ater c’è Riccardo Rasman: ha 34 anni e da diverso tempo è in cura al Centro Igiene Mentale di Domio. Ha una pensione da invalido per problemi psichici iniziati molti anni prima, dopo lunghi mesi di sevizie e atti di nonnismo a cui era stato costretto, spesso con la violenza, durante il servizio militare. Riccardo è felice perché forse ha trovato un lavoro e nel monolocale che aveva avuto in affitto, pur vivendo ancora coi genitori, festeggia a modo suo. La musica di una radiolina, qualche petardo lanciato fuori dalla finestra e una goffa danza, nudo alla finestra. I vicini si lamentano e chiamano la Polizia, che interviene con una volante. Gli agenti bussano alla porta, ma Riccardo si rifiuta di aprire. È spaventato, grida e li minaccia. Qualcuno dei vicini avverte gli agenti, spiega loro chi è Riccardo e racconta che di lui si sono presi cura i medici del Cim. Eppure la polizia decide di intervenire lo stesso. Arrivano altri due mezzi e i Vigili del Fuoco sfondano la porta. Ne nasce una violentissima colluttazione, Riccardo viene ferito e perde sangue. Prima di essere immobilizzato da almeno quattro agenti si difende, ma prende pugni in faccia e colpi sul resto del corpo. Forse anche, ipotizza la procura, con il piede di porco che era stato usato per sfondare la porta. Lo ammanettano, le braccia piegate dietro la schiena, le caviglie bloccate con un fil di ferro. Riccardo respira affannato, si lamenta. Perde conoscenza e muore in pochi minuti, la faccia gonfia per le botte, livida per quel respiro strozzato in gola e sporca di sangue. Come il muro contro cui gli agenti lo hanno spinto, le lenzuola del letto e le piastrelle bianche del pavimento. I poliziotti, ricostruisce il pm nell’atto di chiusura delle indagini, «dopo essere riusciti a spingerlo a terra in posizione prona, al fine di immobilizzarlo e ammanettarlo, esercitavano sul tronco del Rasman, sia salendogli insieme o alternativamente sulla schiena che premendo con le ginocchia, un’eccessiva pressione che ne riduceva gravemente le capacità respiratorie». In questo modo, si conclude la ricostruzione del pubblico ministero, «procuravano al Rasman una asfissia “da posizione” che lo conduceva alla morte».
Ed è per questo motivo che sui quattro agenti pende adesso una richiesta di rinvio a giudizio per omicidio colposo: perché «eccedendo colposamente i limiti stabiliti dalla legge, ovvero imposti dalla necessità, per illecito adempimento di un dovere e per l’esercizio di una legittima difesa, cagionavano per colpa la morte di Riccardo Rasman». Ossia di quel ragazzo che prima dell’irruzione degli agenti aveva lasciato sul tavolo della cucina un biglietto poi ritrovato dalla famiglia: «Mi sono calmato, per favore non fatemi del male».
Tredici mesi prima, su una strada di Ravenna era morto Federico Aldrovandi. Anche lui picchiato a sangue da quattro agenti della Polizia ora sotto processo per omicidio colposo. Anche lui, secondo la procura, ucciso da una asfissia posturale. Un legame rosso sangue che unisce due destini e che ha spinto la famiglia Rasman ad affidarsi alle cure dell’avvocato Fabio Anselmo (che collabora Giovanni Di Lullo), lo stesso legale che da anni combatte al fianco di Patrizia Aldrovandi la sua battaglia per la giustizia. Contro lo Stato.

Massimo Solani, l'Unità 10 ottobre

venerdì, ottobre 03, 2008

Il solito Gentilini

Il sindaco sceriffo, deposta ormai da qualche anno la fascia tricolore del Comune di Treviso, non s’è mai tolto dal petto la stella e dalla bocca l’eloquio forbito che in passato gli è valso tanti titoli di giornale quanti fascicoli di inchiesta della magistratura. L’ultima è notizia di ieri e arriva da Venezia, dove la procura ha aperto una indagine contro il vice sindaco di Treviso per le frasi rivolte dal palco durante la festa della Lega Nord nella città della laguna, il 14 settembre scorso. «Istigazione all’odio razziale», l’ipotesi di reato che i pubblici ministeri contestano all’esponente leghista. La stessa accusa per cui, un anno fa, la procura di Treviso lo iscrisse nel registro degli indagati per le sue parole sulla «pulizia etnica» degli omosessuali e per cui fu assolto in primo grado nel 2000: quando propose di far vestire da leprotti gli extracomunitari per far allenare le doppiette trevigiane.
E a Venezia Gentilini era tornato a cavalcare il suo vecchio cavallo di battaglia, tuonando contro i clandestini e l’Islam: «Voglio la rivoluzione contro i clandestini - aveva urlato rosso in viso davanti ad una folla plaudente di camicie verdi - Voglio la rivoluzione contro i campi dei nomadi e degli zingari. Io ne ho distrutti due a Treviso. Voglio la rivoluzione contro quelli che vogliono aprire le moschee e i centri islamici qui, comprese le gerarchie ecclesiastiche. Voglio la rivoluzione contro i phone center i cui avventori si mettono a mangiare in piena notte e poi pisciano sui muri: che vadano a pisciare nelle loro moschee». Un crescendo di bestialità e insulti che non hanno risparmiato nè i magistrati nè i giornalisti: «Se Maroni ha detto tolleranza zero, io voglio la tolleranza doppio zero - ha tuonato - Voglio la rivoluzione contro le televisione i giornali che infangano la Lega. Prenderò dei turaccioli per ficcarli in bocca e su per il culo a quei giornalisti. Voglio la rivoluzione contro la magistratura. Ad applicare le leggi devono essere i giudici veneti. Queste sono le parole del vangelo secondo Gentilini».
Del resto i rapporti fra Gentilini e le toghe sono da sempre burrascosi, e le tensioni negli anni sono cresciute di pari passo con la volgarità e la pesantezza delle esternazioni del “sindaco sceriffo”. Che, forte del consenso elettorale in una delle roccaforti del Carroccio, è diventato un po’ il simbolo di una certa Lega dai toni violenti e razzisti. Tanto che nel febbraio del 2001 il Viminale lo richiamò all’ordine invitandolo a «mantenere atteggiamenti confacenti» pena «spiacevoli conseguenze». Minacce che non hanno spostato di un millimetro la barricata da cui Gentilini combatte da anni contro omosessuali, clandestini e persino animali. Se infatti fecero sorridere tutta Italia le sue battaglia contro i cigni del Sile (gennaio 2003) o contro i cani «di razza straniera» (maggio 2008), decisamente più seria e grave la lunga lista di esternazioni sul filo fra la volgarità populista e il razzismo più smaccato. Contro gli extracomunitari («da rimandare a casa nei vagoni piombati», disse nel maggio 2001, «bisogna prendergli anche le impronte del naso», settembre 2002) e «i culattoni per cui serve una pulizia etnica». Ma dalle minacce di Gentilini non si salvò nemmeno la candidata sindaco di Treviso del centrosinistra, Maria Luisa Campagner. Lui, infatti, si presentò in piazza al momento dei primi exit poll, il 26 maggio del 2003, e sventolando in aria tre lunghi chiodi minacciò: «Serviranno per appendere l’orsetta siberiana e scotennarla piano piano, come si fa con la pelle di un coniglio». Ma lui è così, e non si ferma: «Io sono abituato ad essere un tribuno - spiegava ieri - questa è la mia eloquenza, non posso mettermi il silenziatore sennò non sarei Gentilini».

Massimo Solani, l'Unità 3 ottobre

lunedì, settembre 08, 2008

Buone notizie

All'arrivo in redazione ho trovato questa lettera ad aspettarmi.

"Sono lieto di comunicarLe che il Tribunale di Roma, con sentenza n. 12627/08 del 12.6.08, ieri comunicata, ha rigettato le domande proposte da Salvatore Cuffaro nei confronti di Nuova Iniziativa Editoriale Spa, F. Colombo e M. Solani, condannandolo al pagamento delle spese di lite, come da dispositivo che allego in copia. (...)

L'ex presidente della Regione Sicilia mi aveva querelato per l'articolo "Gli affari del governatore corrono su gomma" pubblicato su l'Unità del 24 luglio 2002 dopo la strage ferroviaria di Rometta Marea, in provincia di Messina. Ve lo ripropongo:

"Una volta era il treno, l’odore stantio delle carrozze, pensieri di viaggio lungo due linee che corrono parallele a solcare il paese e raggiungerne anche i più sperduti angoli. Cartoline d’una Italia lontana e romantica, preistorica rispetto al boom consumistico degli anni del dopoguerra, del miracolo italiano di una automobile per famiglia. Cartoline che nella Sicilia dei 1500 chilometri di strada ferrata sono al tempo stesso, sconosciute ai più eppure ancora attuali. Da una parte le
ferrovie, poche e fatiscenti, «degne dell’Italia di Cavour» commenta qualcuno, dall’altra i paesi, le città sperdute il cui nome non compare nemmeno sulle rassicuranti tabelle blu che
popolano ogni stazione ferroviaria dello stivale. Perché in Sicilia, per muoversi di città in città, nella stragrande maggioranza dei casi non si può nemmeno immaginare di salire su un treno, per quanto malandato possa essere, e non resta altra soluzione che affidarsi agli autobus. Più efficienti, sicuramente più veloci, comunque presenti. Perché per una rete ferroviaria disegnata a lambire in pratica soltanto le splendide coste siciliane, esiste tuttavia una rete parallela di trasporto, su gomma, che supplisce alle carenze del sistema ferroviario, lo completa e si arricchisce portando da un lembo all’altro dell’isola tutta quella gente che, magari non potendo disporre di un automobile, è comunque costretta a muoversi lungo le strette strade dell’interno. Un affare miliardario, un business colossale in cui si affrontano decine e decine di aziende, da quelle a conduzione familiare a quelle molto più estese e ramificate. Un giro di denaro che, è evidente, si nutre dei disservizi del sistema ferroviario e che da sciagure come quella capitata la sera di sabato scorso è pronto a trarre il massimo giovamento, sfruttando anche le paure della gente magari non più così sicura che il treno sia il mezzo di trasporto più sicuro al mondo. Ne sa qualcosa anche il presidente della Regione Totò Cuffaro. Lo sa bene «Zu vasa vasa» cosa significa portare la gente dai più sperduti angoli dalla Sicilia alle città, fare tappa nei paesini talvolta sconosciuti anche alle cartine stradali e poi riportarli indietro, con puntualità e efficienza. Non è un caso infatti che il nome Cuffaro campeggi su moltissimi degli autobus che quotidianamente partono da Agrigento per raggiungere Palermo e molti altri centri abitati, coprendo moltissime tratte e staccando biglietti a centinaia e centinaia di passeggeri. Quell’azienda, «la Cuffaro Angelo e Raffaele» con sede a Raffadali pochi passi fuori da Agrigento, esiste da anni ed è da sempre gestita dal padre del Governatore e dallo zio. Non veicoli sgangherati come quelli di una Sicilia oramai affidata soltanto ai film e sopra le quali la gente buttava le proprie valige. La «corriera» oggi è un mezzo tecnologico, autobus dotato di tutti i confort, «compresa l’aria condizionata» raccontano i viaggiatori più assidui. L’azienda di famiglia, però, cogli anni è cresciuta fino a diventare una delle maggiori autolinee dell’isola sfruttando la mole impressionante di viaggiatori che quotidianamente affollano la tratta Agrigento-Palermo, vero pezzo forte dell’offerta aziendale, e riuscendo a toccare col proprio servizio anche quei centri meno frequentati ma disperatamente bisognosi di un collegamento col resto della regione. La «Cuffaro Angelo e Raffaele», dicono i maligni, è cresciuta con la stessa velocità con cui il giovane rampollo di famiglia ha costruito la propria scalata politica fatta di Dc prima e di Forza Italia poi. Uno che fa i soldi con le corriere, dicono gli stessi maligni, come potrebbe oggi volere che le ferrovie diventino in Sicilia efficienti e affidabili? Dubbi e malignità, ma certo è che contro il governatore della Sicilia hanno già puntato il dito in molti, primi fra tutti i sindacati. «Furono Miccichè e Cuffaro a comunicare lo stop ai lavori per il raddoppio della tratta ferroviaria Messina-Palermo» ha attaccato due giorni fa Maurizio Bernava, segretario della Cisl nella città dello stretto. Critiche ripetute qualche ore più tardi anche da Salvo Giglio della Cgil e che non sono affatto piaciute a Totò Cuffaro. Il raddoppio di quegli oltre 200 chilometri, ha risposto il presidente della Regione, «è una delle priorità indicate dal governo regionale nell'accordo di programma quadro dei trasporti. Il problema da risolvere è quello del reperimento delle risorse che, in questa prima fase, non è sufficiente a coprire il costo dell'intera opera». Solo un problema di soldi, quindi, quegli stessi soldi che arriveranno in quantità mai immaginate fino ad ora se il cammino della costruzione del Ponte sullo Stretto non troverà ostacoli sulla propria strada. La paura di Cuffaro, però, è che mentre da Roma si spenderanno forze e fondi per il mega progetto che legherà l’isola al «Continente», potrebbe spettare invece alla Regione farsi carico del risanamento di un sistema ferroviario che appare oramai a tutti inservibile e che, verrebbe da dire se non suonasse a sfregio in questi giorni di siccità, fa acqua da tutte le parti. «Non accetteremo che scarichino sulla Sicilia un sistema ferroviario in queste condizioni, con evidenti problemi di sicurezza e improduttivo - ha ringhiato ieri il Presidente - È interesse dei siciliani che i vertici delle Ferrovie e lo stato facciano quanto compete loro per mettere la Sicilia alla pari delle altre regioni». Nel frattempo, comunque, una assicurazione ai cittadini Cuffaro potrà darla senza problemi: le autolinee, in Sicilia, funzionano a dovere.

Immigrati fra le bombe, mica male...

Adesso ci sono le granate e proiettili calibro 30 millimetri. Domani potrebbero essere immigrati irregolari in attesa di espulsione. Adesso ci sono tonnellate e tonnellate di armamenti pesanti, domani centinaia di disperati da identificare, schedare e spesso rispedire in patria. Addormentati su una brandina a poche decine di metri da una “Santa Barbara” piena zeppa di materiale esplosivo, in fila per un pasto sulla linea d’orizzonte delle collinette che nella pancia custodiscono missili terra-terra e sistemi d’arma.
Succede, o meglio potrebbe succedere, a Baiano, una popolosa frazione di Spoleto in provincia di Perugia. Dove su un’area di circa 160 ettari sorge lo “Stabilimento militare per il munizionamento terrestre” (Smmt), lo Spolettificio per la gente del posto, che da decenni produce, smaltisce e immagazzina munizionamento militare. O meglio, produceva visto che la fabbricazione è praticamente ferma dal 10 aprile 2005 quando una terribile esplosione, causata da materiale difettoso dissero i periti, rase al suolo alcuni dei 150 edifici che compongono lo stabilimento. Non ci fu nessuna vittima, e fu praticamente un miracolo visto che l’onda d’urto mandò in frantumi i vetri delle abitazioni in un raggio di alcuni chilometri. Una tragedia sfiorata che non sembra preoccupare molto il ministero dell’Interno visto che proprio in queste ore sono in corso febbrili colloqui con le Prefetture per verificare la fattibilità di un progetto che sembra assurdo: stabilire proprio nello “Stabilimento militare per il munizionamento terrestre” di Baiano di Spoleto il nuovo Cpt (o Cie, centro di identificazione ed espulsione secondo la nuova dicitura ministeriale) che Maroni vorrebbe fosse realizzato in Umbria.
E poco importa se i 230 lavoratori occupati nello stabilimento, dopo una crisi che ne ha messo a rischio i posti di lavoro, vedono ora la luce in fondo al tunnel in attesa del via libera del ministero della Difesa per la ripresa della produzione di una nuova bomba a mano, il Viminale ha individuato nello Spolettificio la sede ideale per il nuovo Cie. Meglio dell’Isola Polvese di cui si era parlato nelle scorse settimane, una novella Alcatraz al centro del Lago Trasimeno, meglio dell’area della Protezione Civile a Colfiorito. Meglio anche delle palazzine della Scuola di Polizia di Spoleto.
Certo c’è il piccolo dettaglio di quelle mille tonnellate di materiale esplosivo (stando ai numeri contenuti in una interrogazione presentata qualche mese fa in consiglio regionale da alcuni esponenti del centrodestra) conservate nella pancia delle collinette che sorgono nell’area dello Spolettificio. Ma il ministero dell’Interno non sembra troppo preoccupato e anzi in queste ore ha incassato anche qualche “ni” da parte dei sindacati di polizia. Certo non dalla politica visto che contro il progetto del nuovo Cpt si è coagulato un fronte compatto e trasversale, dalla sinistra estrema al Pdl, che minaccia di mettersi di traverso in ogni modo al progetto dei tecnici del ministro Maroni. «È un’area assolutamente inadatta», attaccava nei giorni scorsi il consigliere regionale del Pd Giancarlo Cintioli. «Non se ne parla nemmeno», gli faceva eco il vicepresidente del consiglio provinciale di Perugia, nonché capogruppo di An in consiglio comunale a Spoleto, Giampiero Panfili.
Una contrarietà che sarà presto espressa anche a Marco Airaghi, l’ex parlamentare di Alleanza Nazionale che dal giugno scorso guida l’Agenzia Industrie della Difesa “proprietaria” dello Smmt, nella visita che è già in programma a Baiano di Spoleto. Perché sono molti i motivi di preoccupazione per la scelta del Viminale. «A questo punto - ironizzava ieri Bruno Piernera, segretario comprensoriale della Cisl, il sindacato più rappresentativo fra i lavoratori dello Spolettificio - possono portarci direttamente gli immigrati clandestini affiliati ad Al Qaeda. Non faranno fatica a trovare armi». Sempre che non saltino in aria prima.

Massimo Solani, l'Unità 8 settembre

giovedì, agosto 28, 2008

Refuso freudiano?

«Stavo rileggendo proprio in questi giorni l’intervista del giudice Falcone a Marcello Padovani. Sono convinto che lui sia un monumento morale della nostra patria». Lo ha detto il ministro Alfano rispondendo ad una domanda del direttore de “Il Giornale” Mario Giordano a proposito della “paternità” di Giovanni Falcone di alcune delle norme contenute nella riforma della giustizia. Marcello Padovani, chi è costui? E che libro ha letto il Guardasigilli? Adesso, forse, si capisce perché secondo Berlusconi e lo stesso Alfano il giudice ammazzato dalla mafia a Capaci il 23 maggio del 1992 sarebbe stato un fervido sostenitore della “loro” separazione delle carriere, della riforma in senso politico del Csm e dell’abrogazione dell’azione penale. Hanno consultato il libro sbagliato! Avessero letto invece “Cose di Cosa Nostra”, scritto da Falcone e dalla giornalista francese Marcelle Padovani, certi pensieri non gli sarebbero mai venuti. Ma c’è sempre tempo per rimediare.

Massimo Solani, l'Unità 28 agosto

giovedì, agosto 21, 2008

Giù le mani da Falcone

Ebbene sì, sono finite anche quest'anno. Neanche il tempo do tornare al lavoro e leggo con sbigottimento una intervista del settimanale Tempi (vicino a Comunione e Liberazione) in cui il presidente del Consiglio Berlusconi annuncia di voler realizzare "molte delle idee di Giovanni Falcone" nella prossima riforma della giustizia. A partire da "separazione dell'ordine degli avvocati dell'accusa dall'ordine dei magistrati, indirizzo dell'azione penale superando l'attuale ipocrisia della finta obbligatorietà, criteri meritocratici nella valutazione del lavoro dei magistrati". Non ho mai avuto il piacere di conoscere Giovanni Falcone, ma ho letto molto. Molto del suo lavoro, molto di quanto scritto su di lui dai suoi colleghi magistrati, molto delle inchieste sul suo assassinio. E non ho mai trovato da nessuna parte anche solo un vago accenno alle cose indicate da Berlusconi. Che da buon piazzista, evidentemente, ha deciso di usare la figura di un eroe morto per spacciare la sua immondizia agli italiani. Bella roba. Del resto lo fece già con Marco Biagi per far passare una delle leggi più vergognose della storia d'Italia.
Ai lucidissimi deliri del leader di Forza Italia ha risposto giustamente il pubblico ministero antimafia di Palermo Antonio Ingroia, uno che Falcone lo ha conosciuto davvero. "Forse il presidente Berlusconi non ha ben chiare quali fossero le idee di Falcone, visto che Falcone non ha parlato mai di avvocati dell'accusa per indicare i pm essendo anche lui un pm di riconosciuto equilibrio, nè la necessità di un indirizzo dell'azione penale. Chi ha conosciuto bene Falcone a Palermo, invece sa quali fossero le idee per la giustizia - ha continuato Ingroia - e
siccome il suo chiodo fisso era la lotta alla mafia, per la quale si è sacrificato, sarebbe bene che il presidente Berlusconi se volesse davvero mettere in pratica le idee di Falcone di fronte ad una mafia che è ritornata a imperversare nel Paese, uccidendo in Calabria e in Campania, si dedichi all'urgente approvazione di un testo unico antimafia, un testo unico anti riciclaggio, la costituzione di un'agenzia per la gestione dei beni confiscati alla mafia e pensi alla dotazione di uomini, mezzi e strumenti legislativi ai magistrati e strumenti alle forze dell'ordine invece che tagliare sui fondi destinati a giustizia e sicurezza e sugli strumenti legislativi a disposizione, come dimostra il disegno di legge sulle intercettazioni e il progetto di riforma della magistratura".
Poi la chiosa finale: "È la mafia che va colpita e non la magistratura".

Chissà cosa avrebbe detto Giovanni Falcone dello stalliere Mangano, del senatore Dell'Utri condannato per mafia, delle frequentazioni mafiose del presidente del Senato Schifani. Tutti amici, loro sì, del presidente del consiglio Berlusconi. E cosa avrebbe detto l'uomo ucciso a Capaci delle parole del presidente del Consiglio sulla "magistratura metastasi della democrazia"? Sono forse queste le idee che Berlusconi vuole realizzare?

lunedì, luglio 14, 2008

Giustizia è sfatta

Luigi De Magistris dovrà lasciare il tribunale di Catanzaro per andare a ricoprire un ruolo “giudicante” in un’altra sede. Niente più inchieste, niente più procura. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno infatti dichiarato inammissibile il ricorso dell’ormai ex sostituto procuratore di Catanzaro contro la sentenza della Disciplinare del Csm che a gennaio lo aveva condannato alla censura e al trasferimento di sede e di funzione. Inammissibile anche il ricorso presentato dal ministreo della Giustizia: per gli ermellini, infatti, i documenti inviati da De Magistris e dal dicastero di via Arenula sono arrivate fuori dai termini convenuti per legge. Una decisione che di fatto rende esecutiva la sentenza della Disciplinare e che, per il magistrato campano, significa un imminente trasferimento da Catanzaro. Già in settimana, infatti, la terza commissione del Csm si attiverà per dare corso alla pratica che, molto probabilmente, renderà effettivo il trasferimento di De Magistris già a settembre. Dal canto suo ieri il magistrato ha interrotto un silenzio che durava da mesi, dal giorno della sentenza della Disciplinare, mantenuto ocn riserbo nonostante la procura di Salerno (che indaga sui suoi esposti in merito ai condizinamenti sulle inchieste che gi sono state poi “scippate”) avesse di fatto confermato buona parte delle sue accuse contro politica e settori dela magistratura. Un “complotto” che condizionò il suo lavoro fino a costringerlo a violare le norme per tutelare la segretezza del suo lavoro investigativo. «Esco da questa vicenda a testa alta, anche se molto amareggiato - commentava ieri - Le modalità con le quali si è svolto il processo disciplinare e l’esito di uno dei procedimenti presso la procura di Salerno, rendono comunque evidente a tutti come stanno le cose». «Sono orgoglioso e fiero di appartenere a quella magistratura che viene punita perchè fa il proprio dovere - ha proseguito De Magistris - Prendo atto di questa decisione della Cassazione su una vicenda che pretendeva, per chi ha a cuore la giustizia, ben altro intervento giudiziario. Spero di potere ottenere copia del provvedimento in modo da incorniciarlo nel mio ufficio insieme alla sentenza del Csm - ha poi ironizzato De Magistris - in modo da spiegare a tutti quelli che me lo chiederanno che esistono due magistrature: una che lavora con sacrificio ed abnegazione, che pratica l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e che non piega la schiena di fronte a niente; un’altra che punisce proprio quei magistrati che individuano le deviazioni criminali all’interno delle istituzioni, magistratura compresa, e che pagano un prezzo proprio per questo».

giovedì, luglio 03, 2008

Bentornata a casa Ingrid

Sei anni lunghissimi. Sei anni di paura e speranza, appelli e disillusioni. Bentornata Ingrid.

venerdì, giugno 27, 2008

Assolta

A Clementina Forleo è andata meglio di quanto non capitò a Luigi De Magistris. Assolta - "perchè il fatto non costutuisce reato" - dalla sezione disciplinare del Csm. E una vittoria importante per il gip di Milano, ma la guerra non è finita. Su di lei pesa ancora una richiesta di trasferimento da Milano per incompatibilità ambientale (il Plenum del Csm deciderà pesto) e una azione disciplinare promossa dalla procura generale della Cassazione. Ho fissato i suoi occhi mentre ascoltava la sentenza letta da Mancino: erano gli occhi di una donna felice. Era commossa. «Avere fiducia nella
giustizia prima o poi ripaga», ha detto uscendo dall'aula Bachelet. «Se si ha onestà e dignità di andare avanti fino in fondo senza cedere di fronte a nulla - ha proseguito - la verità viene fuori. Ora, siccome il tempo è galantuomo spero che anche il collega Luigi De Magistris abbia prima o poi giustizia».

Lo speriamo anche noi, Clementina.

P.S. Vorrei parlare del nuovo Lodo Schifani (Lodo Alfano? Lodo Ghedini? come si chiama sta nuova porcata?) ma preferisco lasciar perdere. Mi tengo quel poco di buono questa giornata ci ha dato.

mercoledì, giugno 25, 2008

Senza vergogna. Senza limiti.

E qualcuno ancora si sforza di dialogare, di accettare i suoi diktat e offrirgli aiuto per approvare un nuovo Lodo che gli garantisca immunità e impunità. Ma come si può dialogare con chi mostra tanto spregio per le istituzioni e gli equilibri di una Repubblica? Come si può trattare dietro le quinte per concedergli aperture magari in cambio delle briciole? Davvero non so spiegarmelo... Per fortuna quei fiscjhi, almeno un sussulto di dignità di un paese che sembra invece non averne più. (Il video è tratto da Repubblica Tv)


P.S. (molto frivolo): ho fatto qualche cambiamento al blog, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate... i mezzi sono i soliti. Commenti (pochi) mail (qualcuna in più) telefonate o quello che preferite.


venerdì, giugno 20, 2008

Meglio bugiardo o ignorante?

Siamo abbastanza disillusi e cinici per accettare che il presidente Berlusconi non ammetta nemmeno sotto tortura che le norme "blocca processi" servono in realtà ad ad evitare che il suo problemino con la giustizia arrivi a sentenza (Dear President, remember David Mills?). Quello che non accettiamo, piuttosto, è che un presidente del Consiglio non conosca nemmeno, o quantomeno finga, le norme che i suoi giannizzeri gli disegnano addosso per salvarlo dai magistrati comunisti.
Oggi, ad esempio, parlando a Bruxelles dei due famosi emendamenti Vizzini-Berselli, Berlusconi ha dichiarato candidamente (senza nessuno che glielo facesse notare, ma anche a questo siamo abituati) che «non c'è nessuno stop, con le norme approvate si mettono da parte solo alcuni processi per consentire di far viaggiare più speditamente altri e non far uscire di galera rapinatori, stupratori e ladri». Si dà il caso, però, che lo stupro, il furto e la rapina facciano parte di quella lunghissima lista di reati per cui i processi saranno fermati per un anno proprio grazie alle norme volute dal centrodestra. Per conferma basta leggere le tabelle redatte dell'Associazione Nazionale Magistrati.

Bugiardo o ignorante?

lunedì, giugno 16, 2008

E adesso arrestateci tutti

Aderisco con entusiasmo all'appello lanciato da Marco Travaglio su l'Unità per sostenere la disobbedienza civile dei giornalisti contro la nuova (per fortuna ancora eventuale, ma la speranza è poca) legge sulle intercettazioni.

In un paese libero la stampa indaga e informa. Racconta fatti, svela retroscena, scava nelle vicende e nelle coscienze. In un paese libero la stampa libera risponde soltanto ai lettori e alla Costituzione. In un paese a libertà vigilata il potere spegne le televisioni e imbavaglia i giornalisti perché nessuno conosca i suoi vizi e punti il dito contro le sue azioni.

Non c'è paese libero senza una stampa libera.

Lo scrissi parlando del ddl Mastella sulle intercettazioni (assurdo anche quello, ma al peggio non c'è mai fine. Ce lo ha dimostrato il ministro della in-Giustizia Alfano) e lo ripeto oggi che un disegno di legge punta a disinnescare alcune delle più importanti inchieste della magistratura e minaccia le manette ai giornalisti. Colpevoli di voler fare il proprio mestiere, nulla di più nulla di meno.

Vogliono ridurci al silenzio? E noi non staremo zitti. Vogliono spedirci in carcere? Correremo il pericolo.

Personalmente, continuerò a pubblicare tutte le notizie di cui sarò possesso. E non ci sarà nessuna norma bavaglio che mi fermerà. Lo farò su l'Unità fin quando mi sarà permesso, e lo farò su questo blog fino al giorno in cui la polizia postale non interverrà. Da quel momento in poi, me ne inventerò un'altra. No problem. Ma state sicuro: io come molti altri non tacerò. Cronisti fino in fondo, a dispetto di chi ci vorrebbe pronisti.

venerdì, giugno 13, 2008

La rabbia di Angelino

Sono passati soltanto diciotto mesi, eppure qualcuno deve aver cambiato radicalmente idea. E soprattutto, non deve aver avvertito il ministro della Giustizia Alfano. Perché il tema dell’uso delle intercettazioni telefoniche non è certo una novità nell’agenda politica italiana. Semmai, gli elementi inediti sono le argomentazioni usate oggi dal centrodestra per agitare lo spettro del Grande Fratello e giustificare un duro intervento normativo. Argomenti che incautamente il Guardasigilli ha utilizzato di fronte alla Commissione Giustizia della Camera soltanto pochi giorni fa (sbandierando dati falsi e parziali, come hanno dimostrato tutte le inchieste giornalistiche), ma che lo stesso organo del Senato aveva smontato diciotto mesi fa in una relazione approvata all’unanimità. Ossia votata anche dai senatori di quello stesso centrodestra che ora si straccia le vesti e chiede una legge che fermi lo scempio investigativo. Due, in particolare, le domande da cui prendeva le mosse l’indagine conoscitiva: in Italia si fanno troppe intercettazioni? E per troppi reati? «Spesso - è la risposta fornita dal documento conclusivo - si risponde a tali quesiti ricorrendo al confronto con gli Stati esteri e si ritiene di poter concludere con una “condanna” nei confronti del sistema italiano. Ma la realtà è ben diversa». E quello del confronto con gli altri stati è uno dei pezzi forti del ragionamento di Alfano, specie per quanto riguarda il numero delle utenze intercettate. Argomentazione confutata già 18 mesi fa. «Si osservi come, anche in paesi come la Francia o la Spagna o la Gran Bretagna o la Germania e persino gli Usa - era scritto nella relazione conclusiva dell’indagine conoscitiva - le intercettazioni siano di competenza soprattutto di autorità amministrative o di polizia, se non addirittura dei soli servizi di sicurezza». «Innanzitutto, per quanto alle volte utile e stimolante - proseguiva il documento approvato anche coi voti del centrodestra - non ha senso paragonare sistemi tra loro disomogenei; non ha senso in particolare paragonare i costi delle intercettazioni effettuate in Italia con i costi segnalati dall’estero, in quanto da noi le uniche intercettazioni legali sono quelle disposte dalla magistratura, mentre nei Paesi stranieri i controlli telefonici in questione vengono disposti ed effettuati principalmente da altro genere di autorita` (amministrative, di polizia o di sicurezza) che non fanno di certo conoscere facilmente casistica, numeri, dati e costi».
Argomento boomerang anche quello relativo al numero dei reati per cui l’ordinamento italiano prevede l’uso delle intercettazioni. Oggi, secondo il centrodestra, sono troppi. Diciotto mesi fa non era così: «non si può sostenere, nemmeno nel confronto con i sistemi normativi delle altre democrazie occidentali - si legge infatti nel testo approvato il 29 novembre 2006 anche con i voti del centrodestra - che il nostro sistema preveda un numero eccessivo di reati per i quali ex lege sia consentito disporre intercettazioni telefoniche. La semplice presa d’atto di quanto previsto negli Stati esteri già citati ci convince facilmente del contrario (...). La stessa durata delle intercettazioni e delle proroghe prevista nel nostro ordinamento non si discosta molto dalla durata di quanto consentito all’estero, anzi in alcuni casi la nostra normativa è sicuramente piu` restrittiva». Ora, qualcuno lo spieghi al ministro Alfano prima di altre figuracce.

Massimo Solani, l'Unità 13 giugno

Questo articolo, non è piaciuto affatto al ministro Alfano. Che oggi al termine della conferenza conclusiva del consiglio dei ministri, non ha mancato di farmelo notare. Rispondendo piccato, peraltro, e usando una dichiarazione del suo predecessore Mastella. Giro a voi la domanda... Guardate il filmato (dal minuto 11 in poi) e ditemi: sbaglio o le sue parole non smentiscono nulla di quanto scritto? Attendo suggerimenti da parte vostra.

giovedì, giugno 12, 2008

Piange il telefono...

Fra annunci e smentite, mal di pancia interni alla maggioranza e retromarce precipitose, inizia a delinearsi il testo del disegno di legge sulle intercettazioni che sarà presentato domani al consiglio dei ministri. Un’affannosa quanto inspiegabile corsa
contro il tempo che gli uffici competenti del ministero degli Interni e della Giustizia stanno conducendo da una settimana, da quando cioè Berlusconi ha lanciato il suo sasso nello stagno mandando in fibrillazione Camere, Quirinale e magistratura. Di ieri l’ultima versione comunicata ai cronisti: «Verrà prevista - ha spiegato Berlusconi - la possibilità di effettuare le intercettazioni soltanto per le indagini che riguardino reati con pene dai 10 anni in su». «Avrei semplificato dicendo mafia, camorra, terrorismo internazionale e basta», ha proseguito il premier, «ma in questo modo rientrano tutta una serie di reati che mi sembrano giusti: pedofilia, omicidio».
Rientrano, già. Più complicato e spinoso, invece, il capitolo dei reati che resteranno fuori se il testo (che non è ancora stato ultimato) effettivamente prevederà davvero il limite dei «10 anni in su». Una lunga lista di delitti, molto spesso perseguiti proprio attraverso le intercettazioni telefoniche, che d’ora in poi le procure saranno quasi impossibilitate a perseguire. Il tema più dibattuto è quello sulla corruzione: le intercettazioni, infatti, non potranno più essere utilizzate per scoprirne nessuna fattispecie. Nemmeno quella più grave di corruzione in atti giudiziari che è costata una condanna a cinque anni a Cesare Previti per la sentenza comprata a Roma sul Lodo Mondadori. Unica eccezione la corruzione per ottenere una ingiusta condanna. Molto dibattuto anche il capitolo dei reati finanziari, dall’insider trading all’aggiotaggio passando per le false comunicazioni al mercato. D’ora in poi, se la legge sarà approvata in questi termini, i vari Ricucci, Consorte, Gnutti e Fiorani potranno parlare al telefono delle loro scalate bancarie senza il timore di essere ascoltati e di vedersi le proprie parole usate in tribunale a sostegno delle accuse.
Ma la lista dei delinquenti che d’ora in poi potranno usare i cellulari senza timore è lunga. Nessun problema allora per le bande che organizzano i furti nelle ville: tanto le intercettazioni non saranno più utilizzabili nelle inchieste per furto, nemmeno aggravato. E se servirà leggere attentamente il testo della legge per capire cosa succederà con le intercettazioni telematiche (mail, chat e simili), per ora una cosa la si può già dire con certezza: il telefono non costituirà più alcun rischio per quanti in Italia si scambiano materiale pedopornografico, lo commerciano e lo detengono. Unico limite la produzione. Nessun timore di Grande Fratello giudiziario anche per gli indagati di truffa, che al cellulare potranno anche parlare di raggiri e organizzazioni per frodare l’Ue accaparrandosi finanziamenti miliardari. Del resto le intercettazioni telefoniche, a legge approvata, non si potranno utilizzare nemmeno in indagini sulle associazioni per delinquere semplici e non mafiose. Un po' quello che accadrà ai ricettatori non legati ai clan malavitosi e agli indagati di favoreggiamento semplice. Troppo tardi per l’ex presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro: se questa legge fosse stata approvata prima non avrebbe avuto alcun problema. Nemmeno per la rivelazione di segreto d’ufficio, che d’ora in poi sarà un reato non intercettabile. Come anche l’incendio: le conversazioni “rubate” dalla polizia giudiziaria servirono per incastrare alcuni dei responsabili del rogo del teatro La Fenice di Venezia, ma d’ora in poi non sarà più così.
Ben più complicata, invece, sarà la situazione se il testo che uscirà dalla Camera limiterà le intercettazioni soltanto per i reati puniti con una «pena superiore ai dieci anni», secondo la vulgata di cui si è parlato molto in queste ore. In quel caso, allora, i magistrati non potranno richiedere intercettazioni nemmeno per i casi di violenza sessuale, atti sessuali su minori, adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari, usura, estorsione e omissione dolosa di misure cautelari sul lavoro. Il reato per il quale si è proceduto (e intercettato) per i presunti responsabili delle morti della Thyssen di Torino e per il Petrolchimico di Marghera. Tutto da chiarire, inoltre, anche il capitolo relativo al traffico di droga e armi che il codice di procedura penale disciplina in maniera a sè stante. Anche per questo, bisognerà aspettare il testo definitivo senza ascoltare le indiscrezioni.

Massimo Solani, l'Unità 12 giugno

martedì, giugno 10, 2008

Le bugie del ministro Alfano

E' inutile che io vi spieghi che cosa ne pensi del progetto di limitare le intercettazioni telefoniche ai soli reati di mafia e terrorismo. Semplicemente perché ne penso tutto il male possibile... e mi illudo che non ci sia nemmeno bisogno di illustrarvi il perché. Quello che più mi dà fastidio è che, per giustificare un simile scempio, un ministro della Giustizia si presenti alla Camera per raccontare tante e tali bugie da dubitare non solo della sua buona fede, ma persino della sue facoltà intellettive. ma riporto un illuminante articolo tratto dal Corriere della Sera scritto dal bravissimo Luigi Ferrarella. Tanto basta, non mi serve aggiungere altro.


Leggende spacciate per verità

di Luigi Ferrarella

Una sfilza di luoghi comuni, spacciati per verità, compromette la serietà della discussione sull’annunciato intervento legislativo sulle intercettazioni. Che siano «il 33% delle spese per la giustizia», come qualcuno ha cominciato a dire e tutti ripetono poi a pappagallo, è un colossale abbaglio: per il 2007 lo Stato ha messo a bilancio della giustizia 7 miliardi e 700 milioni di euro, mentre per le intercettazioni si sono spesi non certo 2 miliardi abbondanti, ma 224 milioni. Però è una leggenda ben alimentata. Si lascia credere il falso giocando sull’ambiguità del vero, cioè sul fatto che le intercettazioni pesano davvero per un terzo su un sottocapitolo del bilancio della giustizia: quello che sotto il nome di «spese di giustizia» ricomprende anche i compensi a periti e interpreti, le indennità ai giudici di pace e onorari, il gratuito patrocinio, le trasferte della polizia giudiziaria. Spese peraltro tecnicamente «ripetibili», cioè che lo Stato dovrebbe farsi rimborsare dai condannati a fine processo: ma riesce a farlo solo fra il 3 e il 7%, eppure su questa Caporetto della riscossione non pare si annuncino leggi-lampo.

«Siamo tutti intercettati» è altra leggenda che, alimentata da una bizzarra aritmetica «empirica», galleggia anch’essa su un’illusione statistica. Il numero dei decreti con i quali i gip autorizzano le intercettazioni chieste dai pm non equivale al numero delle persone sottoposte a intercettazione.

Le proroghe dei decreti autorizzativi sono infatti a tempo (15 o 20 giorni) e vanno periodicamente rinnovate; inoltre un decreto non vale per una persona ma per una utenza. Dunque il numero di autorizzazioni risente anche del numero di apparecchi o di schede usati dal medesimo indagato (come è norma tra i delinquenti).

«Le intercettazioni sono uno spreco» è vero ma falso, nel senso che è vero ma per due motivi del tutto diversi da quello propagandato. Costano troppo non perché se ne facciano troppe rispetto ad altri Paesi, dove l’apparente minor numero di intercettazioni disposte dalla magistratura convive con il fatto che lì le intercettazioni legali possono essere disposte (in un numero che resta sconosciuto) anche da 007, forze dell’ordine e persino autorità amministrative (come quelle di Borsa).

Invece le intercettazioni in Italia costano davvero troppo (quasi 1 miliardo e 600 milioni dal 2001) perché lo Stato affitta presso società private le apparecchiature usate dalle polizie; e in questo noleggio è per anni esistito un Far West delle tariffe, con il medesimo tipo di utenza intercettata che in un ufficio giudiziario poteva costare «1» e in un altro arrivava a costare «18». Non a caso Procure come la piccola Bolzano (costi dimezzati in un anno a parità di intercettazioni) o la grande Roma (meno 50% di spese nel 2005 rispetto al 2003 a fronte di un meno 15% di intercettazioni) mostrano che risparmiare si può. E già il ddl Mastella puntava a spostare i contratti con le società private dal singolo ufficio giudiziario al distretto di Corte d’Appello (26 in Italia).

L’altra ragione del boom di spese è che, ogni volta che lo Stato acquisisce un tabulato telefonico, paga 26 euro alla compagnia telefonica; e deve versare al gestore circa 1,6 euro al giorno per intercettare un telefono fisso, 2 euro al giorno per un cellulare, 12 al giorno per un satellitare. Qui, però, stranamente nessuno guarda all’estero, dove quasi tutti gli Stati o pagano a forfait le compagnie telefoniche, o addirittura le vincolano a praticare tariffe agevolate nell’ambito del rilascio della concessione pubblica.

«Proteggere la privacy dei terzi», nonché quella stessa degli indagati su fatti extra-inchiesta, non è argomento (anche quando sia agitato pretestuosamente) che possa essere liquidato con un’arrogante alzata di spalle. Ma è obiettivo praticabile rendendo obbligatoria l’udienza-stralcio nella quale accusa e difesa selezionano le intercettazioni rilevanti per il procedimento, mentre le altre vengono distrutte o conservate a tempo in un archivio riservato. E qui proprio i giornalisti dovrebbero, nel contempo, pretendere qualcosa di più (l’accesso diretto a quelle non più coperte da segreto e depositate alle parti) e accettare qualcosa di meno (lo stop di fronte alle altre).

Prima di dire poi che «le intercettazioni sono inutili»andrebbe bilanciato il loro costo con i risultati processuali propiziati. Ed è ben curioso che, proprio chi ha imperniato la campagna elettorale sulla promessa di «sicurezza» per i cittadini, preveda adesso di eliminare questo strumento che, per fare un esempio che non riguarda la corruzione dei politici, ha consentito la condanna di alcune delle più pericolose bande di rapinatori in villa nel Nord Italia, e ancora ieri ha svelato a Milano il destino di pazienti morti in ospedale perché inutilmente operati solo per spillare rimborsi allo Stato. Senza contare (c’è sempre del buffo nelle cose serie) che proprio Berlusconi ben dovrebbe ricordare come un anno fa siano state le intercettazioni, che ora vorrebbe solo per mafia e terrorismo, a «salvare» in extremis da un sequestro di persona il socio di suo fratello Paolo.

Ma il dato più ignorato, rispetto al ritornello per cui «le intercettazioni costano troppo», è che sempre più si ripagano. Fino al clamoroso caso di una di quelle più criticate per il massiccio ricorso a intercettazioni, l’inchiesta Antonveneta sui «furbetti del quartierino». Costo dell’indagine: 8 milioni di euro. Soldi recuperati in risarcimenti versati da 64 indagati per poter patteggiare: 340 milioni, alcune decine dei quali messi a bilancio dello Stato per nuovi asili. Il resto, basta a pagare le intercettazioni di tutto l’anno in tutta Italia.

mercoledì, giugno 04, 2008

E se De Magistris non fosse poi così pazzo?


Riporto un prezioso articolo di Giuseppe Baldessarro tratto da Repubblica.it
E se piano piano si riuscisse a capire meglio cos'è successo attorno a Luigi De Magistris e alle sue inchieste? E persino alla sua condanna davanti al Csm?

DE MAGISTRIS, CHIESTA L'ARCHIVIAZIONE
"GRAVI INGERENZE NEL SUO LAVORO"

CATANZARO - Non solo ha agito in maniera "assolutamente legittima e corretta", ma è stato vittima di "pressioni e interferenze" relative ai risultati "ottenuti con le sue inchieste". E' un vero e proprio atto d'accusa contro i vertici della Procura di Catanzaro, la richiesta di archiviazione dei magistrati di Salerno, chiamati a indagare sull'operato di Luigi De Magistris. Le quasi mille pagine prodotte dal procuratore Luigi Apicella e dal sostituto Gabriella Nuzzi, trasformano, di fatto, il giudice "scomodo", in vittima di un sistema di interessi che sarebbe l'oggetto delle sue indagini.

De Magistris incassa un risultato importantissimo. Dopo che per mesi il suo operato era stato al centro di denunce, richieste di azioni disciplinari e persino atti parlamentari. Il magistrato protagonista di inchieste come "Poseidone", "Toghe Lucane" e "Why Not" ha detto di essersi semplicemente "difeso", esprimendo "sempre massima fiducia nella magistratura di Salerno, competente per legge".

Un commento alla notizia della richiesta di archiviazione, a cui ha aggiunto di aver soltanto "contribuito doverosamente, da magistrato, ad evidenziare l'attività di ostacolo posta in essere" ai suoi danni e alle funzioni che ha cercato e cerca ancora "di svolgere nell'esclusivo interesse della giustizia". Poche frasi, nelle quali De Magistris lascia trasparire la propria soddisfazione alla fine della maxi inchiesta.

Il pm di Catanzaro sarebbe insomma estraneo "ai reati di calunnia, abuso d'ufficio e rivelazione di segreto d'ufficio". E niente darebbe ragione ai magistrati, agli avvocati e ai politici che contro di lui hanno presentato una serie di denunce. Insomma per gli inquirenti salernitani vi sarebbe "insussistenza di illegittimità sostanziali o procedurali penalmente rilevanti ovvero di condotte abusive addebitabili nell'esercizio delle funzioni giudiziarie del De Magistris". Piuttosto "i risultati investigativi ottenuti, la natura e la cadenza degli interventi subiti a causa della intensità delle sue indagini e il complesso materiale probatorio acquisito, ha consentito di riscontrare la bontà della sua azione inquirente, nonché di ricostruire la sequenza ed il contenuto degli atti procedimentali appurandone la correttezza formale e sostanziale".

La richiesta di archiviazione affonda poi il bisturi contro i detrattori del pm: "Il contesto giudiziario in cui si è trovato ad operare Luigi De Magistris, appare connotato da un'allarmante commistione di ruoli e fortemente condizionato dal perseguimento di interessi extragiurisdizionali, anche di illecita natura".

Accuse pesantissime, ancora più chiare quando si parla della "pressante attività di interferenza alle indagini posta in essere dai vertici della Procura della Repubblica di Catanzaro, e resasi sempre più manifesta con il progressivo intensificarsi delle investigazioni da parte di De Magistris". Per evidenziare poi che "alle continue ingerenze sull'attività inquirente è risultata connessa, secondo una singolare cadenza cronologica la trasmissione di continue denunce e segnalazioni agli organi disciplinari ed alla Procura di Salerno".

Nella richiesta si legge ancora che "dagli accertamenti investigativi condotti sono emersi fatti, situazioni concorrenti a delineare il difficile contesto ambientale nel quale De Magistris si è trovato a svolgere le funzioni inquirenti, i legami tra i vertici dell'Ufficio giudiziario di Catanzaro, difensori ed indagati, gli interessi sottostanti alle vicende oggetto dei procedimenti da lui trattati, le condotte di interferenza ed ostacolo al suo operato". Un difficile contesto ambientale "reiteratamente denunciato dal pm nelle sedi istituzionali".

Infine i due magistrati di Salerno scrivono che "l'oggetto di indagini svolte da De Magistris, coinvolgenti pubblici amministratori, politici, imprenditori, professionisti, magistrati, rappresentanti delle forze dell'ordine, le tecniche investigative impiegate, i risultati derivati dagli atti di indagine esperiti hanno finito, nel tempo, per esporre il sostituto procuratore ad una serie articolata di azioni ostative al suo operato".

Tra queste si inseriscono "le svariate denunce in sede penale e le segnalazioni disciplinari di soggetti indagati e difensori, alle quali sono seguite interpellanze, interrogazioni parlamentari, ispezioni ministeriali riguardanti le più rilevanti indagini condotte dal magistrato nei due periodi di permanenza a Catanzaro".

Ma non è tutto. Infatti Salerno sta vagliando "l'ipotesi investigativa della indebita strumentalizzazione di attività di indagine coordinate dalle Procure di Matera e di Catanzaro nei confronti di collaboratori di polizia giudiziaria e di giornalisti". Di fatto, secondo la Procura campana, collaboratori di pg e cronisti di giudiziaria sarebbero stati coinvolti strumentalmente nelle inchieste, subendo anche perquisizioni. De Magistris oltre ad essere stato denunciato, a sua volta produsse una serie di esposti.

La Procura Generale di Catanzaro non ha concesso alcuni documenti dell'inchiesta "Why Not" chiesti da Salerno che indaga sulle denunce di Luigi De Magistris. Luigi Apicella, è giunto nel capoluogo calabrese dove ha incontrato il Procuratore Generale, Vincenzo Jannelli, ed i sostituti Alfredo Garbati e Domenico De Lorenzo.

Per oltre tre ore i magistrati hanno discusso sulla richiesta di alcuni documenti relativi all'inchiesta. Al termine dell'incontro, secondo quanto si è appreso, i magistrati della Procura Generale non hanno concesso la documentazione perché l'inchiesta è attualmente in corso.

giovedì, maggio 22, 2008

Nuove norme sull'immigrazione. Tribunali e carceri a rischio caos

Esiste già in Francia e Germania, e presto esisterà anche in Italia. Ma la possibilità che nel nostro ordinamento venga inserito il reato di immigrazione clandestina, in queste ore, desta più di qualche perplessità. O forse sarebbe meglio dire allarme. Perché su una cosa tutte le critiche convergono: la nuova norma è insostenibile per il sistema italiano e contribuirà a rendere ancora più esplosiva la situazione dei tribunali e delle carceri. Oberati di processi che durano anche decenni, i primi, ormai di nuovo al collasso dopo la boccata concessa dall’indulto i secondi.
Da qui la preoccupazione di gran parte delle toghe italiane in questo momento. Arrestare, processare e condannare i cittadini extracomunitari che verranno denunciati per immigrazione clandestina, infatti, comporterà un aggravio di lavoro incredibile, stimabile in decine di migliaia di processi ogni anno se solo si considera che, secondo stime approssimative, sarebbero ben più di un milione i clandestini presenti sul territorio italiano. Numeri che potrebbero rappresentare la pietra tombale sul sistema giustizia italiano. Pachidermico e già lentissimo, come testimoniano i 2900 ricorsi pendenti (dato aggiornato al 31 dicembre del 2007) davanti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo contro lo stato italiano per la durata eccessiva dei processi. Un dato inevitabilmente destinato ad aggravarsi se solo si riflette sulle carenze di organico più volte denunciate dal Consiglio Superiore della Magistratura.
Ma imprevedibili sarebbero anche le ricadute che il nuovo reato di immigrazione clandestina potrebbe avere sulla situazione carceraria italiana, soprattutto in considerazione del fatto che già adesso gli extracomunitari detenuti in Italia sono quasi 20mila, poco meno del 50% dei circa 49mila detenuti ristretti nelle strutture carcerarie italiane (dati, fonte Dap, sono aggiornati a fine 2007). E la prevedibile ondata di nuovi arresti farebbe definitivamente saltare il tappo ad una situazione che, dopo i mesi di respiro concessi dall’indulto varato nel luglio 2006, è di nuovo drammatica con la capienza totale delle strutture già di nuovo superata: perché se al momento dell’approvazione dell’insulto i detenuti erano 60mila, a fronte di una capienza totale che si aggira attorno ai 43mila posti, oggi la cifra è tornata di nuovo ad oscillare attorno alle 50mila unità.
Ultimo punto di criticità, e non certo per importanza, quello relativo alle forze dell’ordine che saranno impegnate a controllare sulla strada per far rispettare le nuove norme sull’immigrazione. Una aumentata mole di lavoro che comporterà, ovviamente, un nuovo e pesante carico di lavoro. Una prospettiva certo non rosea se si considera che il 30 maggio 2007, in audizione davanti alla commissione affari costituzionali della Camera, l’allora viceministro dell’Interno Marco Minniti aveva analizzato la situazione degli organici delle tre principali di forze di polizia (polizia di stato, carabinieri, e guardia di Finanza) spiegando che «sono sotto organico mediamente del 10% - come si legge nella bozza del documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza in Italia -. Per colmare il vuoto bisognerebbe assumere tra i 25.000 e i 30.000 operatori di polizia». Una prospettiva non attuabile, almeno nel breve periodo. E intanto i problemi aumentano. A Napoli per esempio, ne dava notizia la Stampa di ieri, le forze dell’ordine non riescono a smaltire le ordinanze di arresto. Millecinquecento ne giacciono sulle scrivanie di gip, con richieste vecchie anche di tre anni.


Massimo Solani, l'Unità 22 maggio

lunedì, maggio 19, 2008

Boniver-Realacci, dove sta l'errore?

Non vorremmo ma torniamo ad occuparci di lei, e non solo. Perché c'è parecchio che non mi torna in questi giorni, specialmente nei comportamenti del centro sinistra d'opposizione. Prendiamo l'ultima geniale sparata dell'onorevole Margherita Boniver, Pdl, che ha proposto di far pulire l'immondizia napoletana agli immigrati clandestini in cambio di un regolare permesso di soggiorno. Una trovata che persino la Lega ha liquidato come "schiavista". «Con le sue parole - ha commentato il senatore del Carroccio Alberto Filippi - si è toccato il fondo della serietà e l'apice dell'idiozia». Commenti simili da tutti i partiti del cetrodestra. Fin qua, a parte le farneticazioni della sosia di Crudelia Demon, niente di strano.
Poi uno si aspetta che il centrosinistra reagisca indignato senza risparmio di iperboli. E invece... e invece poi capita di leggere le parole di Ermete Realacci (ministro ombra dell'ambiente, o ombra di un ministro dell'Ambiente?) che con un buffetto bonario liquida tutto come "una boutade". Ohibò! Addirittura una boutade? Roba che trasuda umanissima indignazione... Ma l'opposizione, in questo clima di grande dialogo e inciucio striscinate, esiste ancora? Nel caso, qualcuno lo spieghi a Realacci.

martedì, maggio 13, 2008

Tornano le frasi intelligenti

L'onore di riaprire la rubrica dopo la pausa elettorale spetta a Margherita Boniver, deputata del Pdl. Queste le sue parole: «Colpire uno per educarne cento. Dopo l'indicazione della prima commissione del CSM di allontanare Clementina Forleo dal Tribunale di Milano per incompatibilità rimane il sospetto. Anche Tiziana Parenti, anni fa, era stata allontanata da Milano perchè "fuori linea". Ieri la Parenti oggi la Forleo erano impegnate ad indagare sui conti PCI-PDS».
Qualcuno spieghi alla sosia di Crudelia De Mon che, nella sua veste di giudice per le indagini preliminari, Clementina Forleo non conduce alcune inchiesta.

lunedì, maggio 12, 2008

E io sto con Marco Travaglio

Credo che questo paese e i suoi rappresentanti politici non smetteranno mai di fornirmi motivi per essere incazzato. E incredulo. Prendiamo il caso della partecipazione di Marco Travaglio alla trasmissione "Che tempo che fa..." di Fabio Fazio. Da sabato sera è un diluvio di dichiarazioni indignate, di scandalizzate prese di posizione e di richieste di intervento contro il giornalista. Che ha osato ricordare le frequentazioni in odore di mafia del neo presidente del Senato Renato Schifani. Apriti cielo! Sembrano tornati i tempi dell'editto bulgaro...
Ma che cosa ha detto di tanto grave Travaglio? Cose che sono già state scritte e più volte in passato, ma che evidentemente in Rai non si possono dire. Alla faccia della libera informazione. Ma quello che mi scandalizza non sono tanto gli strepiti della destra, ansiosa di avere un buon motivo per fare piazza pulita in Rai e mettere ai posti di comando i proprio fedelissimi. In fondo li conosciamo, so gli stessi che hanno fatto fuori dalla rai Biagi, Santoro e Luttazzi. Mi fa tristezza e rabbia, piuttosto, la sponda che molti uomini del centro sinistra (Anna Finocchiaro in primis, che delusione) hanno volontariamente fornito ai peana della maggioranza.
Ciò che mi sfugge, però, è dove stia lo scandalo. Travaglio è un giornalista, e per di più bravo. Dobbiamo dedurne che in Rai è vietato ai giornalisti riferire notizie e fatti accertati? Ditelo subito, che ci mettiamo l'anima in pace e celebriamo il funerale all'informazione pubblica. Dicono: non si possono lanciare certe accuse senza contraddittorio. Ommammasantissima... anche se quei fatti sono stati già scritti in due libri (I complici, di Lirio Abbate e Peter Gomez; Se li conosci li eviti, di Marco Travaglio e Peter Gomez)? Francamente, mi sembra patetico. E non credo che in nessun altro paese del mondo, almeno libero, succedano certe cose.
Che poi, mi viene da pensare, se tanto sdegno fosse stato suscitato dalle espressioni poco educate usate da Travaglio gratuitamente nei confronti di Schifani (gli ha dato della muffa, del lombrico) , potrei anche capire. Ma no, nessuno s'è indignato per quello. La pietra dello scandalo è l'aver detto che Schifani, in passato, era intimo amico di ben noti mafiosi. Un dato di fatto, una realtà che è agli atti di più di una inchiesta. Ma allora dov'è il problema? Sarà mica che certe cose non si possono più dire? E perché il partito Democratico si è affrettato a difendere a spada tratta Schifani attaccando un giornalista che fa soltanto il suo lavoro, e per di più bene?

Mala tempora currunt.

venerdì, maggio 09, 2008

Governi e ombre

Con questo caldo ci voleva proprio un bel governo ombra.

La scritta, geniale, campeggiava anni fa su un muro di via Prenestina. La vedevo passando ogni mattina col tram e in cuor mio ero convinto che certi ghirigori politici appartenessero ad un passato (remoto) da prima Repubblica.
Mi sbagliavo.

Chiamatelo governo ombra, chiamatelo shadow cabinet (sic!), chiamatelo come volete. Basta che qualcuno mi spieghi a cosa serve... Risposte, commenti, frizzi e lazzi sono ben graditi. Soprattutto i frizzi e i lazzi. Che tutto mi pare meno che una cosa seria.

lunedì, maggio 05, 2008

Un buon esordio, non c'è che dire

Avevo molto apprezzato l'equilibrio e la sensibilità istituzionale dimostrate dal nuovo presidente della Camera Gianfranco Fini nel suo discorso di insediamento. Avevo apprezzato dando un bel calcio ai pregiudizi che nutrivo sul leader di An eterno delfino di Berlusoni. Poi però succede che Fini vada a Porta a Porta nella sua nuova veste di terza carica dello stato e che gli scappi di dire che sono «molto più gravi» le contestazioni dei giorni scorsi della sinistra radicale contro la Fiera del libro di Torino (quando vennero bruciate alcune bandiere israeliane e statunitensi) rispetto a quanto hanno fatto a Verona cinque bastardi neonazisti. Bruciare una bandiera insomma (atto stupido e deprecabile, sempre) per il presidente della Camera è più grave che non ammazzare di botte senza alcun motivo un ragazzo che cammina per strada. Complimenti, complimenti davvero.
Sono cose come questa che mi rafforzano ogni giorno di più nei miei pregiudizi. Il vestito buono e la carica istituzionale, evidentemente, non bastano a cambiare certe teste.

martedì, aprile 29, 2008

Quiz Anti-Mafia

Guardate la foto, scattata questa mattina alla prima seduta del Senato. Quiz: quanti anni di condanne sono immortalati nello scatto? Il primo che darà la risposta esatta avrà in premio la summa delle relazioni della Commissione Antimafia...

lunedì, aprile 28, 2008

Alemanno sindaco di Roma



E pure questa è andata. Secondo me ne vedremo delle belle. Per ora di bellissimo, alla festa al campifoglio, ho visto questo striscione. Applausi.

martedì, aprile 22, 2008

Ma dove viviamo? Anzi, ma dove vivono?

Tg2 ore 20:30. Un servizio sull'allarme sicurezza, poi un altro sulle misure allo studio del futuro governo (che non c'è ancora, ma studia!) per inasprire le pene contro l'emergenza criminale. E ancora: meravigliosa carrellata sulle armi da difesa da portare in borsetta (spray urticante, pistola elettrica e ammenicoli di questo tipo) e sui corsi di autodifesa "che ogni donna dovrebbe fare, e sono sempre di più quelle che si iscrivono".
A volte mi chiedo davvero se l'Italia in cui vivo, la Roma in cui abito, sia lo stesso posto descritto da certi telegiornali e da certa stampa. No, davvero. Perché il paese che io conosco ha tanti problemi, non ultimo quello della sicurezza, ma non è il bronx di cui parlano tanti media. Guarda caso in piena campagna elettorale. Sarà mica che qualcuno vuole prenderci in giro battendo sul tasto della paura? Sarà mica che qualcuno ha tutto l'interesse a far passare l'Italia per una specie di landa desolata senza legge a cui serve soltanto una guida sicura, forte a autoritaria. E questo a spregio delle statistiche che raccontano invece tutt'altra storia, con i reati in calo e la situazione in linea con l'Europa. Leggere per credere, ma è solo un esempio
Rabbrividisco e mi spavento. Mi spavento vedendo che c'è gente che non si fa problemi a creare un clima di guerra, a spargere terrore e diffidenza verso gli estranei. Verso gli stranieri soprattutto, meglio ancora se extracomunitari. Elettorale è il terrore, concretissimo il rischio della barbarie di un far west legalizzato.
Del resto, se il futuro ministro dell'Interno si spinge persino ad invitare i cittadini a creare ronde notturne, cosa attendersi di buono?
Cosa aspettate allora? Chiudetevi in casa e accendendete la tv.

giovedì, aprile 17, 2008

Ridiamoci su...

Mi sono preso una pausa elettorale, sperando di tornare a scrivere a miracolo compiuto. Com'è andata lo sapete tutti, e di parlarne nemmeno mi va troppo. Per cui per ricominciare provo a farci due risate sopra.

sabato, marzo 22, 2008

G8: per il centrodestra era andato tutto a meraviglia

A rileggerla oggi che sono passati sei anni e mezzo c’è da rabbrividire. A scorrerne di nuovo le pagine, oggi che il lavoro della procura di Genova ci ha consegnato una storia di violenze gratuite e umiliazioni, ce n’è da restare inorriditi. Perché la relazione finale frutto dei 44 giorni di lavoro del comitato formato da trentasei parlamentari e presieduto dall’avvocato Donato Bruno che condusse l’indagine conoscitiva sui fatti di Genova (venne depositata il 14 settembre 2001 e votata solo dalla maggioranza) ha consegnato alla storia parlamentare una verità incredibile e offensiva: «La Commissione - si legge - a conclusione degli accertamenti svolti rileva che non sorgono dubbi sulla positiva riuscita del vertice G8 svoltosi a Genova». Una menzogna scritta sul sangue ancora caldo di Carlo Giuliani e ad onta delle centinaia di manifestanti pestati senza motivo, sulle decine e decine di denunce da parte di manifestanti di mezzo mondo. Del resto «il vertice ha conseguito tutto gli obiettivi prefissati, sia sotto l’aspetto dei contenuti, sia sotto l’aspetto logistico amministrativo, sia sotto quello della sicurezza e della tutela dell’ordine pubblico, nonostante talune inerzie riferibili al precedente governo nella fase organizzativa».

«Gestione moderata»
Eppure, a meno di due mesi dalla conclusione del vertice, tutto il mondo aveva già avuto modo di vedere i filmati e le fotografie delle violenze di strada, delle cariche contro il corteo pacifico e della tanto macabra quanto indisturbata azione dei black block. Non abbastanza, evidentemente, per ammettere un fallimento evidenziato dagli organi di stampa di tutto il globo. «In una situazione di questo tipo - spiega infatti la relazione - la linea scelta dal governo Berlusconi e l’azione delle forze dell’ordine sono state, sul terreno dell’ordine pubblico, certamente positive». Anche perché, secondo il centrodestra, i giorni del vertice erano stati preceduti da un costruttivo dialogo con il Genoa Social Forum: si sono stanziati «fondi per l’accoglienza e a impartire precise direttive alle forze dell’ordine per una gestione moderata e ferma dell’ordine pubblico». Precise direttive che evidentemente a qualcuno devono essere sfuggite. Non si spiegherebbero altrimenti il numero spaventoso dei manifestanti rimasti feriti e le teste spaccate immortalate in foto che sono diventate la cifra reale della violenza che ha contraddistinto l’operato di interi settori delle forze dell’ordine.

Quelle torture ordinarie
Emblematico il caso del lager di Bolzaneto e delle sevizie subito da quanti ebbero la sfortuna di transitare nella struttura dopo il fermo. Racconti e denunce che hanno dato avvio all’inchiesta della magistratura genovese che ha parlato di «comportamenti vicini alla tortura» (44 richieste di condanna per ispettori di pg, funzionari di polizia e medici per un totale di 76 anni di carcere) ma sulle quali il comitato è stato cieco muto e sordo. Spingendosi addirittura a sancire che «nulla è dato da rilevare circa la palese legittimità della gestione effettuata da parte della polizia penitenziaria. In particolar modo (...) nulla può essere eccepito circa il pieno rispetto delle prassi concernenti le visite mediche, le perquisizioni e le ispezioni personali e circa le modalità del loro trattenimento in attesa di traduzione al carcere, sempre finalizzate al mantenimento dell’ordine tra gli arrestati e tra loro ed il personale operante». Del resto, scriveva la maggioranza di centrodestra del comitato, i racconti degli arrestati potevano non essere credibili: «Corre l’obbligo di richiamare le denunzie della Questura di Genova che, a seguito di intercettazioni ambientali, avrebbe acquisito elementi circa la preordinazione strumentale da parte di taluni degli arrestati di accuse infondate».

Tutte le bugie della Diaz
Non va meglio nella parte delle conclusioni riservata all’irruzione nella scuola Diaz la sera del sabato, quando gran parte dei manifestanti era già ripartita e i cortei si erano conclusi da ore. Chi era là dentro raccontò di una vera mattanza, di ragazzi svegliati in piena notte dai calci degli anfibi, di manganellate al buio e di teste sbattute contro muri e termosifoni. In ospedale finirono praticamente tutti i fermati. Per giustificare la tonnara, si scoprì poi, erano state confezionate prove false (due molotov sequestrate nel pomeriggio vennero trasportate nella scuola) mentre il bottino dell’operazione fu praticamente nullo. Eppure il centrodestra non mancò di rilevare «la legittimità della decisione di procedere alla perquisizione» nella convinzione «che presso l’istituto fossero occultate armi». Mesi più tardi si scoprì anche che alcuni dirigenti avevano messo in scena la farsa del giubbotto antiproiettile squarciato da una coltellata per giustificare la reazione violenta degli agenti, ma la Commissione in quel settembre aveva già deciso la sua verità: «A ragione fu predisposta una forza operativa adeguata a fronteggiare una decisa resistenza. Tale determinata resistenza è infatti ampiamente documentata e fu tale da comportare una decisa forza per vincere e superare la condotta degli occupanti, al fine di tutelare la stessa incolumità del personale». E le teste spaccate? E le braccia spezzate di quanti, inermi, cercavano di difendersi ancora distesi nei sacchi a pelo? «Sono emersi taluni eccessi compiuti da singoli esponenti delle forze di polizia. L’accertamento dei fatti è demandato all’autorità giudiziaria».

Massimo Solani, l'Unità 22 marzo

lunedì, marzo 17, 2008

Al fianco di Rosaria...

Sono felice di vedere che altri come me, sapendo della vicenda di Rosaria Capacchione de Il Mattino, abbiano deciso di fare qualcosa per proteggere una collega che fa il suo lavoro con coraggio e onestà. Non posso che unirmi a loro e rilanciare l'appello.

(ANSA) - ROMA, 17 MAR - «Chiediamo al Ministro dell'Interno di concedere adeguate misure di protezione alla giornalista del Mattino Rosaria Capacchione e tutti coloro che in questo momento sono oggetto di minacce alla loro persona da parte del crimine organizzato». Lo affermano in un appello al Ministero dell'Interno il Vice responsabile Informazione del Pd Roberto Cuillo, il Portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti, i giornalisti Furio Colombo, Roberto Morrione, Sandro Ruotolo e il Presidente di Articolo 21 Federico Orlando. «È un momento difficile per quei giornalisti che si battono contro l'illegalità. Durante il processo Spartacus contro i Casalesi - si legge nel testo dell'appello - sono state lette in aula grave minacce contro giornalisti, scrittori e magistrati. Nessuno può restare indifferente». Due boss del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, detto Cicciotto di Mezzanotte, detenuto da alcuni anni, e il latitante Antonio Iovine, in una istanza depositata il 13 marzo dai loro legali per chiedere il trasferimento del processo a loro carico a Roma per legittimo sospetto, hanno lanciato accuse nei confronti dello scrittore Roberto Saviano, dell'ex pm della Dda di Napoli Raffaele Cantone e della giornalista del Mattino Rosaria Capacchione. (ANSA).

sabato, marzo 15, 2008

Il diktat dei Casalesi: chi parla muore

Lo scrittore simbolo, il magistrato antimafia e la cronista coraggiosa. È per colpa loro che il processo non può svolgersi serenamente e va spostato in altro luogo. Perché quei tre col loro lavoro danno fastidio, raccontano la verità e rischiano così di condizionare i giudici. Un atto di accusa che suona come una minaccia nel silenzio dell’aula bunker di Poggioreale: danno fastidio, sono nemici nostri. Quei tre sono Roberto Saviano, lo scrittore di “Gomorra”, la cronista de Il Mattino Rosaria Capacchione (nella foto) e il pubblico ministero della Dda di Napoli Raffaele Cantone. Tutti e tre indicati con nome e cognome dai boss della camorra casertana Francesco Bidognetti e Antonio Iovine nella lunga istanza che gli avvocati hanno letto in aula per richiedere il trasferimento in altra sede del processo «per legittima suspicione». Perché i magistrati di Napoli, hanno scritto gli avvocati Michele Santonastaso e Carmine D’Aniello, non posso giudicare serenamente sulla sorte del processo d’appello “Spartacus”, che sta alla camorra dei Casalesi come il maxi processo celebrato a Palermo alla mafia siciliana, vista la trama nella gestione dei pentiti ordita dal pubblico ministero e dalla Dda tutta in combutta coi giornalisti “prezzolati”. «A questa situazione disarmante per la coscienza civile - è scritto nell’istanza su cui si esprimerà la Cassazione - si aggiungono i soliti giornalisti prezzolati della Procura e, tra essi, ci si riferisce espressamente alla cronista de Il Mattino Rosaria Capacchione e al noto romanziere Roberto Saviano che, sulle ceneri della Camorra, con l’aiuto di qualche magistrato alla ricerca di pubblicità, cercano successo professionale che nulla a che vedere con il sacrosanto diritto di cronaca».
Parole che sanno di avvertimento e di minaccia. Perché, hanno spiegato gli avvocati difensori di Bidognetti e del latitante Iovine, «alcuni articoli di cronaca comparsi sui quotidiani non hanno alcuna spiegazione se non quella di creare un condizionamento nella libertà di determinazione nei giudici che partecipano al processo». «L’intervento di Roberto Saviano sul silenzio legato alla sentenza Spartacus (21 ergastoli e 95 condanne per associazione camorristica a uomini e fiancheggiatori del clan dei Casalesi, la più potente organizzazione del “Sistema” ndr) non può non turbare gli animi dei giudici definiti dal prezzolato pseudogiornalista come degli inetti, incapaci, insensibili alla sete di giustizia della collettività. È solo un invito rivolto al signor Saviano e ad altri come lui a fare bene il proprio lavoro e a non essere la penna di chi è mosso da fini ben diversi rispetto a quello di eliminare la criminalità organizzata».
Eppure, stando almeno ai fatti, si direbbe che “il loro lavoro” tanto Saviano quanto la Capacchione lo facciano da tempo. E bene. E proprio per questo da anni vivono nell’incubo. Semplicemente per aver fatto quello che sanno fare: indagare sugli affari milionari dei clan, scoprire intrecci e interessi, e poi raccontarlo con coraggio e precisione. Proprio per questo da quando il libro Gomorra è diventato un successo planetario (è stato acquistato in 32 paesi e già tradotto fra gli altri in Germania Francia, Svezia, Danimarca, Finlandia, e Spagna dove è stato primo in classifica per diverse settimane) Saviano è costretto a vivere blindato costantemente seguito dagli angeli della sua scorta. Quella protezione che, però, nessuno ha mai accordato a Rosaria Capacchione nonostante nel corso di una udienza il collaboratore di giustizia Dario De Simone, numero tre del clan dei Casalesi, abbia rivelato dell’esistenza di un piano, risalente alla fine degli anni ‘90, per ammazzarla. Ed era stato sempre De Simone, davanti ai pm antimafia e poi in aula, a raccontare dell’odio della famiglia Schiavone nei confronti della cronista de Il Mattino «per il fastidio che dava coi i suoi articoli». A lei, come a Saviano e a Cantone, ieri sono arrivati tantissimi messaggi di solidarietà da parte di uomini politici, sindacati, amministratori locali ed associazioni di categoria. Secca la risposta del capo della Dda di Napoli Franco Roberti: «Gli imputati Bidognetti e Iovine avranno le risposte che meritano nelle sedi competenti».

Massimo Solani, l'Unità 15 marzo

domenica, marzo 09, 2008

Betulla va alla guerra

Deposti i panni dell’agente “Betulla”, il soldato Renato Farina si prepara ad un’altra guerra. Non più contro il terrorismo, ma contro i comunisti. Ex, post o neo che siano fa poca differenza per il cattolicissimo ex vicedirettore di Libero. Che dismessi i panni di 007 del Sismi adesso si prepara ad una nuova vita, la terza, sotto le insegne del Popolo delle Libertà di Silvio Berlusconi che lo candiderà al Parlamento in un seggio blindatissimo. La terza, si diceva, perché quella politica è la terza carriera del giornalista poi prestato all’intelligence militare, alle dirette dipendenze del direttore del Sismi Niccolò Pollari. E per tramite del suo uomo ombra Pio Pompa, tenutario dell’ufficio segreto di via Nazionale dovevano venivano redatti e conservati dossier segreti su magistrati, uomini politici del centrosinistra e militari non allineati con la dottrina della guerra permanente. Era per conto di Pompa e Pollari, infatti, che l’agente segreto Farina (nome in codice “Betulla”), dietro alla paciosa maschera del giornalista Farina, si presentava in procura a Milano per intervistare i pm Armando Spataro e Ferdinando Pomarici che indagavano sul rapimento ad opera dei servizi segreti italiani e statunitensi dell’imam Abu Omar. Una finzione, hanno ricostruito i magistrati, che in realtà doveva servire a carpire informazioni sullo stato dei lavori della procura e poi passarle al grande capo Pollari (rinviato a giudizio per la vicenda Abu Omar assieme a Pompa e ad un nutrito gruppo di barbe finte italiane e statunitensi) in modo da mettere in campo le dovute contromosse. Servizi per cui Farina era pagato lautamente dal Sismi: 30mila euro in due anni, ha spiegato lui stesso ai magistrati. «Rimborsi spese per i viaggi in giro per il mondo», ha precisato prima di patteggiare davanti al giudice per le udienze preliminari di Milano Caterina Interlandi una pena di sei mesi di reclusione (poi convertiti in una multa di 6.840 euro) per avoreggiamento nell’occultamento di prove. «Una grave ingiustizia», ha sempre protestato Farina, rivendicando con orgoglio di patria una militanza nei servizi iniziata nel 1999: «Confesso - scrisse su Libero - Ho dato una mano ai nostri servizi segreti militari, il Sismi. Ho passato loro delle notizie, ne ho ricevute, ho cercato contatti persino con i terroristi, mettendo a disposizione le mie conoscenze ma anche il mio corpaccione. Ho usato tutto, secondo me dentro i confini della legalità». Non la pensò così l’Ordine dei Giornalisti che dopo averlo sospeso, su richiesta del procuratore generale di Milano, l’ha radiato nel marzo del 2007.

Massimo Solani, l'Unità 9 marzo

giovedì, marzo 06, 2008

Dalla Chiesa in Parlamento!

Dopo qualche giorno di trasferta in quel triste luogo che è Gravina di Puglia in questi giorni, torno per rilanciare un appello in favore di Nando Dalla Chiesa. Assurdamente escluso dalle liste elettorali del Partito Democratico. Ecco il testo dell'appello:

"Nando dalla Chiesa, una delle personalità che più ha contribuito a dare apertura e credibilità alle Istituzioni presso l’opinione pubblica e la società civile, uomo politico da sempre impegnato per la legalità, l’etica pubblica, la difesa dei principi costituzionali e di giustizia, non ha ottenuto la deroga per la candidatura dal suo partito.

Son stati invece candidati personaggi la cui storia non è trasparente. O persino politici che in passato hanno avuto qualche vicinanza agli ambienti della criminalità organizzata. Anche se secondo l’art. 2 del Regolamento “Non può essere candidato chi si trovi in contrasto con le norme del codice etico”.

Come cittadini a vario titolo impegnati per un’Italia più civile e rispettosa dei meriti, chiediamo che Nando dalla Chiesa, cui riconosciamo di rappresentare con coerenza i nostri valori etico-istituzionali, sia tra gli eletti del prossimo parlamento italiano".

Hanno aderito all'appello, fra gli altri: Elisabetta Caponnetto, don Luigi Ciotti, Virginio Rognoni, Gianni Barbacetto, Stefano Boeri, Anna Bonaiuto, Giovanna Borghese, Andrea Brambilla (Zuzzurro), Novella Calligaris, Laura Caselli, Cisco (ex cantante dei Modena City Ramblers), Dario Fo, Giorgio Galli, Ricky Gianco, Vittorio Grevi, Laura Lepetit, Tinin Mantegazza, Velia Mantegazza, Guido Martinotti, Gabriele Mazzotta, Maria Mulas, Flavio Oreglio, Ottavia Piccolo, Franca Rame, Lidia Ravera, Basilio Rizzo, Corrado Stajano, Marco Travaglio, Franca Valeri, Pamela Villoresi, Patrizia Zappa Mulas.

venerdì, febbraio 22, 2008

De Magistris, la condanna e le motivazioni

«Gravi violazioni», «negligenze inescusabili», e illeciti disciplinari che costituiscono «trasgressioni palesi ai doveri di correttezza». E poi lesioni «alla dignità e all’onore» delle persone. È con queste pesanti accuse che la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha motivato la sentenza con cui lo scorso 18 gennaio ha disposto il trasferimento dalla sede e dalle funzioni, con annessa sanzione della censura, il sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro Luigi De Magistris. Una sentenza lunga 39 pagine e depositata tre giorni fa dal relatore, il togato Giulio Romano, contro la quale il magistrato napoletano ha già annunciato di voler presentare ricorso davanti alle sezioni unite della Cassazione. «Sono fiducioso - commentava infatti ieri De Magistris - che si farà piena luce su questa decisione cosi profondamente ingiusta, e che la sentenza verrà totalmente riformata; così come sono molto fiducioso che l’autorità giudiziaria accerterà fino in fondo l’intera verità».
Una vicenda disciplinare lunga e complessa, iniziata con le ispezioni ministeriali e con la richiesta dell’ex Guardasigilli Mastella (indagato dallo stesso De Magistris nel fascicolo “Why Not”) del trasferimento cautelare d’ufficio del pubblico ministero di Catanzaro. Una richiesta non accettata, scrive la Disciplinare, perché «non paiono ricorrere motivi di particolare urgenza». Per quanto riguarda invece il ruolo di pubblico ministero che De Magistris dovrebbe lasciare, si legge invece nella sentenza, «va rilevato che la condotta tenuta, poiché rivelatrice di non adeguata attenzione al rispetto di regole di particolare rilievo nonché di insufficienti diligenza, correttezza e rispetto della dignità delle persone, si palesa incompatibile con l’esercizio» del ruolo di sostituto procuratore. Ma c’è di più: la Disciplinare infatti, nonostante il procuratore generale della Cassazione Vito D’Ambrosio non ne avesse fatto richiesta, ha infatti deciso che De Magistris debba lasciare anche il tribunale del capoluogo calabrese. E questo perché, secondo la Commissione, le difficoltà di rapporto fra il magistrato e i colleghi «inducono a ritenere che pure la permanenza dell’interessato in un altro ufficio di Catanzaro non favorisca il buon andamento dell’amministrazione della giustizia». Ma la disciplinare decise anche di respingere la richiesta formulata da D’Ambrosio per la sanzione della perdita di anzianità in virtù, si legge nella sentenza, «della accertata laboriosità dell’interessato, pur nelle difficoltà in cui si è trovato ad operare».
Un giudizio indubbiamente severo quella della Disciplinare, che imputa a De Magistris l’avere predisposto atti di indagine (come il decreto di perquisizione a carico del pg di Potenza Tufano) senza averne avvertito l’allora procuratore di Catanzaro Mariano Lombardi, di aver tenuto segrete in un armadio blindato le iscrizioni nel registro degli indagati del senatore di Forza Italia Pittelli e del generale della Gdf Cretella Lombardi e di aver trasferito alla procura di salerno, con una «iniziativa irrituale», l’intero fascicolo dell’inchiesta “Poseidone” che gli era appena stato revocato. Ma di fronte alla Disciplinare De Magistris paga anche la lesione «alla dignità, all’onore e al decoro» di due magistrati di Potenza, commessa avendo riferito in un atto (l’ordinanza di perquisizione a carico di Tufano) di una loro presunta relazione extraconiugale «in base ai sentito dire» e senza aver «compiuto gli accertamenti necessari».

Massimo Solani, l'Unità 22 febbraio

Per tutti coloro che volessero leggere le motivazioni della condanna, cliccando qui troverete il pdf integrale del testo. Buona lettura.